La Stampa, 7 luglio 2017
Migranti, Gentiloni: la partita va giocata in Libia e la Ue deve intervenire
Le sfide muscolari non fanno per lui, quella di Tallinn non l’ha mai vissuta come «una battaglia» ma a metà giornata quando ha appreso i risultati reali del vertice, Paolo Gentiloni nel suo studio a Palazzo Chigi ha “resettato” il dossier e sintetizza così il nuovo stato dell’arte: «La complicata partita dei migranti si gioca in Libia: l’Unione europea può e deve aiutare». Parole che riflettono lo snodo di queste ore: una volta caduta nell’indifferenza degli altri Stati la proposta di accogliere in porti non italiani almeno una parte dei migranti, l’Italia ha “girato” quasi tutta la sua “artiglieria diplomatica” sul fronte libico. E proprio su quella trincea lì, con Marco Minniti in prima linea e Paolo Gentiloni (oggi atteso al G20 di Amburgo) in regia, l’Italia è riuscita a trascinare i riottosi amici europei in territori di trattativa che ancora qualche settimana fa erano ritenuti altamente impervi.
E a fine giornata, quando Gentiloni e Minniti hanno fatto il consuntivo delle “perdite” e delle conquiste, è proprio sul fronte libico che sono arrivati i passi avanti: accordi per aiuti alla Guardia Costiera di quel martoriato paese, rafforzamento dei controversissimi Campi di accoglienza, Guardia di frontiera a Sud. Tre risultati che si sommano alla “sensibilità” che tutti gli altri Stati europei hanno mostrato di avere per le Ong, fino a qualche settimana fa intoccabili, anche nei Paesi-guida dell’Unione, come Germania e Francia.
Sarà vera gloria? Questo nessuno lo sa e qui si innesca il secondo messaggio contenuto nelle parole informali del capo del governo: la battaglia è appena cominciata e l’Unione europea ci «deve» credere e ci «deve» aiutare. Anche perché il vertice di Tallinn era informale, ora quel che è stato deciso deve essere formalizzato e dunque, guai abbassare la guardia.
Gentiloni sa che su questo fronte i progressi si misurano col centimetro e non certo col metro, ma fatti concreti urgono, perché nel governo da qualche giorno sono affiorate due “sensazioni” al momento inconfessabili.
La prima riguarda l’entità degli arrivi. Fino ad ora, ai primi di luglio, sono arrivati sulle coste italiane poco più di 85 mila migranti, con un aumento di quasi il 19 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Se si proseguirà con questo ritmo, a fine anno si potrebbe sfiorare una soglia critica, quella dei 250 mila. Per non parlare di stime ancora più corpose, che si sentono ventilare in queste ore, anche da parti di uomini di governo: cifre più “tonde”, che però nessuno esterna anche perché la storia dimostra che nei flussi c’è un elemento di imprevedibilità che spesso manda all’aria ogni previsione.
E anche se al governo nessuno è pronto a dirlo ad alta voce, si comincia ad attendere col fiato sospeso i prossimi sondaggi “mirati” sul fenomeno migratorio e sulle paure che può determinare nelle intenzioni di voto. Nel passato l’influenza è stata sempre relativa, ma nelle ultime settimane il termometro ha fatto segnare qualche oscillazione che preoccupa. Anche per una coincidenza che al Pd e a Palazzo Chigi considerano inevitabile e però pesa: l’aumento della pressione migratoria (e soprattutto della percezione di pericolo) coincide col varo dello ius soli, un provvedimento che nella maggioranza considerano sacrosanto, ma che è arrivato a maturazione in giornate “critiche”.