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 2017  luglio 07 Venerdì calendario

Talleyrand e Fouché, il debosciato e il sanguinario maestri del tradimento politico

«Le vice appuyé sur le bras du crime», il vizio appoggiato al braccio del crimine. Così commenta il visconte René de Chateaubriand mentre osserva, non visto, il lento incedere di due inquietanti personaggi, che in un’afosa notte del luglio 1815 si recano dal re di Francia, Luigi XVIII, a prestare giuramento di fedeltà. E non è certo il primo: abituati a mettersi al servizio del potente di turno assicurandogli eterna lealtà, sono pronti a rimangiarsi tutto, quando la buona stella di costui comincia a declinare.
Nella piéce teatrale Le Souper, da cui è stato tratto un film che in italiano si intitola A cena col diavolo (la cena, appunto, in cui i due decidono di spianare la strada al Borbone), uno di loro dichiara: «Abbiamo una sola parola, per cui occorre riprenderla». E l’altro aggiunge: «Per poi poterla dare nuovamente».
Ma chi sono, dunque, questi uomini ai quali Chateaubriand vota un odio mortale, definiti dai contemporanei girouettes, banderuole, che resteranno impressi nella memoria collettiva come abili politici e ancor più abili traditori? Come si chiamano, questi maestri di cinismo in grado di passare indenni attraverso rivoluzioni e cambi di governo, sopravvivere all’Ancien Regime e Luigi XVI, alla Rivoluzione e Robespierre, al Direttorio e Barras, al Consolato, all’Impero e Napoleone, trovando il tempo e il modo di rimanere sulla cresta dell’onda ed edificare straordinarie fortune personali?
Uno – il «vizio» – è il nobile, elegante, ironico e debosciato Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, principe di Benevento, presidente del governo provvisorio dell’anno prima, e per lungo tempo ministro degli Esteri. L’altro – «il crimine» -  è un ex plebeo dal volto glaciale, le labbra sottili e le mani lorde di sangue, di nome Joseph Fouché, un figlio di marinai che si è fatto largo con metodi discutibili durante la Rivoluzione, è stato nominato duca d’Otranto da Bonaparte, presiede il governo provvisorio attuale, ed è conosciuto soprattutto come sempiterno ministro della Polizia («Io e la Polizia», ha detto una volta, «siamo una cosa sola»).
In verità, i due non si sono mai amati, anzi si sono detestati e combattuti. «Fouché disprezza gli uomini», ironizzerà Talleyrand. «Si vede che si è studiato bene». E l’altro, quando il principe di Benevento verrà nominato vice chancelier, vice cancelliere, commenta con un sottile gioco di parole: «Il ne lui manquait que cet vice-là», il solo vizio che gli mancava. Unicamente durante la seconda parte dell’epopea napoleonica, essi stringeranno una dubbiosa alleanza utilitaristica per far cadere Bonaparte e sopravvivergli.
Diversissimi per aspetto, stile, cultura, modi di fare, preferenze e antipatie, vivono tuttavia delle «esistenze parallele» che li portano a incontrarsi sotto mille regni diversi. «Infedele ai regimi», ha dichiarato una volta Talleyrand, «sono stato fedele alla Francia». «Fedele», in realtà, a una sua personale idea di Francia. E alle opportunità – o utilità, soprattutto economiche e di potere – che da essa derivano.
Oltre a essere consumati traditori e fini politici, hanno un’altra cosa che li avvicina. Provengono dalla Chiesa, che nella sua lungimiranza ha la capacità di individuare e valorizzare i talenti. I loro trascorsi «ecclesiastici» sono ben noti, per cui vengono soprannominati defroqués, spretati.
Da giovane, Talleyrand ha infatti preso malvolentieri i voti, è stato nominato abate di Périgord e vescovo di Autun da Luigi XVI, ha fatto parte degli Stati Generali del maggio 1789, celebrato messa a Champs-de-Mars nel primo anniversario della presa della Bastiglia, poi ha gettato la tonaca alle ortiche e proposto all’Assemblea costituente la nazionalizzazione dei beni della Chiesa. Inutile dire che l’offerta è stata prontamente accettata, con grande scandalo del Papa e dei preti, nonché della nobiltà da cui Charles-Maurice proviene...
Fouché, invece, è stato seminarista, poi petit-frère e ha insegnato per un decennio ai fanciulli dell’oratorio. Deciso come sempre a non impegnarsi definitivamente, non ha preso i voti, benché tonsurato. Un bene, secondo il suo punto di vista, perché ha poi aderito alla Rivoluzione, si è fatto eleggere deputato ed è divenuto un crudele persecutore di preti e suore, oltre ad aver votato a favore della morte del re, nel gennaio 1793.
La Rivoluzione, questa brutale levatrice di talenti, è stata determinante nel consentire ai due di emergere, perché si è rivelata un formidabile «ascensore sociale», ha fatto saltare il «tappo» che bloccava il sistema e dato modo ai cosiddetti «uomini nuovi» – di cui il più celebre è Bonaparte – di arrivare velocemente al vertice.
C’è stato un momento nel quale «le vite parallele» di Talleyrand e Fouché si sono scisse. Con l’esecuzione di Luigi XVI, il futuro principe di Benevento (nomina che dovrà a Napoleone) ha preferito riparare in Inghilterra e poi addirittura negli Stati Uniti, perché il clima si era fatto troppo infuocato per un aristocratico di antico ceppo come lui. L’altro, invece, si è distinto per efferatezza come inviato della Convenzione – passerà alla storia con il nome di «mitragliere di Lione» – poi ha compreso che Robespierre voleva vedere anche lui sotto la ghigliottina, e ha ingaggiato una segreta lotta con «l’Incorruttibile», culminata in Termidoro.
Con l’avvento del Direttorio, i destini di entrambi si sono ricongiunti: Talleyrand, rientrato dall’esilio d’oltremare, è stato nominato ministro degli Esteri e Fouché della Polizia.
È con Napoleone, tuttavia, che essi raggiungono l’apice. Intuendo il genio del giovane generale, si sono messi al suo servizio, lo hanno aiutato nel colpo di Stato di Brumaio, ne sono divenuti i collaboratori più stretti e indispensabili. Bonaparte, che ne conosce il talento, non teme quei figuri pericolosi e doppiogiochisti, e li conferma nei portafogli ministeriali. Sempre loro, dopo gli anni folgoranti del Consolato, assecondano le smanie dinastiche del padrone, lo sostengono nell’imporre l’Impero e poi favoriscono le trattative del suo secondo matrimonio con Maria Luisa d’Austria.
La cosiddetta courromanie di Napoleone, tuttavia, convince a un certo punto i ministri che è bene separare le loro sorti dalla sua, prima che cominci a perdere e trascini anche loro nella caduta. Oltre ad allontanarsi, i due si cimentano nel doppio gioco in cui sono abilissimi, si alleano segretamente con le potenze nemiche, a cui forniscono informazioni riservate in cambio di laute prebende.
Quali che siano gli epiteti con cui vengono bollati da critici e libellisti, non sono comunque dei semplici opportunisti, capaci solo di seguire il vento pur di mantenere una poltrona. Abilissimi a dirigere gli eventi, gestire gli avvenimenti dietro le quinte, sanno aspettare a lungo per  assestare il colpo di grazia: così succede dopo la battaglia di Lipsia del 1814 e poi durante l’estate 1815, quando decidono che la cosa migliore – per loro, oltre che per la Francia – è la Restaurazione.
Prima Talleyrand nel 1814, dopo l’abdicazione di Napoleone e l’esilio all’Elba, poi Fouché, dopo i Cento giorni e Waterloo, manovrano quindi in favore di Luigi XVIII, riuscendo a convincere della validità della scelta gli Alleati che hanno invaso Parigi.
Sono sempre loro a sbarrare la strada all’Aiglon, il piccolo Napoleone II, erede legittimo dell’Imperatore, che è stato designato dalle Camere quale successore di suo padre. «Il figlio dell’orco», alla cui nascita avevano brindato entusiasti, non offre sufficienti garanzie, come non le offre il Consiglio di reggenza presieduto da sua madre Maria Luisa.
È dunque in virtù delle trame del duca d’Otranto e del principe di Benevento, che torna sul trono l’obeso Luigi XVIII. Peccato, però, che questi si rivelerà più scaltro persino dei due camaleontici complici. Dopo aver accettato di riprendere il regicida Fouché come ministro della Polizia pur di tornare sul trono, infatti, il Borbone se ne libererà in tutta fretta, bollandolo come «uno dei più disgustosi resti della Rivoluzione».
Per ciò che concerne Talleyrand, l’operazione di sganciamento sarà un po’ più difficile. Il ministro degli Esteri, infatti, è stato fondamentale durante il Congresso di Vienna, riuscendo a scindere il destino della Francia da quello di Napoleone sconfitto, e ottenendo il ripristino dei principi di legittimità e di equilibrio. In virtù di tante benemerenze, resterà al potere un altro pochino di tempo... Poi, però, Luigi XVIII saprà sbarazzarsi anche di lui.
Dal lontanissimo esilio di Sant’Elena, Bonaparte sospira: «Ho conosciuto un solo perfetto traditore, Fouché». Ma pensa la stessa cosa di Talleyrand, che del resto aveva già coperto di insulti in una drammatica giornata del 1809.
Stavolta, però, i due perfetti traditori hanno trovato in Luigi XVIII uno che è più cinico di loro. O forse, è la Storia, che a un certo punto si è vendicata, ripagandoli con la stessa moneta.