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 2017  luglio 06 Giovedì calendario

Aru stacca Froome. Ora il Tour è nel mirino

Il capitolo delle semplici vittorie teniamolo chiuso. Saltiamolo, neppure prendiamolo in considerazione. Non è di questo che si tratta, e se qualcuno non ci credesse ecco serviti dei flash che spiegano (quasi) tutto. Qui si parla di Fabio Aru che vince al Tour de France. Del campione d’Italia che stacca i migliori del mondo e si va a prendere di forza il primo arrivo in salita a La Planche des Belles Filles, col sorriso in faccia e la gioia mista a commozione. Di un sardo coraggioso e testardo che oggi coprirà il tricolore con la casacca a pois di re della montagna e ripartirà da terzo in classifica, ad appena 14” dalla maglia gialla passata a Chris Froome. Parigi neppure è all’orizzonte, ma dire che Fabio Aru è tornato a far sognare gli italiani – appena tre anni dopo il trionfale Tour di Vincenzo Nibali – non solo si può. Si deve.
MITICO La Planche des Belles Filles ha un nome che ti resta impresso, una storia giovane ma già prestigiosa e pure un fiuto straordinario per i campioni a cui concedersi. Chris Froome era arrivato secondo alla Vuelta 2011, ma è ai 1.035 metri di questa stazione sciistica della Haute Saone che si rivela davvero al mondo nel 2012, vincendo la prima tappa in carriera al Tour. Due anni dopo, viene giù il diluvio e il fango ti mangia anche le scarpe mentre Vincenzo Nibali ottiene il secondo successo di tappa e si riprende il primato – non lo lascerà più – di un Tour trionfale. Di similitudini con il Fabio Aru di ieri ne vengono in mente una dietro l’altra. Entrambi isolani, un derby di bellezza straordinaria tra Sicilia e Sardegna. Entrambi simboli dell’Astana. Entrambi in maglia tricolore (certo, quella di Fabio Aru per fortuna molto più classica), conquistata poco prima di iniziare il Tour come prima vittoria di una stagione fino a quel momento difficile. E conviene fermarsi qui, naturalmente solo per adesso.
ATMOSFERA Il Tour riparte da Vittel orfano di Peter Sagan (espulso) e Mark Cavendish (frattura della scapola destra) e attende con ansia la salita finale di giornata. Tutti sanno che i giochi si decideranno lì, e che i migliori non giocheranno di certo a nascondino. Si tratta di 5,9 chilometri di ascesa all’8,5% medio, ma nel finale si tocca il 20%: pendenze durissime che non possono non piacere a uno scalatore come Aru. Il destino dei fuggitivi (tra cui Philippe Gilbert) è segnato, mentre gli squadroni dietro cominciano a tirare. Soprattutto la Bmc, per Richie Porte, ma anche il “treno” celeste dell’Astana si fa vedere in testa al gruppo. Fabio Aru non è dietro ai compagni. Si “nasconde” nella pancia del gruppo e medita un’impresa studiata a tavolino, preparata vedendo e rivedendo una salita con cui ha avuto modo di parlare anche con Vincenzo Nibali. È Sky in testa al gruppetto dei migliori, con la maglia gialla Thomas in seconda posizione e Froome in terza, quando il Tour segna 2.232 metri alla linea bianca (la grafica televisiva 2,4 km, per la verità) e il Cavaliere dei Quattro Mori si sposta e parte.
STATO D’ANIMO La sensazione che si tratti dell’azione decisiva è immediata. Non capita spesso. Aru sembra che abbia davvero un’altra marcia rispetto all’élite mondiale con cui deve confrontarsi. Si è allenato benissimo, seguito dal preparatore Maurizio Mazzoleni. Froome aspetta un po’ a muoversi, accelera, ma non dà mai l’impressione di potersi riportare su Fabio che rilancia costantemente l’azione fino a urlare di felicità sulla linea bianca con braccio destro e pugno a ruotare verso il cielo. Una azione durata 5’46”, 88 pedalate al minuto di cadenza media e 200 battiti, sintomo di freschezza. I dieci secondi di abbuono sono un bonus non disprezzabile, mentre alle sue spalle Dan Martin a 16” anticipa di 4” Froome, che eredita dal compagno Thomas la maglia gialla, e Porte. Gli altri cedono di più: Bardet, quinto a 24”, è stravolto nel vero senso della parola e si accascia all’ombra (faceva caldo) appoggiato a un camion in cerca di un minimo di respiro. Contador paga 26” e Quintana, al di sotto delle attese, 34”. «È stata dura», sibilerà il colombiano reduce dal Giro d’Italia.
SORRISI Intanto Fabio sale sul podio due volte – tappa e maglia a pois – e non la smette più di sorridere. Vale lo stesso a sera, prima di cena, per il d.s. Giuseppe Martinelli, filo conduttore tra le ultime due vittorie italiane al Tour de France (1998 Pantani, 2014 Nibali): «Finalmente abbiamo rivisto il Fabio di Montecampione (vittoria di tappa al Giro 2014, ndr). Il Fabio che fa uno scatto non per voltarsi all’indietro e vedere chi risponde, ma per andare a vincere. Uno scatto deciso, per guadagnare non 5-6-7 metri, ma 20, 40, 60. Lo abbiamo rivisto e forse è stato ancora più forte. Non voglio scomodare persone che conoscevo bene, ma è stato un po’ come quando scattava Marco, quando gli altri andavano in acido lattico e non ce la facevano a prenderlo. Vincenzo nel 2014 vinse qui e coprì il tricolore con la maglia gialla, Fabio lo ha fatto con quella a pois, ma non fatemi dire se è la stessa cosa. Non lo so».
PARABOLA Di sicuro il tecnico bresciano ha ben presente quanto Aru abbia sofferto e lavorato per arrivare fino a qui, dopo il successo nella Vuelta 2015 che seguiva i due podi al Giro e lo aveva consacrato. Nel 2016 una vittoria al Delfinato, un Tour concluso male, alcune belle prestazioni ma senza mai gioire davvero. Nel 2017 un buon inizio e poi il tremendo mese di aprile, tra l’infortunio che lo ha costretto all’assenza dal Giro 100 al via dalla Sardegna e la morte di Michele Scarponi. C’è da credere a Fabio quando confessa «che ad aprile mai avrei immaginato di ritrovarmi qui». Sono passati tre mesi, e adesso che il cielo sopra il Tour è assieme azzurro e tricolore, una storia completamente diversa pare soltanto all’inizio.