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 2017  luglio 05 Mercoledì calendario

Gli epitaffi sull’Italia del cattivo Fantozzi

Lungi dal voler fare i dissacratori di professione o i liberi bastian contrari per definizione, vogliamo solo ricordare che Paolo Villaggio era un uomo, un artista pieno (come tutti) di contraddizioni. Amava l’eccesso e lo ha dimostrato nella sua vita privata, oltreché al cinema. E molto di questo suo essere «personaggio» scomodo, pieno di sfaccettature si ritrova in dichiarazioni rilasciate negli anni su molte questioni politiche: dai diritti degli omosessuali, al fenomeno dell’immigrazione, fino all’eterna questione Nord-Sud. 
Pensieri spesso scomodi, fastidiosi e urticanti. Lontani dalle idee che lo stesso Villaggio ha sempre confessato di avere («Io e Fabrizio De André eravamo a sinistra del partito comunista cinese») e che poco avevano a che fare con le sue candidature con Democrazia Proletaria nelle politiche del 1987 o quella con i Radicali di Pannella nelle elezioni del 1994. Per esempio le parole dette sull’omosessualità nel 2013 a Radio24 a La Zanzara. «È un’anomalia genetica che va compresa fino in fondo. Si tratta di una deviazione non desiderata». Per poi rivelare, in una altra occasione qualche mese più tardi sempre nel programma di Giuseppe Cruciani, «con De André fingevamo di essere brave persone, ma eravamo carogne. Da ragazzi tormentavamo due omosessuali, uno dichiarato e l’altro no. Li prendevamo a pietrate solo per il gusto di farlo. Perfidia pura». Un tratto del suo carattere, la perfidia, che l’ha sempre contraddistinto in tutta la sua carriera e, a detta dei suoi amici, anche nella vita privata. Ma nulla la lasciava presagire, per esempio le dichiarazioni sull’allora ministro dell’Integrazione del governo Letta, Cécile Kyenege. «Io la chiamo negra. Altrimenti come vuoi chiamarli? Non è oltraggioso, è la solita ipocrisia». Parole dure, lontane dalle idee di sinistra che Villaggio ha sempre detto di avere. Nessuno ha voluto ricordarlo. E nessuno, probabilmente, le ricorderà oggi in Campidoglio per la camera ardente e a seguire nella cerimonia laica alla Casa del Cinema di Roma. 
Eppure sono pensieri, politicamente scorretti, ma non lontani dal personaggio che Villaggio ha mostrato al pubblico. La sua cattiveria contro le persone semplici, il suo accanirsi contro chi ride di Fantozzi, non capendo che stavano ridendo di loro stessi. E il suo ghigno inconfondibile era quello di uno che ce l’aveva fatta a liberarsi della «sindrome» fantozziana e ora ricco e famoso, una cosa che l’artista amava spesso sottolineare, poteva fare quello che voleva. Anche di prendersela con i merdionali come un leghista qualsiasi: «I liguri hanno la presunzione di essere precisi come anglosassoni, distanti dalla cultura sudista, borbonica, piaga d’Italia», parole dette con rabbia in tv dopo l’alluvione che colpì la sua amata Genova. O addirittura di criticare le Paralimpiadi nel 2012. «Fanno molta tristezza, sono la rappresentazione di alcune disgrazie e non si dovrebbero fare perché sembra una specie di riconoscenza o di esaltazione della disgrazia. La mia non è crudeltà, ma è crudele esaltare una finta pietà. Questo è ipocrita». Parole che sembrano uscite dalla bocca, più che di Fantozzi, da quella di qualche Mega presidente galattico, Gran Lup. Mann. Gran figlio di putt...