Il Messaggero, 5 luglio 2017
«Cancro, dire addio al fumo». Intervista a Pierluigi Granone
Non basta la diagnosi di tumore al polmone per far smettere di fumare. Non bastano il lungo elenco di esami, l’intervento, le cure e la vittoria sul cancro per far abbandonare le sigarette al 5-10% dei pazienti.
«Passato il momento tragico, ripresa, pur con difficoltà respiratorie ed altre complicanze, la vita quotidiana questo gruppo di uomini e donne non riesce proprio a non ricominciare» denuncia Pierluigi Granone ordinario di Chirurgia toracica all’università Cattolica di Roma e presidente della Società italiana di chirurgia toracica.
È un numero alto di pazienti...
«Purtroppo sì. Di questo aspetto non si parla mai. Invece, credo sia importantissimo far capire che l’abbandonare le sigarette è parte della terapia. I pazienti devono rendersi conto da subito del pericolo a cui vanno incontro»
Sembra incredibile che la paura non porti a cambiare questa abitudine, vero?
«Dopo essere stati informati della malattia la maggior parte dei pazienti, come è prevedibile, viene pervasa da una grande ansia. Poi, si affida al medico e segue le terapie. Se le condizioni della malattia lo permettono è possibile ricominciare la vita di tutti i giorni. C’è una porzione di malati, però, che rimuove molto rapidamente il problema dopo le cure e l’intervento. E, non sappiamo quanto consapevolmente, decide di sfidare nuovamente la sorte».
La sfida è il ricominciare?
«Esatto. Io la chiamo sfida ma potrebbe essere la dipendenza che torna prepotente. Per questo non finirò mai di ripetere che bisogna farsi aiutare a smettere se si pensa di non farcela. Magari con i corsi collettivi»
Perché basta una sigaretta...
«Sì, basta una sola sigaretta e si ricomincia rischiando di mandare all’aria l’equilibrio dell’organismo faticosamente raggiunto».
E quella elettronica?
«La sconsiglio perché si mantiene comunque la gestualità e può essere pericolosa. Ogni tipo di fumo va dimenticato»
Oggi questa neoplasia si affronta anche con interventi mininvasivi.
«Su questo punto dobbiamo fare chiarezza. Mininvasiva può essere la via di accesso per arrivare al tumore. Ma, una volta che si esplora, è possibile che la demolizione interna sia importante. Dipende dall’esito della biopsia che facciamo in sala operatoria»
E anche dal tipo di tumore?
«Per il polmone la differenza sta nella sede dove è posizionato, se centrale o periferico. Ed è essenziale la precocità della diagnosi»
In Italia ad oltre 40mila persone, ogni anno, viene diagnosticato un tumore al polmone. Sono ancora gli uomini i più colpiti?
«Sì sono ancora gli uomini. Ma le donne continuano a fumare e li stanno raggiungendo. Spesso arrivano per paura ad una diagnosi tardiva. E anche loro fanno fatica a disintossicarsi. Anche perché tutta la famiglia dovrebbe dare una mano. Niente più sigarette in giro, nessuno in balcone a fumare»
Lei ha parlato di sfida, crede che molti pazienti, dopo essere stati curati, si credono ormai definitivamente fuori dal problema?
«Non si può credere che il tumore sia come il morbillo. Che una volta preso non possiamo più contrarlo».