Internazionale, 30 giugno 2017
Il Brasile sotto inchiesta
È il 14 gennaio 2015. L’agente di polizia Newton Ishii è all’aeroporto Galeào di Rio de Janeiro e sta aspettando il volo di mezzanotte proveniente da Londra. La sua missione è semplice: sull’aereo c’è un ex dirigente della Petrobras, l’azienda petrolifera di stato del Brasile. Ishii deve arrestarlo e consegnarlo ai magistrati perché lo interroghino. Niente di che, pensa l’esperto poliziotto. Ha già partecipato a tante operazioni anticorruzione: di solito esce qualche titolo sui giornali, poi tutto viene dimenticato e i responsabili continuano ad agire come se non fosse successo niente. In Brasile c’è un detto popolare: acabou em pizza, è finita a tarallucci e vino.
Finalmente l’aereo atterra. L’uomo di Ishii si riconosce facilmente: Nestor Cerveró ha il volto asimmetrico, con l’occhio sinistro più in basso rispetto al destro. Ishii lo informa che è in arresto. Incredulo, Cerveró chiama il fratello e un avvocato: si aspetta di essere rilasciato prima del mattino. Anche Ishii non si fa molte illusioni che Cerveró resti dentro a lungo. Anni di esperienza nella polizia gli hanno insegnato che i ricchi e i potenti ci mettono pochissimo a tirarsi fuori dai guai, e non c’è motivo di credere che questa volta sarà diverso. Si sbagliano entrambi.
Restare al potere
Cervero è arrestato nell’ambito di un’inchiesta chiamata lava jato (autolavaggio), che squamerà il velo su una rete di corruzione senza precedenti. All’inizio la stampa lo definisce lo scandalo di corruzione più grande nella storia del Brasile. Poi, a mano a mano che si scoprirà il coinvolgimento di altri paesi e di imprese straniere, diventerà lo scandalo più grande del mondo. L’indagine rivelerà trasferimenti illeciti di denaro per più di 5 miliardi di dollari a dirigenti d’azienda e ai partiti, porterà all’arresto di vari miliardari, trascinerà un presidente in tribunale e provocherà danni irreparabili a grandi aziende internazionali. Soprattutto, rivelerà l’esistenza di una cultura della corruzione sistematica nella politica brasiliana e causerà un contraccolpo cosi forte nelle istituzioni da far cadere un governo e farne vacillare un altro.
All’inizio l’inchiesta, avviata nel marzo del 2014, si concentra su una serie di operatori chiamati doleiros (operatori finanziari del mercato nero), che si servono di piccoli esercizi commerciali come pompe di benzina o autolavaggi per riciclare i profitti della criminalità. La polizia, però, si accorge di aver messo le mani su qualcosa di grosso quando capisce che alcuni doleiros lavorano per conto di un alto dirigente della Petrobras, Paulo Roberto Costa, responsabile della raffinazione e delle scorte di greggio. Il collegamento porta gli inquirenti a scoprire una vasta e intricata rete di corruzione. Interrogato, Costa racconta che lui, Cerveró e altri dirigenti della Petrobras gonfiano deliberatamente gli appalti per i lavori di ristrutturazione degli uffici, le trivelle, le raffinerie e le navi da esplorazione. Ai fornitori viene permesso di lavorare a condizioni molto vantaggiose se versano in tangenti una quota che oscilla tra l’i e il 5 per cento di ogni contratto.
Dopo aver dirottato milioni di dollari in questi fondi, i dirigenti della Petrobras li usano per pagare i politici che li hanno nominati e i rispettivi partiti. L’obiettivo principale di questo traffico illecito, che sottrae miliardi di dollari a contribuenti e azionisti, è il finanziamento delle campagne elettorali per mantenere al potere la coalizione di governo.
Ma a beneficiarne non sono solo i politici: chiunque sia collegato agli appalti riceve una tangente in denaro o sotto forma di auto di lusso, opere d’arte, orologi Rolex, bottiglie di vino da tremila dollari, yacht ed elicotteri. Enormi somme di denaro vengono depositate su conti in Svizzera o riciclate attraverso attività immobiliari o società all’estero. I trasferimenti sono fatti con sistemi volutamente complicati per nascondere l’origine dei soldi, o vengono fatti di persona per non far risultare nulla nei bilanci. Anziani corrieri volano da una città all’altra con addosso mazzette di banconote avvolte nel cellophane.
La Petrobras non è un’azienda qualunque. Oltre ad avere la valutazione di mercato più alta – e anche i debiti più pesanti – di tutta l’America Latina, è il simbolo di un’economia emergente che cerca di sfruttare la più grande riserva di petrolio scoperta nel ventunesimo secolo: gli enormi giacimenti di greggio al largo della costa di Rio de Janeiro. La Petrobras assorbe più di un ottavo di tutti gli investimenti in Brasile, garantendo centinaia di migliaia di posti di lavoro nell’edilizia, nella cantieristica navale e nelle raffinerie, e collaborando con fornitori internazionali come la Rolls-Royce e la Samsung Heavy Industries.
L’azienda è anche al centro della vita politica del paese. Dal 2003 al 2010, durante la presidenza del leader del Partito dei lavoratori (Pt, sinistra) Luiz Inàcio Lula da Silva, gli alleati politici sono nominati in ruoli dirigenziali per sostenere la maggioranza in parlamento. Come dimostra l’inchiesta lava jato, scoprire i segreti dell’azienda significa far venire agalla i misteri dello stato.
Prima, però, gli inquirenti devono convincere i dirigenti a parlare. Nel 2015 in Brasile la cultura dell’impunità è dominante ma, come scopre sulla sua pelle Nestor Cerveró, i tempi stanno cambiando.
Quando vede com’è ridotto il materasso nel centro di detenzione dell’aeroporto Cerveró chiede: “Come faccio a sdraiarmi?”.
“O si sdraia lì o dorme in piedi”, risponde Ishii. Cerveró si addormenta e viene svegliato bruscamente alle sei di mattina.
“Dov’è la mia colazione?”, protesta.
“Non farà colazione”, dice Ishii. “La sto portando a Curitiba”.
Curitiba, il cuore dell’inchiesta lavajato, è la capitale dello stato di Paranà, nel sud del paese. Gli 845 chilometri che la separano da Rio non sono tanti per gli standard brasiliani, ma dal punto di vista culturale la città è completamente diversa. È chiamata “la Londra del Brasile”, perché i suoi abitanti sono più pignoli e diligenti rispetto a quelli delle grandi metropoli del nord. Negli ultimi anni è stata elogiata all’estero per il suo sistema di trasporti all’avanguardia, per le politiche ambientali e i locali alla moda. Con l’inchiesta lavajato è diventata famosa soprattutto per i magistrati e i poliziotti.
Metodi discutibili
L’inchiesta è partita grazie a una semplice riforma. Nel 2010 Diima Rousseff è subentrata a Lula come leader del Pt e ha assunto la guida di un governo di coalizione. Nel 2013, dopo una serie di manifestazioni contro la corruzione in tutto il paese, la presidente ha cercato di calmare l’opinione pubblica accelerando l’approvazione di un pacchetto di leggi per combattere il ricorso sistematico alle truffe. Tra le nuove misure viene introdotto, per la prima volta in Brasile, il patteggiamento: i magistrati possono accordarsi con i sospetti proponendo uno sconto di pena in cambio d’informazioni che porterebbero all’arresto di persone importanti.
A Curitiba c’è Sérgio Moro, un giovane e ambizioso magistrato che aiuta gli inquirenti a mettere sotto pressione i sospetti autorizzando lunghe carcerazioni preventive. Di solito in Brasile i detenuti che restano in custodia prima del processo sono persone povere. Moro fa la scelta coraggiosa di negare la libertà su cauzione anche ai ricchi: vuole impedirgli di sfruttare la loro influenza economica o politica per sfuggire alle accuse. Così la pressione è sugli accusati: o patteggiano o restano in carcere.
Cerveró non è il primo a trovarsi di fronte a questa scelta. Fa parte di una lista di persone – dirigenti d’azienda, ricchi imprenditori e, di lì a poco, anche un paio di politici influenti – che da mesi sono nel centro di detenzione di Curitiba. Sono tenuti separati dagli altri detenuti per motivi di sicurezza, quindi il loro braccio è sovraffollato. In ogni cella singola sono stipati tre di questi ricchissimi carcerati, abituati a vivere nel lusso. Cerveró ha seri problemi di adattamento e i compagni di cella si lamentano perché la notte gli urina addosso e si fa il bidet nel lavandino. Se i detenuti non collaborano con l’accusa, gli vengono negati privilegi come la tv e l’esercizio fisico. “Molti sospetti patteggiano dopo le visite dei familiari”, dice una guardia carceraria che chiede di restare anonima. Alcuni resistono per mesi, altri per pochi giorni. Ma alla fine cedono tutti.
Gli avvocati della difesa si lamentano, in parte a ragione, del fatto che questi metodi sono giuridicamente e moralmente discutibili, perché gli accusati sono disposti a dire o a fare qualsiasi cosa pur di uscire di prigione. Ma secondo i sondaggi, l’opinione pubblica è contenta che il problema della corruzione sia finalmente smascherato in una grande inchiesta condotta a livello nazionale.
Quasi ogni giorno in prima pagina si legge la notizia di una nuova operazione condotta all’alba dalla polizia o di altre rivelazioni sconvolgenti: due miliardi di dollari sottratti alle casse della Petrobras per tangenti e pagamenti occulti ai fornitori, 3,3 miliardi di dollari di tangenti pagate dall’impresa edile Odebrecht, più di mille politici corrotti dall’azienda d’imballaggio della carne Jbs, sedici aziende coinvolte, almeno cinquanta parlamentari accusati e quattro ex presidenti sotto inchiesta.
A mano a mano che emergono le proporzioni del fenomeno, molti brasiliani sfogano la loro rabbia sui politici: all’inizio soprattutto su Lula, Rousseffe gli altri dirigenti del Pt. I mezzi d’informazione dichiarano a gran voce che gli “sporchi socialisti” di Brasilia sono gli unici responsabili dello scandalo. La realtà, però, è molto più sfumata.
Praticamente tutti i principali partiti del paese sono coinvolti in filoni di corruzione multipli e collegati tra loro che risalgono ai governi precedenti. La riforma del sistema giudiziario che permette all’inchiesta di andare avanti è stata realizzata dal Pt. Se nel settembre del 2013 il governo non avesse nominato un procuratore generale indipendente, non ci sarebbe stata nessuna indagine.
I giornalisti contrappongono il mondo sporco della politica al nobile operato dei magistrati di Curitiba. Quando Moro entra in un ristorante la gente si alza per applaudirlo. Per strada ci sono graffiti e striscioni appesi ai balconi con la scritta “Dio salvi Moro”. I manifestanti agitano cartelli che inneggiano a “Moro presidente”. Quello di Ishii diventa il volto pubblico dell’inchiesta: è sempre lui ad accompagnare i sospetti dall’aeroporto al centro di detenzione e in tribunale, quindi il poliziotto compare ir tutte le foto e nei video collegati all’indagine. È soprannominato o japonés bonzinho il giapponese buono. A carnevale gli dedicano un carro allegorico alto sei metri e una canzone samba. Il testo parla di un sospetto che si sveglia e scopre di essere finito nel mirino dell’inchiesta lava jato: “Oddio, sono politicamente morto. C’è un poliziotto giapponese che bussa alla porta”.
Una decisione epocale
Di persona Ishii è circospetto e sobrio. Qiiando vado a trovarlo nel suo semplice appartamento a Curitiba ridimensiona il suo ruolo. Spiega che questa improvvisa celebrità è diventata una trappola. Durante un evento pubblico è stato assalito da una folla adorante ed è stato scortato fuori dalle guardie del corpo. Un vigile lo ha fermato per chiedergli l’autografo. Perfino i parenti dei detenuti coinvolti nell’inchiesta gli chiedono di scattarsi una foto con lui e gli dimostrano la loro ammirazione.
Ishii si accorge che lavajato non è la solita inchiesta quando vede che i ricchi imprenditori non solo vanno in prigione, ma ci restano. “In quel momento ho capito tutto.
Tieni presente che siamo in un paese in cui c’è il detto ‘solo i poveri vengono arrestati’: Ho pensato: ecco, ora anche i milionari vanno in prigione”.
Ed è solo l’inizio. Dai dirigenti d’azienda gli inquirenti passano ai politici. In Brasile i senatori e i parlamentari, anche i più avidi e disonesti, sono da sempre tutelati dall’immunità. Per i giudici, però, si sta aprendo un’opportunità: la magistratura guadagna consensi, l’elettorato è arrabbiato e i tradizionali legami di solidarietà si stanno incrinando. Agli inquirenti serve solo un espediente.
Per far uscire allo scoperto i politici più influenti del paese i magistrati preparano una stangata usando Cerveró come esca. Deicidio do Amarai, a – capogruppo del Pt al senato, è un – ex collaboratore di Cerveró: i due hanno lavorato insieme alla Petrobras dal 2000 al 2001. Da quel momento Cerveró è diventato il fedele servitore di Amarai e ha raccolto contributi illeciti per i vari partiti con cui il senatore di volta in volta si era schierato. Dopo l’arresto di Nestor Cerveró, Amarai sa che rischia di essere denunciato e, per convincerlo a non parlare, organizza un incontro a Brasilia con il figlio, Bernardo Cerveró.
Il 4 novembre 2015 Amarai incontra Bernardo al Royal Tulip hotel. Il senatore non sa che il figlio di Cerveró sta registrando la conversazione. Amarai gli offre un milione di dollari in contanti più un mensile di temila dollari in cambio del silenzio di Nestor Cerveró, ma Bernardo rifiuta. A quel punto Amarai gli dice che potrebbe far evadere Cerveró.
“Come?”, chiede Bernardo.
Per prima cosa, spiega Amarai, usando la sua influenza per fare pressione su un certo giudice e ottenere gli arresti domiciliari. Poi gli spiega nei minimi particolari come disattivare il braccialetto elettronico del prigioniero per permettergli di scappare indisturbato. Una volta libero, Cerveró salirà su un aereo privato diretto in Paraguay. Amarai organizzerà tutto.
Appena i magistrati ascoltano la registrazione ordinano l’arresto del senatore. L’accusa è di cospirazione per intralcio alla giustizia. È una decisione senza precedenti: in Brasile nessun senatore nell’esercizio delle sue funzioni è mai stato arrestato negli ultimi trentanni. Amarai viene arrestato la mattina del 26 novembre 2015. Accetta subito di collaborare con gli inquirenti e racconta tutto quello che sa sulle attività illecite dei colleghi, compresa la presidente Diima RoussefF, che accusa di cospirazione per intralcio alla giustizia. Amarai indica l’ex presidente Lula come la mente del sistema di corruzione della Petrobras.
Secondo il senatore, è stato Lula a organizzare il sistema di tangenti e a chiedergli di far espatriare Cerveró per proteggere un amico coinvolto nelle trattative tra il mondo politico e i vertici dell’azienda petrolifera. Lula e Roussef smentiscono le accuse e affermano che Amarai sta mentendo per salvare se stesso. “Non immaginavo che fosse un farabutto simile”, dice Jacques Wagner, capo di gabinetto di RoussefF, in una conversazione telefonica con Lula registrata dalla polizia. Mentre i suoi avversari lo accusano di tradimento, Amarai si descrive come un eroe al servizio del paese che, con la sua testimonianza, ha consegnato i potenti alla giustizia.
“Siccome ero uno che parlava con il governo, con il parlamento, con i grandi imprenditori brasiliani, con la Petrobras, con Electrobras (l’azienda elettrica), coi tutti i pezzi dello stato, non avevo dubbi che la mia collaborazione sarebbe stata uni spartiacque nell’inchiesta”, mi dice ii un’intervista.
La scelta di collaborare con la giustizi; permette ad Amarai di vivere agli arrest domiciliari nella lussuosa villa del fratelli in uno dei quartieri più eleganti di Sào Pau lo. Quando vado a intervistarlo, mi apre 1; porta una cameriera che mi fa passare ac canto a una piscina e a una jacuzzi all’aper to, poi mi porta in un bar privato arredate con insegne al neon della birra Coors e Mil ler, un jukebox Wurlitzer e una serie di ci meli tra cui il casco da Formula 1 di Ayrtor Senna, i guantoni da boxe di Mike Tyson l’autografo incorniciato dell’astronaut; Buzz Aldrin e la chitarra di Eric Clapton.
Amarai lascia aperta la possibilità di ur suo ritorno in politica. Il sistema ha bisogne di cambiare, dice, perché la corruzione si e radicata nel paese da molto prima che il P arrivasse al potere.
Matrimonio di convenienza
Il mondo politico brasiliano è particolarmente permeabile alla corruzione. Con decine di partiti ed elezioni a tre livelli – federale, statale e municipale – in uno dei paes più grandi del mondo, le campagne elettorali sono molto costose ed è quasi impossibile che un partito ottenga da solo la maggioranza. Per governare bisogna vincere le elezioni e pagare gli altri partiti per formare delle coalizioni, ed entrambe le cose richiedono enormi quantità di denaro. Non a case uno dei trofei più ambiti nella politica brasiliana è il potere di nominare i vertici delle aziende di stato, dei veri e propri bacini di raccolta di tangenti milionarie usate per finanziare le campagne elettorali.
Il Pt avrebbe dovuto essere un’eccezione. Aveva promesso di eliminare la corruzione ma, una volta al potere, è rimaste invischiato nel sistema. Nel 2002, dopo essere stato eletto presidente al quarto tentativo, Lula si trovò in minoranza in parlamento. Il suo capo di gabinetto comprò l’appoggio dei partiti minori attraverso pagamenti mensili, mensalào, versati dalle aziende edili in cambio di appalti. Era un illecito, ma permise al Pt di portare avanti il suo programma.
Il primo governo di Lula fece enormi passi avanti nella lotta alla povertà, nella spesa sociale e nei controlli ambientali. Nessuno dei tre successivi governi del Pt ha ottenuto risultati simili. Ma dal momento che le riforme passavano solo grazie alle bustarelle, erano risultati costruiti sulle sabbie mobili.
Nel 2004, quando scoppiò lo scandalo del mensalào, il Pt smise di pagare i suoi alleati di governo e Lula si trovò di nuovo in minoranza in parlamento. Soprattutto, rischiava di essere messo in stato d’accusa. Quindi si rivolse a uno dei principali avversari del Pt, il Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb) guidato da Michel Temer. Era un matrimonio di convenienza destinato all’insuccesso.
Il Pmdb è il più grande partito del Brasile, ma non ha mai preso una posizione ideologica o assunto un ruolo di guida, preferendo stringere accordi per sostenere i governi. È un’accozzaglia di fazioni che mette insieme proprietari terrieri conservatori, socialdemocratici di città, nazionalisti evangelici ed ex guerriglieri, tutti accomunati dal desiderio di assicurarsi i benefici, il prestigio e le bustarelle che derivano dagli incarichi di governo. Il partito è coinvolto in tutti gli scandali di corruzione della storia recente del paese. Ma Lula, disperato, strinse l’accordo. In cambio dell’appoggio in parlamento, il Pt cedette al Pmdb di Temer il controllo della divisione internazionale della Petrobras e dei grandi flussi di denaro che passavano per l’azienda. Cerveró, all’epoca direttore della divisione, fu incaricato di passare le mazzette ai vari padroni. Era un compito molto difficile: non riuscì a distribuire abbastanza fondi e nel 2008 si fece da parte.
Serve un pretesto.
Il nome di Temer viene citato un’infinità di volte nelle testimonianze dell’inchiesta lava jato. Julio Camargo, consulente dell’azienda edile Toyo Setal, dice che il denaro passava dalla Petrobras a un lobbista che rappresentava esponenti di punta del Pmdb, tra cui Temer. Un industriale racconta che Temer ha ordinato trasferimenti illeciti nelle casse del partito e si è messo alla guida del Pmdb per controllare chi incassava i milioni di dollari provenienti dalla Petrobras, dalla Odebrecht e dai rispettivi fornitori. Claudio Melo Filho, ex vicepresidente della Odebrecht, dice in una testimonianza che nel 2014 ha donato in segreto dieci milioni di reai (2,7 milioni di euro) per finanziare la campagna elettorale di Temer.
Da parte sua Temer, un giudice costituzionale, smentisce pubblicamente definendo le ipotesi di illecito “fantasiose“e “non veritiere”. Nonostante la lunga lista di accuse, quasi nessuna viene confermata. Altre testimonianze contro di lui vengono ritirate e non ci sono capi d’imputazione. Secondo gli inquirenti mancano le prove: Temer sembra intoccabile.
All’inizio del 2016 l’economia brasiliana sprofonda nella recessione. La causa principale è il crollo mondiale del prezzo delle materie prime, ma l’inchiesta lava jato aggrava la situazione. La magistratura ordina alla Petrobras di sospendere i rapporti con molti dei suoi fornitori, tra cui la Odebrecht, la più grande impresa edile deH’America Latina. I progetti sono congelati, i lavoratori licenziati e, nel giro di due anni, la disoccupazione quasi raddoppia. Anche l’attività politica è paralizzata. Dopo l’arresto di Amarai i parlamentari sanno che non possono più contare sul loro potere politico per evitare i processi, e i rapporti tra i partiti si complicano.
Durante l’intervista il senatore Amarai sostiene di aver avvertito più volte Rousseff di non calcare troppo la mano con l’inchiesta lava jato. “Ha sempre sottovalutato l’indagine perché pensava che sarebbero arrivati a tutti tranne che a lei”, racconta. “Era sicura di uscirne rafforzata”.
Per gran parte dell’opinione pubblica la responsabilità della crisi economica e dello stallo politico è proprio del Pt, al potere da più di dieci anni. La fiducia verso Rousseff è ormai bassissima, sotto il dieci percento. La presidente è ancora meno popolare in parlamento per colpa delle sue scarse capacità di comunicazione, della sua eccessiva riservatezza e della sua testardaggine. Senatori e deputati di primo piano sono furiosi perché Rousseff si rifiuta di fermare l’inchiesta guidata da Sergio Moro e di proteggere i ministri più importanti della sua coalizione di governo.
Il piano per rimuovere la presidente dal suo incarico comincia nel novembre del 2015 per mano di uno dei politici più corrotti del paese, Eduardo Cunha, deciso a fermare 0 a sviare l’inchiesta. Cunha, presidente della camera, è un alleato di Temer nel Pmdb ed è noto per le sue trame e i suoi sotterfugi. È anche uno dei principali obiettivi di lava jato. Quello stesso anno i magistrati lo accusano di corruzione e falsa testimonianza: hanno messo le mani sui suoi conti segreti in Svizzera, dove ci sono più di cinque milioni di dollari e una serie di estratti della carta di credito che tradiscono uno stile di vita molto al di sopra del suo reddito dichiarato di nomila dollari.
Il Pt si rifiuta di difenderlo dalle accuse della commissione etica della camera e Cunha si vendica autorizzando una delle tante richieste di messa in stato di accusa contro Rousseff. La presidente è accusata di falso in bilancio: avrebbe manipolato i dati della legge finanziaria per nascondere la crescita del debito pubblico. La strategia, chiamata “pedalata fiscale”, era già stata usata da altri governi nella totale impunità, anche se su scala più ridotta. Ma il punto è un altro: i politici presi di mira dall’inchiesta cercano un pretesto per rispondere al fuoco.
Ostacolo da eliminare
Il 4 marzo 2016 i magistrati trattengono brevemente Lula per interrogarlo sul sistema di tangenti della Petrobras. È in piedi anche l’ipotesi di traffico d’influenze per presunti contratti promessi alla Odebrecht in cambio di generosi finanziamenti alle aziende di proprietà dei parenti dell’ex presidente. Una settimana dopo, il 13 marzo, milioni di persone scendono in piazza per protestare contro il governo: alzano in aria bambole gonfiabili di Lula vestito da carcerato, cantano slogan contro Rousseff e agitano le scope per chiedere di spazzare via la corruzione. Di certo Lula e Rousseff hanno tratto vantaggi politici dalla corruzione, ma non è affatto chiaro se abbiano avuto dei vantaggi personali, soprattutto nel caso della presidente. Invece l’ipocrisia di molti dei loro accusatori è sconcertante. Molti parlamentari che voteranno per la destituzione di Rousseff sono incriminati o indagati per reati molto più gravi. A maggio del 2016, mentre la procedura di destituzione va avanti, Michel Temer diventa presidente ad interim anche se il suo nome è comparso molte volte nell’inchiesta lava jato insieme a quello di sette ministri del suo governo. Qualcuno ipotizza che il leader del Pmdb sia protetto per assicurare un minimo di stabilità al paese durante una fase politica turbolenta.
Le cose non cambiano neanche nel giugno del 2016, quando Temer è giudicato colpevole di aver violato la legge elettorale, ed è interdetto dai pubblici uffici per otto anni da un giudice di un tribunale di Sào Paulo. Come presidente ad interim, è protetto dall’immunità. L’inchiesta, partita per fare luce sulla corruzione del sistema, finisce per aiutare il leader del partito più opportunista del Brasile a conquistare la più alta carica dello stato. 1 sostenitori di Rousseffgridano al golpe, anche se la destituzione è stata autorizzata dal tribunale supremo, composto in maggioranza da giudici nominati dal Pt e votati da un’ampia maggioranza in tutti e due i rami del parlamento. Temer sostiene che la legge è stata rispettata: “Il Brasile ha attraversato un periodo difficile di tensioni politiche, ma la costituzione è stata onorata”. Di lì a poco, però, si scoprirà che molti dei suoi sostenitori vogliono salvare sé stessi piuttosto che il paese.
Nei primi cinque mesi del mandato di Temer tre ministri sono costretti a dimettersi dopo la pubblicazione di una serie d’intercettazioni telefoniche secondo cui Rousseff è stata allontanata perché non ha voluto fermare l’inchiesta lava jato.
“Dobbiamo fermare questo casino. Dobbiamo cambiare governo per arginare l’emorragia”, dice uno dei cospiratori, Romero Jucà, capogruppo del Pmdb al senato, a Sérgio Machado, ex presidente della Transpetro, l’azienda di trasporto di petrolio e gas più grande del Brasile. All’insaputa di Jucà, la conversazione viene registrata. Durante la telefonata, avvenuta a marzo del 2016, Jucà rivela di aver discusso il piano con alcuni giudici del tribunale supremo e con ufficiali dell’esercito: l’obiettivo è destituire Rousseff e mettere Temer al suo posto. Secondo Jucà, le sue parole sono state lette fuori contesto.
Ma escludere dal governo il Pt è solo il primo passo dell’operazione per fermare l’indagine. I cospiratori hanno un altro problema: Teori Zavascki, il giudice del tribunale supremo che coordina l’inchiesta e si è dimostrato incorruttibile.
“Un modo (per fermare l’operazione) è trovare qualcuno che abbia accesso a Teori, ma a quanto pare non ce nessuno”, dice Machado nell’intercettazione.
“È blindato”, concorda Jucà.
L’ostacolo sarà presto eliminato.
Il 19 gennaio 2017, durante un temporale, un aereo a doppia elica Hawker Beechcraft in volo da Sào Paulo a Rio de Janeiro precipita nell’oceano vicino a Paraty, a 240 chilometri a ovest di Rio. Tutti i passeggeri a bordo muoiono. Sembrerebbe un banale incidente aereo se non fosse che una delle vittime è il giudice Teori Zavascki.
Inevitabilmente il tempismo e la natura dell’incidente destano dei sospetti. Zavascki stava rivedendo numerose testimonianze che avrebbero incriminato altri politici in Brasile e in altri paesi dell’America Latina. La famiglia rivela che nell’ultimo anno il giudice aveva ricevuto minacce, di morte.
Dalle prime indagini sul relitto dell’aereo e sulla scatola nera non risultano guasti meccanici. Il pilota era esperto: addestrava gli altri equipaggi ad atterrare sulla piccola pista di Paraty. Ma in Brasile la sicurezza sui piccoli aerei è bassissima. Secondo le ipotesi che circolano sui mezzi d’informazione o il pilota ha sbagliato a valutare l’altitudine o l’aereo e i suoi passeggeri sono stati vittime di un sabotaggio. Qualsiasi siano le cause, le conseguenze dell’incidente sono enormi. Zavascki era diventato il garante della credibilità dell’inchiesta di fronte alle fortissime pressioni politiche e aveva emesso sentenze su alcuni dei casi più delicati. Appena riceve la notizia della morte di Zavascki, Moro dice: “Senza di lui non ci sarebbe l’operazione lavajato”.
Zavascki incarna la posizione idealistica e, alla fine, autolesionista, del Pt nel suo rapporto con il sistema giudiziario. Quando il partito è arrivato al potere, la magistratura e la polizia hanno avuto da subito una libertà d’azione molto più ampia. Sotto il precedente governo conservatore, il procuratore generale Geraldo Brindeiro aveva archiviato talmente tante indagini da essere stato soprannominato engavetadorgeral, archiviatore capo. Lula, invece, ha permesso ai magistrati di eleggere un nuovo procuratore generale, Rodrigo Janot, che è così indipendente da convalidare le accuse contro lo stesso Lula, il fondatore del Partito dei lavoratori.
“Prima di Lula eravamo impotenti”, afferma Luis Humberto, del sindacato di polizia federale. “Il Pt ha aumentato il nostro bilancio, ci ha messo a disposizione più mezzi e ci ha dato più autorità. È un paradosso. Il partito ha perso il potere perché ha fattola cosa giusta”.
Per sostituire Zavascki, Temer sceglie uno dei suoi alleati più fidati. Alexandre de Moraes, il ministro della giustizia, passa direttamente dal governo al tribunale supremo, calpestando il principio costituzionale della separazione dei poteri. Diversi senatori che approvano la nomina – tra cui Jucà e il presidente del senato Renan Calheiros – sono compagni di partito incriminati nell’inchiesta lava jato. Quando un giudice del tribunale supremo ordina a Calheiros di dimettersi in attesa del processo, lui semplicemente lo ignora. Moraes, che non ha nessuna esperienza come magistrato, oggi è uno degli undici giudici del tribunale che esaminerà il suo caso.
Intanto in parlamento la maggioranza guidata dal Pmdb tenta più volte – senza successo – di cambiare la legge per fare in modo che il tribunale non ammetta le testimonianze ottenute con il patteggiamento. Se approvato, il provvedimento permetterebbe a decine di politici di evitare il carcere.
Per il momento gli inquirenti dell’indagine lava jato resistono alle pressioni politiche e allargano perfino la lista degli obiettivi. Dopo aver spostato l’attenzione dalla
Petrobras alla Odebrecht, ad aprile del 2017 i magistrati aprono nuove indagini su decine di politici di tutti i partiti, otto dei quali nel governo di Temer. Nella rete finisce anche la Jbs, una delle più grandi aziende del mondo per la lavorazione della carne. Il 18 maggio i due fratelli proprietari dell’azienda – Joesley e Wesley Batista – patteggiano con i magistrati. Parlano di presunte registrazioni segrete, fatte a marzo, in cui Temer accennerebbe a tangenti per non far parlare Cunha. Svelano particolari su un suo collaboratore corrotto. Il procuratore generale accusa formalmente Temer di cospirazione per intralcio all’inchiesta, prepa rando il terreno per una battaglia costituzionale tra magistratura e governo, e per la richiesta da parte del parlamento di avviare la procedura di messa in stato d’accusa del secondo presidente in un anno. Temer respinge le accuse.
La rete di corruzione supera i confini del Brasile. La Odebrecht ha un vero e proprio ufficio tangenti chiamato “divisione delle operazioni strutturate”, che in quindici anni ha sborsato quasi 800 milioni di dollari di pagamenti illeciti per più di cento contratti in più di dieci paesi. Decine di aziende straniere che forniscono attrezzature ingegneristiche, linee elettriche e trivelle sono nel mirino degli organismi di controllo e degli azionisti per le tangenti pagate per assicurarsi gli appalti della Petrobras. Tra queste ce anche la Rolls-Royce, che registra pesanti perdite pervia delle multe imposte a gennaio dalle autorità brasiliane, britanniche e statunitensi. Anche i Mondiali di calcio e le Olimpiadi sono oggetto di un’inchiesta che riguarda sei stadi sui dodici usati nel 20i4e nel 2016.
Fragile democrazia
L’inchiesta lava jato ha sconvolto la vita politica ed economica del Brasile, alimentando la speranza che, per una volta, la legge valga anche per i ricchi e i potenti. L’arresto di Cerveró per mano dell’agente Ishii, che ha aperto la strada all’incriminazione di decine di politici, è stato un colpo di genio. Diversi senatori, deputati e governatori che fino a poco tempo fa erano intoccabili, compreso Cunha, oggi sono in carcere.
Sono finiti dietro le sbarre anche potenti uomini daffari come Marcelo Odebrecht, capo della grande impresa edile che porta il suo nome. Perfino Ishii, il poliziotto legato all’inchiesta, è stato sospeso dall’operazione lava jato dopo essere stato condannato in appello per un vecchio caso di corruzione. Per la prima volta nella storia recente del Brasile c’è la sensazione reale che nessuno sia al di sopra della legge e che gli scandali non finiscano sempre empizza.
Ma la storia non è ancora finita. Il procuratore generale Rodrigo Janot, che lascerà l’incarico a settembre, è sotto pressione. I partiti moderati di destra e di sinistra sono tutti schierati contro l’inchiesta.
Il governo sta cercando d’intralciare l’indagine tagliando del 44 per cento il bilancio della polizia e riducendo il numero degli agenti che lavorano a lava jato. Moro dovrà avere l’opinione pubblica dalla sua parte quando cominceranno i processi a Lula. Se non sarà arrestato, l’ex presidente vorrebbe ricandidarsi nel 2018.
La corruzione in Brasile ha fatto aumentare le disuguaglianze e ha frenato la crescita economica. Ma l’operazione lava jato è stata un bene per il paese? L’inchiesta ha contribuito ad allontanare il Partito dei lavoratori dal potere e ha aperto la strada a un governo altrettanto corrotto ma molto meno disposto a favorire la trasparenza e l’indipendenza della magistratura. Le accuse che pendono sulla testa di Temer e dei suoi alleati sono così numerose che difficilmente il presidente riuscirà a mantenere l’incarico fino al 2018, quando scadrà il mandato (il 26 giugno Temerò stato formalmente accusato di corruzione). La Petrobras – l’azienda brasiliana di punta dell’epoca di Lula – è in ginocchio, con le aziende straniere che controllano la produzione dei nuovi giacimenti petroliferi. Le grandi aziende e i politici moderati sono stati completamente j screditati, e gli elettori non hanno più nessuno in cui credere. A vacillare non sono solo le istituzioni, ma l’intera repubblica.
Sul lungo periodo la speranza è che l’inchiesta riesca a trasformare il Brasile in un paese più giusto e più efficiente, guidato da politici più onesti e rispettosi della legge. Ma c’è il rischio che l’operazione lava jato faccia crollare la fragile democrazia del paese, aprendo la strada a una teocrazia evangelica di destra o a un ritorno della dittatura militare. Se questo tentativo di fare piazza pulita sarà un bene per il Brasile non dipenderà solo da chi cadrà, ma anche da chi verrà dopo.