Corriere della Sera, 5 luglio 2017
L’Inps: salario minimo a 9 euro l’ora. Più aiuti per le pensioni dei giovani
ROMA Per sostenere il lavoro e le pensioni dei giovani, sottoposti al calcolo contributivo, lo Stato dovrebbe intervenire «fiscalizzando una componente dei contributi previdenziali all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato». È la proposta che il presidente Tito Boeri ha lanciato presentando il rapporto annuale dell’Inps. Una proposta che si inserisce nel confronto tra lo stesso governo e i sindacati in vista della legge di Bilancio per il 2018. Cgil, Cisl e Uil anche ieri, in un incontro al ministero, hanno ribadito la richiesta di fermare il meccanismo di legge che prevede l’adeguamento automatico dell’età per la pensione di vecchiaia alla speranza di vita. Meccanismo che potrebbe far salire dal 2019 l’età per la pensione di vecchiaia dagli attuali 66 anni e 7 mesi a 67 anni.
Secondo Boeri bloccare l’aggiustamento «non è affatto una misura a favore dei giovani. Scarica sui nostri figli e sui figli dei nostri figli i costi di questo mancato adeguamento». Meglio, invece, ridurre il cuneo fiscale sul lavoro per i giovani, il che favorirebbe le assunzioni a tempo indeterminato senza danni sulla pensione perché i contributi risparmiati dalle aziende verrebbero accreditati dallo Stato agli stessi lavoratori.
Ma questa non è l’unica proposta con la quale Boeri entra, come sua abitudine, nel vivo del dibattito politico. Il presidente dell’Inps, ricordando che in questi due anni e mezzo si è fatto «tanti nemici» e rivendicando con orgoglio il ruolo dell’istituto e le «molte cose ancora da fare», ha esordito chiedendo al Parlamento di «cambiare la denominazione» dell’Inps da «Istituto nazionale della previdenza sociale» a «Istituto nazionale della protezione sociale» perché su 440 prestazioni erogate dall’Inps solo 150 sono di natura pensionistica. L’Inps insomma come architrave del welfare. E qui Boeri è tornato a sostenere l’importanza degli immigrati: «Abbiamo bisogno di loro per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale». Il rapporto contiene una simulazione di cosa accadrebbe se si bloccassero gli ingressi degli extracomunitari, «nei prossimi 22 anni avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps».
Positivo il giudizio di Boeri sul Jobs act, soprattutto perché ha favorito la crescita delle aziende: «C’è stata un’impennata del numero di imprese private che superano la soglia dei 15 addetti: dalle 8mila al mese di fine 2014, siamo passati alle 12mila dopo l’introduzione del contratto a tutele crescenti». Il presidente ha quindi proposto il salario minimo per legge. Potrebbero essere i 9 euro netti l’ora previsti dai nuovi voucher. Le reazioni dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali sono per lo più negative, rimproverando a Boeri un eccesso di protagonismo e chiedendo al governo di varare finalmente la riforma della governance.
Enrico Marro
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Ma con meno donne al lavoro i conti non tornano
Più italiane al lavoro uguale più contributi versati nelle casse dell’Inps. Non solo: più le donne guadagnano e più fanno figli. Di conseguenza l’età media della popolazione si abbassa. E aumentano i lavoratori che versano contributi. Ecco perché i conti della Previdenza saranno sostenibili nel lungo periodo solo con più donne occupate.
Questo fa presente l’Inps nel rapporto annuale presentato ieri a Roma. Valutazione rafforzata dal presidente dell’istituto, Tito Boeri, con la sua relazione. La «questione femminile» passa così da problema privato, o al massimo adatto a qualche circolo postfemminista, a «questione nazionale».
Nella sua analisi l’Inps elenca alcune evidenze per nulla scontate. La prima: a differenza del passato, quando a diventare mamme erano soprattutto le donne che si dedicavano al 100% alla famiglia, oggi sono le lavoratrici a fare più figli. Il rapporto non spiega questo cambio di rotta, anche se qualcosa lascia intendere: gli italiani sarebbero disposti a riprodursi solo se il reddito a disposizione è adeguato. E spesso uno stipendio solo non basta. L’Inps ha valutato cosa succederebbe ai suoi conti se la quota di lavoratrici sul totale delle italiane in età da lavoro (15-64 anni) rimanesse invariata da qui al 2040. Bene, il risultato è che in media ogni anno verrebbero a mancare 69 mila assunte. Nel 2040 le lavoratrici sarebbero il 10% in meno rispetto a oggi. Le minori entrate per l’Inps arriverebbero a toccare i 42 miliardi nel 2040. «E questo nell’ipotesi più ottimistica in cui le donne che non lavorano non diventino beneficiarie di assistenza sociale», fa presente Boeri.
L’analisi dell’istituto mostra che le lavoratrici in media diventano madri un anno più tardi. Forse anche perché sanno di essere penalizzate sul piano delle retribuzioni: dopo la nascita del figlio quelle che si tengono stretto il posto perdono il 10% della busta paga. Se si tiene conto anche di quelle che si ritirano dal lavoro, in media dopo 24 mesi le neomamme guadagnano il 35% in meno.
Nel rapporto è contenuta anche una prima seria analisi dell’impatto del congedo obbligatorio dei papà alla nascita del figlio. Si tratta di due giorni a retribuzione piena. Inps stima che i padri che ogni anno dovrebbero prendere il congedo perché dipendenti del settore privato dovrebbero essere 230-240 mila. Nella realtà nel 2015 si sono fermati a poco più di 72 mila. «Solo un terzo dei padri prende il congedo – allarga le braccia Boeri —. Impensabile cambiare le abitudini se non si introducono sanzioni per le imprese che violano la legge e se non si va al di là di uno o due giorni di congedo obbligatorio».
Alla fine Boeri mette la sostenibilità dei conti Inps in diretta relazione con la partecipazione delle donne al mercato del lavoro: «Un sistema di protezione sociale può essere reso sostenibile solo ampliando la base contributiva». Avendo più immigrati al lavoro, certamente. Ma anche più donne.
Rita Querzé