La Stampa, 5 luglio 2017
Tito Boeri: «Un buco di 38 miliardi con la chiusura delle frontiere»
Se l’Italia decidesse di chiudere le frontiere a subire più di tutti sarebbero le pensioni degli italiani. Il sistema di protezione sociale verrebbe infatti distrutto nel giro di qualche anno e in un ventennio le casse dell’Inps avrebbero un buco di 38 miliardi di euro. Il calcolo è stato fatto nel rapporto annuale dell’Istituto guidato dal presidente Tito Boeri, in cui è stata simulata una riduzione media ogni anno di 80 mila persone. In un momento in cui l’Italia è stata lasciata sola di fronte a una crisi migratoria senza precedenti, Boeri parla con chiarezza e numeri alla mano.
Nei prossimi 22 anni – secondo questa proiezione – ci sarebbero 73 miliardi di euro in meno di entrare contributive e 35 miliardi in meno di prestazione sociali destinate a immigrati: numeri enormi che porterebbero a un saldo negativo di appunto 38 miliardi. In pratica per coprire il buco servirebbe una manovra in più da fare all’anno. Uno sforzo particolarmente gravoso per i già traballanti conti italiani. Quello che al Paese non serve è quindi la chiusura delle frontiere, né l’ipocrisia della politica.
L’integrazione degli immigrati che arrivano da noi è un processo che richiede del tempo e comporta dei costi, e di questo Boeri si dice consapevole, ma certamente «l’immigrazione, quando mal gestita, può portare a competizione con persone a basso reddito nell’accesso a servizi sociali, piuttosto che nel mercato del lavoro». Però, secondo il presidente, «una classe dirigente all’altezza deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale».
Il lavoro degli immigrati nel nostro paese – la quota della popolazione residente straniera è salita dal 2% del 2000 all’8,3% dello scorso anno – è sempre più importante, anche per finanziare il nostro sistema di protezione sociale. Una funzione destinata a crescere ancora nei prossimi anni. Basti pensare che gli immigrati che arrivano nel nostro paese sono sempre più giovani: i ragazzi sotto ai 25 anni erano il 27,5% nel 1996 e sono saliti al 35% nel 2015. L’Inps ha calcolato che in pratica si tratta di 150 mila contribuenti in più all’anno. Cifre che «compensano il calo delle nascite del nostro paese – spiega Boeri – la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico». E a questo va aggiunto che la popolazione dei lavoratori stranieri in Italia è già oggi giovane ed è costituita per lo più da persone con meno di 45 anni.
L’aiuto che arriva dagli immigrati è anche di diversa natura. I tanti infatti che cominciano a lavorare oggi in Italia raggiungerebbero l’età per la pensione intorno al 2060 e la otterrebbero secondo il calcolo contributivo: numerosi immigrati inoltre – dice Boeri – potrebbero lasciare il paese prima di maturare i requisiti contributivi minimi. Tanto che in passato, anche quando ne avevano diritto, «spesso non hanno chiesto il pagamento della pensione regalandoci i loro contributi». Un regalo che per Tito Boeri vale circa un punto di Pil.
Per questo l’Inps suggerisce alcuni provvedimenti per rafforzare il contributo degli immigrati che va al di là della logica dell’emergenza. E cioè le regolarizzazioni, che negli anni passati sono state «il più potente strumento di emersione del lavoro nero sin qui attivato»: quattro lavoratori regolarizzati su cinque erano contribuenti attivi anche dopo cinque anni dalle regolarizzazioni, la prima del 2002 ha messo in regola nella sola industria più di 227 mila persone.