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 2017  luglio 01 Sabato calendario

Silvio Berlusconi mette altri soldi in Forza Italia

Forza Italia non è fallita ancora una volta grazie al salvagente di Silvio Berlusconi. Con la nuova legge sul finanziamento dei partiti nessun benefattore può oggi versare alla forza politica del cuore più di 100 mila euro, e da qualche anno non potendo più versare lui stesso, il Cavaliere ha fatto aprire il portafoglio a familiari e manager del gruppo Fininvest fino a quella somma (nell’ultimo anno hanno pagato quella tassa i figli del Cavaliere Marina, Pier Silvio e Luigi, il fratello Paolo e i manager Bruno Ermolli, Adriano Galliani e Alfredo Messina). Ma i soldi non bastavano mai, e Berlusconi si è inventato un altro tipo di sostegno finanziario che la legge non prevedendo la fattispecie non aveva espressamente vietato. Forza Italia che era in una situazione finanziaria disperata, con tutti i conti e gran parte dei finanziamenti vantati pignorati dai creditori, è andata a bussare alla porta di vari istituti bancari chiedendo un finanziamento per potere sopravvivere. Con molta gentilezza quelle porte però sono state chiuse all’amministratore del partito, Messina: «Che garanzie mettete sul piatto per avere il prestito che chiedete?». Il partito non ha nulla, e allora è toccato al suo fondatore dare in pegno alla banca titoli di Stato e obbligazioni che lui aveva acquistato per fare concedere a FI un prestito oneroso da 3 milioni di euro. L’ossigeno indispensabile per potere proseguire l’attività a cavallo fra il 2016 e il 2017. 

Nemmeno l’ultimo bilancio finanziario degli azzurri porta buone notizie: ancora una volta l’anno si chiude in disavanzo di 1.450.950 euro, sia pure ridotto rispetto ai 3,546 milioni di perdita dell’anno precedente. Il disavanzo patrimoniale complessivo però sfonda con questa somma il buco dei 100 milioni di euro, passando infatti da un passivo di 98.976.343 a uno di 100.427.293 di euro. 
Questa è la somma delle perdite, a cui si aggiunge una situazione debitoria non meno grave, tanto da ricordare i peggiori disastri finanziari del Pci-PdsDs: i debiti ammontano complessivamente a 100 milioni e 869.549 euro. L’unica fortuna del partito viene dal fatto che quasi tutta quella somma è dovuta a un solo soggetto: Berlusconi, che ha un credito dagli azzurri superiore a 91 milioni. Lui è il primo a rendersene conto: quei soldi non riusciranno mai ad essere restituiti, dopo che il Cavaliere si è visto escutere le fidejussioni bancarie che aveva negli anni garantito per i finanziamenti al partito. Con l’escussione Berlusconi è subentrato come creditore nel 2014 per 46,5 milioni di euro e nel 2015 per altri 43,9 milioni di euro, e sulla somma sono già iniziati a decorrere gli interessi per 657.281 euro. 
Ormai FI non ha grandi spese, e le poche si concentrano sull’affitto di qualche locale e sugli stipendi dei soli due dipendenti effettivi restati in organico, dopo che dal primo marzo 2016 si è conclusa la procedura di licenziamento collettivo di 69 dipendenti. Pesano ancora gli oneri su quei licenziamenti, che hanno inciso sia sul bilancio dell’ultimo anno che su quello dell’anno in corso. 
I problemi vengono dai debiti, che il partito non è in grado di onorare (pure escludendo le partite che riguardano direttamente Berlusconi). Il povero Messina racconta nella sua relazione che «sono pervenuti durante tutto l’arco dell’esercizio numerosi atti di pignoramento presso terzi promossi da diversi fornitori, che hanno immediatamente privato FI di importanti risorse presenti e, almeno parzialmente, di risorse che sarebbero dovute pervenire nel prossimo futuro. I pignoramenti in oggetto hanno in aggiunta riguardato anche cespiti esistenti presso la sede operativa. Tra questi atti, quello di gran lunga più rilevante riguarda un debito verso un unico fornitore per complessivi euro 847.636, riferito a fatture da questi emesse, oltre ad oneri reclamati nel relativo atto di precetto. L’ammontare pignorato, maggiorato della percentuale di legge, ha raggiunto la somma di 1.271.464 euro». Con una lunga trattativa mediata dal tribunale, quella vicenda si è poi chiusa grazie a una transazione accettata dal creditore, che ha preferito chiudere il contenzioso incassando meno della metà di quello che vantava piuttosto che rimanere a secco per chissà quanto tempo. 
Il dramma azzurro è nella voce delle entrate, perché arriva assai poco dal 2 per mille tanto che Messina si lamenta: «È il caso di sottolineare che nell’esercizio scorso, in base ai dati del Ministero dell’Economia, sono stati destinati a partiti che hanno un consenso nettamente inferiore al nostro importi che in proporzione risultano ben maggiori di quanto assegnato a FI». Hanno il braccino corto pure gli eletti: nel 2016 dai parlamentari sono arrivati appena 389.031 euro (erano 535.293 nel 2015), e dai consiglieri regionali ancora meno: 44.042 euro (contro i 287.873 dell’anno precedente). E come gli altri anni Messina prova a farli strigliare tutti un po’ nella speranza (vana) di convincerli a non dimenticarsi di versare il fisso mensile concordato.