Libero, 1 luglio 2017
Elogio del cemento
Ho letto l’intervista che Silvio Berlusconi ha rilasciato al Corriere della Sera (ieri) e il problema non è il profluvio dei soliti «liberale» e «moderato» e «democratico» che sono come le abluzioni religiose: tanto bisogna farle, cioè dirle. E il problema non è neanche che Berlusconi abbia parlato di «programma rivoluzionario» quando i programmi, è noto, non li legge più nessuno e nessuno tantomeno va a verificarne l’attuazione: ormai, complice Renzi, siamo nell’epoca dell’annuncio e cioè dei verbi al futuro molto prossimo. Queste cose, infatti, Berlusconi le sa. Il problema è che ha riparlato di «albero della libertà» come rappresentazione di un programma eccetera. Alt. Albero? Qui si sconfina nella sinistra botanica, nella Quercia, nell’Ulivo, nella Margherita, e poi i vari cespugli, i garofani riconcimati, l’irriconoscibile edera repubblicana e insomma, tutta l’Italia disboscata, senza contare tutti i discorsi bersaniani sulle radici della sinistra. Ma ancora, peggio, c’è che nel gennaio 2007 «l’albero del programma» fu la trovata d’esordio di Romano Prodi (da un’idea dell’ex ministro Giulio Santagata) che a Caserta predispose proprio un albero fisico, una specie di platano alto 11 metri con appese le 281 illeggibili pagine del programma prodiano. Fu uno dei peggiori governi di sempre. Insomma, l’argomento politico è questo: porta sfiga.