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 2017  luglio 02 Domenica calendario

Zeichen, il poeta semplice e visionario arriva in antologia

Ma che bel dono ci ha fatto Elido Fazi. Per ricordare a un anno dalla scomparsa l’amico poeta Valentino Zeichen, ha scelto di pubblicare le poesie più belle pescando con libertà da suoi libri, e aggiungendo alcuni inediti: l’epitalamio per lo stesso editore sposo di Alice, delizioso esempio di quella lirica d’occasione in cui Valentino eccelleva,«la committenza» come «movente dell’ispirazione artistica» scriveva.. E due arguti testi finali nel filone dell’aforista e del fantasista un po’ visionario. Un’antologia messa insieme con un sicuro fiuto anche interpretativo, oltre che con complicità affettiva: passando da una poesia all’altra, sembra che l’una si corregga e si dilati con la successiva e ognuna ogni volta lasci un margine di ostinazione e di speranza per poi passare alla prossima. In questo fiato di sorpresa e di attesa, si trova chi legge o rilegge ora Zeichen da Area di rigore (1974) a Casa di rieducazione (2011), in scelte di versi più o meno ampie. Una quarantina di anni al servizio esclusivo di Calliope, per un «Pierrot lunare con la sua improvvisazione insensata, decorativa, da enfant gaté nonostante la biografia», secondo la fotografia critica scattatagli da Franco Cordelli e con un malinconico, elegantissimo Gozzano dopo la Scuola di Francoforte di Elisabetta Catalano, «maga che ci trasforma in ritratti». 
MOVIMENTIUn filo coerente e continuo corre da un libro all’altro, segue le soste, i movimenti, le illuminazioni di Zeichen, fiumano del 1938, piovuto dopo il 1945 a Roma, dove è sempre vissuto con la leggenda di poeta baraccato, di dandy clochard, di eterno sopravvissuto. Poeta dallo stile originale e inconfondibile, sia che parli delle strategie di dongiovanni metropolitano che, come un rapace aereo da caccia, aggancia la preda all’uscita da una galleria d’arte o addirittura al Premio Strega, che con lui si comportò assai male, escludendolo dalla competizione lo scorso anno. Sia che parli di una squadra d’incursori della Marina italiana, «eroi / e sportivi insieme» o della vita minima d’ogni giorno. Poeta davvero inconfondibile, ora s’ingolfa nella farina della commozione che può essere rabbiosa (negli infernali versi dedicati alla matrigna) o struggente (la cara mammina alla specchiera deco). E sa bollare con una certa perfidia certi vezzi letterari (la dissenteria dello sperimentalismo e del patetismo di certe mode), mentre contratta la solita cena, saltabeccando dal Valentino personaggio allo Zeichen poeta, perfettamente simbiotici: «L’autobiografia si aggiusta con parole, / non essendo riusciti a imprimere /le proprie gesta nella vita». E sa sempre imbastire in versi (come ha scritto Valerio Magrelli) l’approccio dallo spiccato carattere (finto) ragionativo, su cui fa scintille una sorta di finale acquisizione a carattere finto-cognitivo. Con la sua lingua secca e affilata, Zeichen sa muoversi con chiarezza nella babele dei gerghi contemporanei, con il passo del mezzofondista delle sue passeggiate romane dove è guida amabile e sorniona, gonfio di una saggezza teneramente distillata, che si muove dalla mole del Colosseo al Pantheon fino ai luoghi più contemporanei del Bar della Pace, della Libreria Feltrinelli, della edicola dei fratelli Ercoli a Piazzale Flaminio. E con quello del centometrista delle forme più brevi e scattanti. Tutto rientra in una sorta di canone della poesia contemporanea ormai acquisito con la complessità gestualizzata, la spinosità ingannevole, la graffiante trasparenza dello squattrinato snobismo del poeta Valentino Zeichen. Di quel poeta anche grande che, in un’occasione conviviale dell’amica Barbara Alberti, si scola quasi tutta una bottiglia di champagne alzando ulteriormente/ /il mio già sovrastimato/ quoziente intellettuale.