Il Messaggero, 1 luglio 2017
«Yara, va confermato l’ergastolo a Bossetti» E lui: dite solo idiozie
MILANO Massimo Bossetti, in camicia bianca e abbronzatura da pieno agosto, si agita sulla sedia, scuote la testa, lancia sorrisetti ironici per manifestare il suo dissenso. Poi, dopo tre ore di requisitoria, non ce la fa più, e sbotta: «Non posso stare a sentire quelli che vengono qui a dire idiozie». A dire stupidaggini sul suo conto sarebbe il procuratore generale di Brescia Marco Martani, che ai giudici della Corte d’assise d’appello chiede la conferma dell’ergastolo per il carpentiere di Mapello, aggiungendo sei mesi di isolamento diurno per il reato di calunnia nei confronti del suo ex datore di lavoro.
DNA PROVA CERTA
Dice il pg: «Bossetti non merita attenuanti, siamo di fronte a un delitto terribile». Il 26 novembre 2010, ha stabilito la sentenza di primo grado, ha ucciso «con sevizie e crudeltà» Yara Gambirasio, 13 anni, morta di freddo e dissanguata poche ore dopo aver salutato le amiche in palestra. «Ogni diversa ipotesi – sostiene l’accusa – è pura fantasia. Che sia stata tenuta segregata e successivamente abbandonata a Chignolo non è supportato da nessuna prova: non è stato chiesto alcun riscatto, non è stata sottoposta a violenze, sul suo corpo non ci sono segni di coercizione fisica». Dalla foto del campo scattata da un satellite il 24 gennaio, e depositata dalla difesa nell’appello, non si vede la sagoma della ragazzina, «ma la risoluzione è tale che è come cercare un ago in un pagliaio». L’aeromodellista che il 26 febbraio 2011 ha dato l’allarme ha notato la vittima semi avviluppata dagli arbusti solo quando è arrivato a un metro di distanza. Insomma, chiude la questione il pg, «questa foto non prova nulla». Contro Bossetti c’è una sentenza di primo grado «ineccepibile, completa, logica». La coincidenza del dna di Ignoto 1 con quello del muratore «ha una probabilità statistica di assoluta certezza, non esiste sulla terra un’altra persona che abbia lo stesso codice genetico» di quello isolato sugli slip e su una delle ferite inflitte a Yara. E se il dna mitocondriale non corrisponde, «dal punto di vista forense è irrilevante: ciò che identifica in maniera inequivocabile una persona è il dna nucleare». Bossetti cerca lo sguardo di Marita, seduta dietro di lui, quando esce dalla gabbia per sedersi accanto ai suoi difensori le stringe la mano. Lei, chiamata a testimoniare, lo ha difeso come ha potuto, ma «le ricerche fatte sul computer dimostrano che non fosse insensibile al fascino di ragazzine tredicenni».
«NON CONFESSERÀ MAI»
La sera in cui Yara è scomparsa, il carpentiere circolava con il suo autocarro per le vie di Brembate ed è «verosimile» che abbia incontrato la ginnasta mentre tornava a casa. «Inutile fare troppe fantasie sul movente», consiglia il pg. Che ricostruisce gli ultimi istanti di libertà della ragazzina: la sera era fredda, c’era pioggia e nevischio, Yara era in ritardo, Bossetti si accosta e le offre un passaggio. «Magari si erano già incrociati, lui è un tipo umano non allarmante, fatto sta che le difese di Yara si abbassano». A bordo dal camion «può essere accaduta qualunque cosa, un gesto, una frase che ha fatto perdere la testa a Bossetti, come sono andate veramente le cose può dirlo solo lui». Però «non lo farà mai – scommette pg – non solo per esigenze processuali ma anche per difendere la sua immagine e quella della sua famiglia da un omicidio terribile».