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 2017  luglio 04 Martedì calendario

Sessant’anni in 500

Premo il pedale della frizione e rilascio l’acceleratore. Metto in folle il cambio, tolgo il piede dalla frizione. Pigio l’acceleratore. Il motore va su di giri. Frizione. Innesto la marcia più bassa…. Gggrrrrrr… Accidenti ho grattato. Federico accanto a me mi guarda con disapprovazione. Anzi arrabbiato: la 500 è sua. Che anno è? Forse il 1974 o il 1975. Chi se lo ricorda più? Prima di aver imparato la doppietta ci ho messo altri mesi, forse un anno. Più difficile scalare che aggiungere una marcia. Senza non la si poteva proprio guidare. Ma come abbiamo fatto ad andare in quattro al mare con i bagagli? Sarà stato il 1975. L’altro giorno ho parcheggiato l’auto che ho ora, una modesta utilitaria. Dietro di me c’era una 500, forse una R, o un modello successivo. Minuscola. Tanto è vero che ho girato piano lo sterzo, quasi avessi paura di schiacciarla. Eppure allora dentro sembrava grandissima. Qualcuno del gruppo l’usava come alcova, per andare in camporella con la ragazza: sedili reclinabili. Ricordo ancora quando ho visto La classe operaia va in paradiso, anni dopo l’uscita del film, e ho pensato: Che lusso, usano una 850 e non una 500 per fare l’amore!
La 500, oggi si celebrano i suoi 60 anni, è stata la prima auto che la mia generazione ha imparato a guidare 17-18 anni dopo la sua uscita. Era facile da muovere e andava sempre. C’era anche quella col tettuccio apribile, perfetta per l’estate, più complicata da gestire in inverno. L’idea che suggeriva era quella di un guscio: forma semisferica. Un baccello, un contenitore accogliente, anche se minuto. Anzi proprio per questo più protettivo, come tutte le cose piccole. Del resto, la prima idea sembra sia venuta a un dipendente tedesco della Fiat, che l’aveva immagina in rapporto al Maggiolino della Volkswagen. Chissà se è vero che il suo successo sia dipeso, oltre che dal prezzo basso e dalle dimensioni, proprio da quella forma tondeggiante, materna? Certo l’ingegner Giacosa, che l’ha progettata, non era uomo incline ad aspetti di questa natura: pratico, diretto, sgobbone, un vero uomo Fiat. Tuttavia spesso dalle mani dei designer scaturiscono oggetti che non sembrano aver nulla in comune con chi li ha progettati. Gli anni Sessanta tendevano al rotondo, mentre i Settanta sono stati segnati dalle forme spigolose. I primi erano gli anni del boom, continuati sino alle soglie della crisi petrolifera, mentre i secondi sono gli anni del conflitto sociale, degli scioperi e del terrorismo. Certo, prima di rivedere il rotondo bisognerà attendere gli anni Novanta, quando appare il design postmoderno, fluido, il cosiddetto “design transitivo”. La 500 di Dante Giacosa, laureato giovanissimo al Politecnico di Torino, figlio di un maresciallo dei Carabinieri, prediletto di Valletta, era in anticipo sui tempi. Aveva immaginato, almeno nella prima versione a due posti, l’età della Smart. Nel 1957, dodici anni dopo la fine della guerra l’Italia non aveva ancora deciso che strada imboccare, quale sviluppo vivere, che sogni sognare. Era tutto solo all’inizio. Di questo, e altro ancora, sapevo ben poco quando guidavo la 500 R di Federico, geloso della macchina che gli aveva comprato il padre, un piccolo industriale, quale premio per i primi esami superati all’università. La parola d’ordine di allora era: motorizzarsi. Delle mie figlie solo una ha preso la patente. Per noi era sinonimo di libertà. Adesso si fa tutto da fermi, senza bisogno di andare lontano con le quattro ruote. Ci si conosce, ci si mette insieme, si lavora e si cercano cose e persone distanti senza ricorrere all’automobile. Il cambio è automatico; la doppietta per qualcuno è solo un fucile a due canne, ma anche questo lo conoscono in pochi, sia in Sicilia che nel periodo della caccia. Ogni epoca ha le sue 500. Solo che non si chiamano più così. Oppure sì, basta riadattarle. Niente di nuovo sotto il sole: vintage.