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 2017  luglio 04 Martedì calendario

Ma negli uffici di collocamento ci sono ancora duemila precari

ROMA Quando chi dovrebbe trovare un lavoro agli altri non riesce egli stesso ad essere assunto, nasce più di un dubbio sul fatto che il Jobs Act 2 possa decollare, che possa cioè funzionare quella rete di centri pubblici per l’impiego e di agenzie private alla quale si chiede di incrociare finalmente la domanda e l’offerta di lavoro nel nostro paese. Le 1.600 assunzioni a termine nei centri per l’impiego promesse dal governo non ci sono ancora. Eppure era un impegno assunto da più di un anno. A ricordarcelo era ieri davanti al ministero del Lavoro un presidio di lavoratori Cgil Cisl e Uil, che ha chiesto a Giuliano Poletti un tavolo urgente tra governo, Regioni e parti sociali per sbloccare l’impasse. E anche per stabilizzare i circa duemila lavoratori precari.
In prima battuta occorrerà parlare di garanzie finanziarie. «La politica attiva del lavoro – dice il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy – ha bisogno di almeno 150 milioni in più all’anno, oltre ai 400 già stanziati dal governo: una cifra che non inciderebbe più di tanto sui conti pubblici e ci consentirebbe nei prossimi tre anni di assumere nuovi lavoratori e di stabilizzare i precari».
Ma il problema non è solo e non è tanto finanziario. Sono gli stessi sindacati ad ammetterlo. L’attuale stallo è dovuto principalmente al caos istituzionale e organizzativo seguito alla bocciatura del referendum costituzionale. Se fosse passata la riforma, i centri per l’impiego sarebbero passati in capo allo Stato, con competenza esclusiva. Invece sono rimasti almeno sulla carta in mano alle Province, che tuttavia, per quanto resuscitate dal no referendario, restano delle scatole vuote, avendo ceduto i loro poteri alle Regioni. Dunque sono queste ultime adesso ad avere l’ultima parola in tema di lavoro. Il risultato è che l’agenzia nazionale del lavoro (l’Anpal), nata con l’obiettivo di coordinare con un’unica politica nazionale i centri per l’impiego, se li è visti scippare dalle Regioni, ognuna delle quali, adesso, vuol dare la precedenza alla propria politica del lavoro a discapito di quella nazionale. In due casi – Lombardia e Lazio – si è assistito addirittura al rifiuto delle Regioni di mobilitare i propri centri per l’impiego nella distribuzione sperimentale di 30 mila assegni di ricollocazione ad altrettanti disoccupati. E poi ci sono situazioni paradossali nelle quali a mettere i bastoni tra le ruote sono le stesse Province, sia pure moribonde: per esempio – raccontano i sindacati – la Provincia di Caserta, semicommissariata e piena di debiti, ha preso i soldi che sarebbero dovuti servire per i suoi centri per l’impiego e li ha utilizzati per pagare i suoi creditori.
Insomma, siamo di fronte ad una bagarre nella quale ciascuna amministrazione territoriale vuole portare a casa il massimo profitto politico senza preoccuparsi della compatibilità dei suoi atti con le politiche nazionali. In questa situazione, sono paradossalmente le stesse Regioni a rifiutare le assunzioni dei 1.600 lavoratori a termine: bisogna prima stabilire – dicono – l’assetto definitivo di tutta la forza lavoro presente nei centri per l’impiego, circa 8 mila persone. E bisogna che lo Stato assicuri fin d’ora finanziamenti pluriennali, cosa che tuttavia potrà essere fatta solo con la legge di bilancio.
«Il vero problema – spiega Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal – è che in questa bagarre istituzionale, ad andarci di mezzo sono i disoccupati che dovrebbero essere aiutati a trovare un lavoro. Nessuna amministrazione oppone un rifiuto esplicito a collaborare, ma poi in pratica questa collaborazione latita. È uno stallo che solo la Conferenza Stato-Regioni potrà risolvere». E che rischia per adesso di rallentare ogni nuova iniziativa. Come quella dell’assegno di ricollocazione: dei 30 mila disoccupati interpellati, solo un decimo è stato preso in carico dai centri per l’impiego. Se queste sono le premesse, resta da chiedersi cosa succederà il prossimo anno, quando si chiuderà la fase sperimentale e gli assegni con relativa ricerca di lavoro coinvolgeranno un numero molto più ampio di disoccupati. E quando gli stessi centri per l’impiego saranno chiamati anche ad assicurare l’inclusione attiva delle fasce più povere e disagiate del paese.