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 2017  luglio 04 Martedì calendario

Intervista ad Andre Agassi: «La mia vita piena di sfide tra Djokovic e Graf. Riporterò Nole a vincere»

Andre Agassi vinse il primo dei suoi otto tornei dello Slam 25 anni fa proprio qui, a Wimbledon, in una memorabile finale contro Goran Ivanisevic. Ora ci torna da coach di Novak Djokovic.
Andre, quanto è cambiato il torneo da allora?
«Sicuramente i rimbalzi sull’erba sono diversi, il ritmo dei colpi, infatti si giocano più scambi, soprattutto da dietro la linea di fondo. Inoltre i campi reggono meglio e questo è un vantaggio per chi gioca da dietro. Un tempo dopo la prima settimana non c’era un rimbalzo uguale all’altro...».
Cosa ricorda di quel trionfo?
«Che fu un grande sollievo. Avevo già perso tre finali di Slam, a Wimbledon nessuno pensava che avrei potuto vincere e questo sicuramente mi salvò. Decisi di giocare in maniera molto aggressiva e ci riuscii».
Fare il coach le piace?
«Mi piace conoscere meglio Novak. Tutti sanno quello di cui è capace, la sfida che mi intriga è trovare nuovi modi per aiutarlo a vincere».
Che cosa ha imparato che non sapeva dell’uomo Djokovic?
«Novak non è quello che appare in tv. È una persona di grande profondità: se tu gli parli, sei l’unica persona che conta nella stanza».
Djokovic è un Agassi 2.0?
«È più forte. Per come si muove, come controlla la palla, come risponde. Entrambi sappiamo colpire la palla in anticipo, ma lui si muove meglio quindi ha più opzioni».
Quanto è importante l’attività della sua fondazione?
«Molto. È come la collaborazione con Lavazza, un modo di fare del bene. Dare un’opportunità ai giovani è per me una priorità. La considero una ricompensa, qualcosa che sono riuscito a ottenere grazie al tennis e che oggi occupa un terzo della mia vita».
Parla mai della situazione del tennis femminile con sua moglie Steffi Graf? Forse ancora oggi potrebbe essere fra le prime 100 del mondo...
«Le ragazze hanno sviluppato uno stile di gioco basato sulla potenza e Steffi era molto brava a neutralizzare quel tipo di tennis. Ma per stare fra le prime 100 devi giocare tornei in continuazione, credo che neppure lei potrebbe farcela».
Anni fa a Milano le chiesi se c’era almeno una cosa che sapeva fare meglio di sua moglie. La risposta fu: no. È migliorato nel frattempo?
«No, riesco sempre a fare tutto peggio (ride, ndr). Steffi sa gestire meglio emozioni e stress, è più organizzata. L’unica cosa in cui sono più bravo è parlare: riesco a farvi credere a quello che dico...».
Come vi dividete gli impegni della giornata?
«Abbiamo parecchi animali, Steffi si sveglia prima per dare loro da mangiare. Poi facciamo colazione, accompagniamo i nostri figli a scuola o ad allenarsi. Lavoriamo un po’ in ufficio oppure da casa, pranziamo insieme e di nuovo il pomeriggio seguiamo i ragazzi. Una vita piena».
Il tennis è dominato dagli over 30: in tabellone a Wimbledon ce ne sono 48. Merito loro o colpa dei giovani?
«I giovani sprecano delle occasioni, ma è naturale. Un vantaggio nell’invecchiare è che sai cosa fare e cosa no. La differenza è che una volta il corpo ti abbandonava in fretta, mentre i campioni di oggi possiedono il massimo dell’esperienza e un fisico ancora integro».
Alla nuova generazione manca personalità o siamo noi che abbiamo nostalgia di campioni come lei, McEnroe o Connors?
«Non confondiamo la personalità con l’essere maleducati. A volte mi sono comportato da idiota in campo e non credo che McEnroe e Connors si offenderebbero se dicessi lo stesso di loro. Oggi ci sono fuoriclasse come Djokovic, che dà sempre tutto se stesso. Oppure pensate all’intensità di Nadal, alla grazia di Federer, alla grinta di Murray».
C’è un campione del passato con cui avrebbe voluto giocare?
«Borg. Mi piaceva molto, sarei curioso di vedere come si muoveva sul campo, quanto era veloce».
Le piace l’idea di cambiare il tennis accorciandone i tempi?
«No. Il tennis è bello perché porta al limite mente, cuore e corpo. Se limiti lo sforzo fisico se ne va una parte fondamentale».
Il presidente Usa Trump vuole limitare l’immigrazione. Lei, figlio di un immigrato iraniano, è d’accordo?
«È vero che gli Usa sono un Paese costruito dagli immigrati. Ma è anche vero che se vuoi farcela devi lavorare duro e adattarti per essere accettato. Non mi va l’idea che oggi si possa entrare in maniera illegale. È scorretto anche per gli immigrati che rispettano le regole».
Ricordi dei tornei in Italia?
«La prima volta ci ho giocato a Firenze, persi un match divertente con Claudio Panatta. Poi c’è stato il debutto a Roma, contro Simone Colombo: il pubblico era caldissimo, mi tiravano di tutto. Con il tempo però la gente ha iniziato a tifare per me. Vincere al Foro è stata un’esperienza magnifica».