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 2017  luglio 04 Martedì calendario

Caterina Avanza, l’italiana dello staff di Macron. «Così si torna alle radici del vero ruolo presidenziale»

«Sono felice per la vittoria di Macron, anche se non ho votato per lui!». Non poteva farlo Caterina Avanza, 36 anni, essendo cittadina italiana, da molto tempo in Francia. Ma alla vittoria ha dato un contributo importante: unica italiana nello staff che ha organizzato il movimento En Marche! e costruito candidatura e campagna del presidente. Mentre gli studiosi s’interrogano sul fenomeno che ha travolto partiti, sondaggi e tendenze – dal populismo al nazionalismo xenofobo – Caterina lo ha conosciuto dall’interno e ne racconta i momenti significativi, con l’entusiasmo di una scelta professionale e l’orgoglio delle origini, la provincia di Brescia, da dove è partita.
L’impressione è che Macron voli alto, è stato definito «jupiteriano». Nella tradizione monarchico/decisionista?
«È entrato nella dimensione presidenziale francese. Il presidente ha visione e obiettivi. Il governo mette in pratica il progetto, il Parlamento ritrova ruolo e centralità. È un ritorno ai fondamentali, rispetto a presidenti che volevano fare tutto o a presidenti che non sapevano comunicare al Paese o esautoravano l’Assemblea».
Parliamo del suo itinerario nel mondo di Macron.
«Sono una figlia di Erasmus, dal liceo. Volevo andare all’estero, sfidando le perplessità della famiglia. Con una zia a Parigi, la scelta era automatica, ma sarei partita comunque. La provincia mi stava stretta. È bellissima per tornarci in vacanza, ma non volevo passare serate in piazzetta, fra sigarette e motorini. Sono rientrata in Italia per l’università a Bologna, facoltà di Scienze politiche, e sono ripartita per un master alla Sorbona in diritto europeo. Da allora sono rimasta. In Italia non ho mandato nemmeno un CV. Continuo a sentire coetanei che fanno lavori precari o aspettano una raccomandazione. Anche in Francia è dura. Devi stare a regole e mentalità dei francesi. Ma prima o poi sei accettato per ciò che vali».
Con lo staff di Macron è stato così?
«Dopo la Sorbona ho fatto uno stage in una società di comunicazione, “Occurrence”, studi di settore della pubblica amministrazione. La società ha vinto un progetto a Barcellona. E sono stata assunta perché parlo spagnolo. Nel frattempo mi sono sposata con un francese, produttore di musica, e ho fatto due figli, che adesso hanno 9 e 6 anni. Il coinvolgimento con En Marche! è cominciato con un invio di curriculum per posta. Cercavano esperti in sondaggi e studi qualitativi d’opinione. E questo era il mio secondo passo professionale, all’Ifop, l’istituto di sondaggi francese».
Ha lasciato il posto sicuro per «En Marche!»?
«Un rischio calcolato. Il direttore all’Ifop chiese di studiare l’impatto sociale dei discorsi di Macron e da questo lavoro è nato l’interesse per il futuro leader. Così mi sono arruolata, come volontaria, gratis».
Come è nata la «macchina» del presidente?
«Facendo il contrario di quanto fanno i sondaggisti. Siccome ci sono pochi soldi, i sondaggi vengono fatti online o al telefono. I campioni non sono significativi delle tendenze. Il nostro staff ha analizzato il lavoro porta a porta su un campione di centomila persone. En Marche! è stato una gigantesca diagnosi del Paese. È emerso un dato sorprendente: per la grande maggioranza il problema più importante è il sistema educativo, la scuola che non forma, non riduce le diseguaglianze, non favorisce la realizzazione individuale. Il secondo problema era la libertà individuale, d’impresa. È su questa base che si è costruito il programma, mentre gli avversari martellavano su sicurezza e crisi economica».
Basta per vincere?
«Certo che no. Abbiamo avuto fortuna. Ma è cronaca politica. L’altro aspetto su cui abbiamo lavorato era il messaggio per gli indecisi. Eravamo in svantaggio rispetto a Le Pen e a Fillon, nel senso che era più alta la percentuale di elettori che avrebbero deciso all’ultimo di votare per noi».
Che cosa ha detto il presidente, dopo?
«Eravamo all’Eliseo. Ho bisogno di voi, qui il silenzio mette la paura di perdere il contatto con la realtà. Nessuna torre d’avorio. Il contatto con il Paese è fondamentale».
Il futuro?
«Ci sono 28 milioni di euro di rimborsi elettorali, che non saranno investiti per il partito ma su progetti in Francia e Europa. Sarà uno dei compiti del nostro staff. Una quarantina di persone. È la cosa più bella dell’era Macron: ha restituito ai francesi la voglia di sognare».