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 2017  luglio 04 Martedì calendario

Aldo Cazzullo racconta in breve la vera storia di Vasco Rossi

Caro Aldo,
mi rammarico di vivere in un Paese in cui 200 mila giovani o presunti tali si mettono in fila per un’intera giornata per ascoltare una rockstar di successo. Alcuni, sfidando il caldo e la pioggia, si sono accampati per due settimane per non perdere un posto in prima fila. Se le motivazioni al sacrificio e i valori di riferimento delle nuove generazioni vengono da questi simboli, allora siamo messi male. E poi ci stupiamo che i nostri studenti sono maglia nera nelle classifiche europee dei licei o delle università. 
Delio Lomaglio dlomaglio@libero.it 

Ora chi glielo dice ai nostri ragazzi che prima ci sono i doveri e poi i piaceri? A Modena hanno rinviato gli esami di maturità per un concerto.
Stefano Scisci stesci@yahoo.it 

Cari lettori,
non mi pare che il Vasco di oggi possa attentare alla moralità delle giovani generazioni. Anche perché mi sembra diverso da quello che nei primi Anni 80 alludeva alla droga o cantava la vita spericolata. All’epoca lo consideravo dentro lo spirito del tempo: l’individualismo, il riflusso, la ritirata nel privato, il rifiuto della politica e della comunità. Quando finalmente sono riuscito a intervistarlo e gliel’ho chiesto, lui mi ha dato la sua interpretazione autentica: «Bollicine» era una canzone contro la pubblicità; nella solitudine di massa degli Anni 80 non si è mai riconosciuto, e quel senso di sconfitta, di frustrazione, di insoddisfazione è tornato in canzoni bellissime, come «Liberi liberi» («liberi liberi siamo noi, però liberi da che cosa?»). Devo dirvi che temevo un po’ l’incontro con Vasco: ha fama di uno che se una domanda non gli piace si alza e se ne va. Invece ha risposto a tutte, anche a quelle meno gradevoli: la droga, il carcere, i due figli avuti negli stessi giorni da due donne diverse, nessuna delle quali era la sua compagna («un giorno a Zocca è venuta sotto casa una ragazza con un bambino nella carrozzina; ho fatto il test del Dna, era davvero figlio mio. Ma poi è arrivata un’altra ragazza, con un’altra carrozzina e un altro bambino…». Era suo pure quello). Ovviamente abbiamo parlato di tante altre cose. Una almeno vorrei salvare: Vasco si chiama così come il compagno di prigionia del padre, che gli salvò la vita durante il bombardamento del lager dov’erano rinchiusi. Soldati italiani che avevano rifiutato di combattere per Hitler. Il padre di Vasco, Giovanni Carlo Rossi, camionista, era cioè uno dei 600 mila internati militari, cui in questi mesi abbiamo dato voce più volte sul Corriere.