Corriere della Sera, 4 luglio 2017
Donald boxeur: «Colpite i media». Lo chiamano il presidente via cavo (guarda tanto le tv). Ma gli attacchi conquistano la base
WASHINGTON Il video sulla Cnn è solo un passaggio. Donald Trump non si ferma: leggeremo e vedremo anche di peggio sul suo account Twitter. In due giorni la clip con la finta aggressione a bordo ring ha raccolto il consenso di circa 500 mila sui 33,1 milioni di follower del presidente. Nessun pentimento, nessun dubbio da parte di «The Donald». Anzi altri due tweet su Fake news, i «nemici» che tramano, complottano per nascondere agli americani «la verità»: i grandi successi della presidenza «su lavoro, economia, Isis, confini e molto altro».
Trump vive di tv. Segue le trasmissioni principali del mattino, ma soffre, fuma di rabbia. In un tweet del 17 febbraio individuò la «banda dei quattro costruttori di notizie false»: Nbc News, Abc, Cbs, Cnn. Conosce personalmente i conduttori più popolari. Con tutti loro ha un rapporto ispido, contraddittorio. Il 18 maggio ne ha invitati diversi per un pranzo informale alla Casa Bianca: compresi i «nemici della Cnn», Wolf Blitzer, Jake Tapper e Fareed Zakaria.
E i rapporti erano già guastati, con quasi un anno di scontri e incidenti alle spalle. Il più noto è l’attacco personale a Megyn Kelly, che risale all’agosto scorso, quando il candidato Trump accusò la giornalista allora in forze a Fox di trattarlo con ostilità preconcetta. «Perde sangue da ogni parte» twittò il costruttore newyorchese.
Sembrava il punto più basso, invece, era solo l’inizio. In rete e nei comizi non manca mai il riferimento alle fake news. Fino ad arrivare alle ultime eruzioni. Giovedì 29 giugno, il presidente si affaccia su Twitter e colpisce con veemenza la giornalista Mika Brzezinski, conduttrice di Morning Joe sul canale Msnbc, insieme con il suo collega e fidanzato Joe Scarborough. «Ho appena sentito il più che mediocre show Morning Joe parlare male di me (non guardatelo più). Come è precipitata Mika, una pazza e con un basso quoziente di intelligenza, insieme con Psycho Joe», scrive Trump. E poi aggiunge: Mika «arrivò a Mar-a-Lago tre notti prima di capodanno e insistette per unirsi a noi. Sanguinava malamente per un’operazione di lifting in faccia. Io dissi no!».
Non se ne uscirà, almeno fino a quando Trump resterà alla Casa Bianca. I social media sono parte integrante e irrinunciabile dell’identità di questa presidenza. È un sistema in cui si mescolano istinto e pianificazione. Alla base c’è il nucleo del comitato elettorale, rimasto attivo anche dopo la vittoria dell’8 novembre. In rete funzionano due account: «DonaldJTrump.com» e «Trump Headquarters». Sono uffici virtuali di propaganda permanente: spiegano come vanno «veramente» le cose ai supporter più convinti, quelli che si sono iscritti nella mailing list fin dai tempi delle primarie. Il 27 giugno, per esempio, «Donald J.Trump» raccontava a modo suo come e perché la Cnn fosse stata costretta a licenziare tre reporter che avevano raccolto «notizie false», fake news appunto, su Antony Scaramucci, uno dei consiglieri della Casa Bianca. A questa piattaforma, Trump aggiunge l’anello sempre più largo dei follower di Twitter. Guardiamo la curva: 8 milioni di seguaci dopo aver vinto le primarie nel maggio 2016; 12 milioni a ottobre 2016, nel momento cruciale del duello con Hillary Clinton; 25 milioni a febbraio 2017 dopo un mese di presidenza; oggi sono 33,1 milioni. D’accordo, non è detto che siano tutti simpatizzanti. Ma per i trumpiani, invece, questi numeri dimostrano quanto sia politicamente redditizio rispondere «al fuoco con il fuoco», parole della portavoce Sarah Huckabee Sanders.
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Noi siamo real news». La difesa a oltranza dei reporter della Cnn
WASHINGTON La Cnn si barrica dietro quattro righe di comunicato ufficiale. «Non facciamo altri commenti, c’è tutto nella nota ufficiale, a proposito ce l’ha?» dice al telefono Bridget Leininger, responsabile delle pubbliche relazioni della tv di Atlanta. È in California, in vacanza per il 4 luglio, così come gli anchor e i reporter titolari.
Nessuno di loro ha risposto alle mail: Jack Tapper, Wolf Blitzer, Dana Bash, Don Lemon e altri. Brien Stelter, il conduttore della trasmissione su media e politica Reliable sources, Fonti affidabili, si fa vivo con un laconico «Non posso, mi dispiace».
Da due giorni l’emittente continua a trasmettere il video postato con Donald Trump che finge di aggredire un uomo, durante un incontro di wrestling. Sul viso della persona investita dai pugni il logo della Cnn.
La nota ufficiale parla di «comportamento infantile» e accusa «il presidente degli Stati Uniti di fomentare la violenza contro i reporter».
Ieri a Washington i pochi giornalisti americani rimasti a presidiare il territorio erano convinti che Trump ce l’avesse in particolare con Jim Acosta, il capo dei corrispondenti della Cnn alla Casa Bianca. Neanche Acosta ieri è stato raggiungibile. Ma il suo pensiero è su Twitter (320 mila follower). L’account si apre con messaggio fisso: «Noi siamo real news Mr. President». L’altro ieri ha commentato la clip di Trump con queste parole: «Promemoria: giusto pochi giorni fa la Casa Bianca aveva detto che il presidente non aveva mai promosso o incoraggiato la violenza». Il reporter è in costante polemica con i portavoce di Trump e qualche settimana fa aveva twittato: «Sarò fatto all’antica, ma penso che il presidente debba avere la fibra per rispondere a tutte le domande».
Un altro possibile bersaglio di Trump potrebbe essere Don Lemon, conduttore dell’ultima fascia della giornata. Il presidente guarda la tv soprattutto la mattina presto e a tarda sera. News e talk show. Il 29 giugno, il giorno dell’attacco del presidente alla giornalista Mika Brzezinski, Lemon ha iniziato la trasmissione guardando fisso in camera: «Il presidente si dovrebbe vergognare e chiedo ai repubblicani fino a quando sopporteranno cose di questo tipo. Che cosa stanno aspettando per prendere le distanze dal presidente?».
I giornalisti politici, come Dana Bash o Jeff Zeleny, hanno preferito, invece, non esporsi direttamente, ma ritwittare critiche e commenti di altri, per esempio dei senatori repubblicani. Silenti i big: sull’account Twitter di Anderson Cooper, 10 milioni di follower, l’ultimo aggiornamento risale a venerdì 30 giugno ed è il promo di uno speciale sulla strage terroristica al club Pulse di Orlando, lo scorso anno.
Cooper, Wolf Blitzer e gli altri se la cavano riproponendo il comunicato aziendale.