Il Sole 24 Ore, 2 luglio 2017
Anche Wimbledon sconta l’effetto Brexit
Con le nuvole che si addensano sull’economia britannica e sul futuro della City di Londra a causa di Brexit, sarebbe un’esagerazione affermare che sia Wimbledon una delle vittime più gravi della decisione della Gran Bretagna di uscire dall’Unione europea, giusto un anno fa.
Ma il torneo di tennis più famoso del mondo, che i locali chiamano semplicemente The Championships, sta cominciando solo ora a fare i conti con le conseguenze, anche finanziarie, di Brexit. Il primo effetto indesiderato l’ha prodotto il crollo della sterlina sul dollaro, la valuta di riferimento del tennis mondiale. Se al momento del referendum la moneta britannica valeva 1,50 dollari, oggi è a 1,27, il che ha costretto l’All England Club a ritoccare al rialzo del 12,5% il montepremi, portandolo a 31,6 milioni di sterline (35,7 milioni di euro). I vincitori dei due singolari, maschile e femminile, porteranno a casa 2,2 milioni di sterline, il 10% in più che un anno fa, e anche i tennisti che usciranno al primo turno non se la passeranno male: per loro un premio di 35mila sterline (quasi 40mila euro).
Non è facile fare i conti in tasca all’All England Lawn Tennis and Croquet Club (questo il nome ufficiale del circolo che ospita il torneo dal 1877). Essendo un ente privato, si permette di pubblicare una sola cifra, il cosiddetto surplus, di fatto il risultato di esercizio al netto delle tasse. Nel 2016 ha toccato i 34,3 milioni di sterline. Una cifra non trascurabile, considerato che il 90% viene poi girato alla Lawn Tennis Association, la federtennis britannica per finanziare lo sviluppo dello sport e la crescita di nuovi campioni. Obiettivo non proprio centrato, visto che nonostante questo fiume di denaro, da anni la Lta non produce nessun tennista di alto livello (Andy Murray è stato forgiato dalla mamma allenatrice e sui campi di Spagna). In realtà il surplus dei campionati è abbastanza altalenante da tempo. I livelli attuali erano già stati superati all’inizio del decennio, dopo l’esplosione di metà degli anni ’90 grazie ai diritti tv globali, che restano la voce principale del bilancio, anche se, appunto, il Club non ne pubblica la composizione. Il surplus massimo è stato toccato nel 2012 con 37,7 milioni di sterline. Per questo è stata appena lanciata una grande “brand campaign” per promuovere il marchio Wimbledon, affidando un documentario introduttivo niente meno che alla regia di Sir David Attenborough.
La vera particolarità delle finanze dell’All England Club (che qualche anno fa si è ricomprato dalla Lta il 50%, ceduto negli anni ’30, della società che possiede terreni e impianti) è che tutti gli investimenti in infrastrutture sono finanziati, fin dal 1920, con obbligazioni (debentures) a cinque anni, che, curiosamente, non pagano alcuna cedola, ma danno diritto a un posto sul Centre Court, o sul campo numero 1, per ogni giorno del torneo. Chi è interessato all’acquisto può vederne le quotazioni ogni mese sul Financial Times. Così si sta finanziando per esempio la costruzione di un tetto retrattile sul campo numero 1, simile a quello già montato sul campo centrale. I lavori finiranno nel 2019 e prevedono anche l’allargamento dell’area riservata al catering, altra grande fonte di entrate per il Club. Basti pensare che nelle due settimane dei Championships si consumano 320mila bicchieri di Pimm’s e 28 tonnellate di fragole, raccolte ogni mattina alle 4 nelle campagne del Kent per arrivare fresche a Wimbledon. Il prezzo di una vaschetta è fermo 2 sterline e mezzo dal 2010. Niente inflazione: non per niente nel consiglio del Club sedeva l’ex governatore della Banca d’Inghilterra, Mervyn King. Ma chi ha di Wimbledon una visione elitista deve sapere che gli spettatori ingurgitano anche 30mila pizze e 16mila porzioni di fish and chips.
Insieme ai diritti tv, ai biglietti, al catering e al merchandise (160mila transazioni in due settimane dentro i recinti del circolo), i Championships possono contare anche su un esclusivo gruppo di 14 “fornitori ufficiali” (troppo volgare per Wimbledon la parola sponsor). Fra questi, dal 2011, l’italiana Lavazza, che è diventato il caffè del tennis, visto che sponsorizza anche gli altre tornei del Grande Slam (Open d’Australia, Roland Garros e Us Open).
Intanto, sull’erba di Wimbledon, l’eccitazione per i Championships (che iniziano lunedì 3 e finiscono domenica 16) sta montando per un torneo che si preannuncia incerto come non avveniva da anni, sia per il singolare maschile sia per quello femminile. Fra le Ladies, fuori gioco la perenne favorita Serena Williams in dolce attesa, è tutto aperto: è rispuntata anche la due volte campionessa Petra Kvitova, accoltellata appena sei mesi fa da un assalitore in casa sua proprio alla prediletta mano sinistra.
Fra i Gentlemen, Wimbledon potrebbe assistere a un nuovo capitolo del grande revival dell’anno, quello di Roger Federer (il favorito del cuore) e Rafael Nadal, o al bis del beniamino di casa Murray, o a un inopinato ritorno di Novak Djokovic, o, finalmente, all’arrivo sulla scena della NextGen.