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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

Intervista a Carlo Ratti: «L’auto senza pilota c’è già ma dico no a quella che vola»

Carlo Ratti, direttore del laboratorio “Senseable City” del Massachusetts Institute of Technology, è oggi uno degli italiani più conosciuti a livello internazionale. Inserito regolarmente dalle riviste americane nell’elenco delle persone destinate a cambiare il mondo, è responsabile di progetti di innovazione in molti posti del pianeta. Un suo studio dei primi anni Duemila sul traffico telefonico cellulare a Roma è antesignano dell’attuale modo di tracciare la nostra vita. Nasce in Italia, quindi, l’idea che oggi ci permette di controllare il traffico sul nostro smartphone.
Professor Ratti, possiamo dire che la funzione delle app che fornisce il traffico in tempo reale affondi le sue radici in Italia con il suo studio Real Time Rome?
«È vero, è stato il primo progetto in cui dati provenienti dalle reti di telecomunicazione sono stati usati su grande scala per capire meglio una città, nel caso specifico Roma».
Cosa c’entra la Nazionale di calcio italiana che ha vinto i mondiali del 2006 con quegli studi?
«Le istantanee di Roma realizzate analizzando il traffico telefonico proprio durante la finale della Coppa del Mondo di quell’anno hanno contribuito a far arrivare il progetto a un pubblico più vasto oltre che rappresentare un interessante terreno di studio».
È vero che ci potremo muovere meglio e in modo maggiormente rispettoso dell’ambiente grazie ai Big Data?
«Big Data significa miglior conoscenza della città e dell’ambiente in cui viviamo e questa conoscenza può poi essere messa a frutto. Un esempio fra tanti: al Mit Senseable City Lab abbiamo dato avvio a un progetto che esplora come oltre 170 milioni di viaggi nella città di New York possano essere condivisi. Da questo progetto è partita qualche anno fa una nostra collaborazione con Uber, che attraverso il sistema Uber Pool permette di fare proprio questo, la condivisione di uno stesso veicolo da parte di più persone».
Lei pensa che avremo i Robo-taxi ma non le auto volanti. Perché?
«Sembrerebbe che l’antico sogno di Icaro verrà riportato in vita da molte start-up, con ricorrenti annunci di nuovi veicoli volanti. Mi spiace giocare per una volta la carta del conservatore: temo che non sarà così, per almeno due ragioni. La prima è relativa alle (inflessibili) leggi della fisica. Per mantenere a mezz’aria un oggetto dalla massa di un chilo, è necessario spostare verso il basso una grande quantità d’aria a velocità piuttosto elevata. È questo il motivo per cui gli elicotteri sono così rumorosi e consumano così tanto carburante. Qualcosa di simile si verificherebbe con le auto volanti e il disturbo sarebbe difficile da sopportare in affollati contesti urbani. La seconda ragione è di ordine pratico: l’idea di riempire il cielo di una città di migliaia di pesanti oggetti alimentati a batteria, alcuni dei quali inevitabilmente di quando in quando ci grandineranno in testa, non pare del tutto accorta».
L’auto a guida autonoma è annunciata da alcune case già per l’inizio degli anni 2020, siamo veramente così avanti?
«Direi di sì, dal punto di vista della tecnologia siamo praticamente al traguardo. Importanti case automobilistiche – ma anche Google, Apple e Uber – hanno avviato test di veicoli a guida autonoma. Noi stiamo lavorando con il governo di Singapore, dove dallo scorso anno è presente la prima flotta di veicoli a guida autonoma accessibili al pubblico».
Ma non servono infrastrutture dedicate?
«Il concetto di autonomia significa proprio questo: non aver bisogno di infrastrutture dedicate. Si possono adattare facilmente alle strade attuali e ci permetteranno una gestione più efficiente della mobilità, riducendo ad esempio il confine tra trasporti pubblici e privati. Un’auto a guida autonoma, dopo avermi scarrozzato al lavoro, non resta ferma in strada per ore ma riparte per dare un passaggio a un collega d’ufficio o a un familiare. Un nostro recente studio fatto al Mit, mostra che città come New York, Singapore o Milano potrebbero teoricamente funzionare con una frazione delle automobili che hanno oggi».
Lei ha dato la sua disponibilità a collaborare al progetto Vaticano Sostenibile, cosa può rappresentare un progetto simbolo voluto da Papa Francesco?
«Una spinta importante, la ricerca ha sempre bisogno di obiettivi concreti e ambiziosi. Molte delle innovazioni degli ultimi decenni vengono dalla Missione Apollo».
Cosa ha l’Italia che la può tenere dentro la cerchia dei protagonisti nell’innovazione tecnologica dei prossimi decenni?
«L’Italia è sempre stata un Paese dal talento creativo. Credo che sarebbe importante partire dalle nostre risorse, dal patrimonio artistico alle realtà urbane uniche».
E cosa manca guardando il nostro paese dal Mit di Boston?
«A volte, forse, la capacità di credere in noi stessi».