Affari&Finanza, 3 luglio 2017
Emergency, Msf, Telethon: ecco i conti della Soccorso spa
Gli attacchi ad alzo zero contro le Ong per i salvataggi nel Mediterraneo iniziano a far scricchiolare i conti e la raccolta fondi delle grandi organizzazioni umanitarie tricolori. Il 2016 – dati alla mano – è stato un anno d’oro per la “Bontà spa": le prime dieci realtà del terzo settore in Italia hanno incassato tra cinque per mille, donazioni e lasciti ben 578 milioni, il 10% in più dell’anno precedente e il 32% più del 2012. Le polemiche sui soccorsi in mare al largo della Libia hanno però fatto girare all’improvviso il vento, soprattutto per gli enti impegnati negli interventi in mare. “Hanno sparato nel mucchio e alla fine il danno è stato fatto – dice Annalaura Anselmi, direttrice della raccolta fondi per Medici senza Frontiere – Negli ultimi anni crescevamo in media al ritmo del 10%. Ora invece, dopo le accuse e le semplificazioni isteriche sul nostro lavoro, abbiamo iniziato a registrare un calo delle donazioni”.
L’effetto migranti
Per adesso si tratta di cifre ridotte – aggiunge – ma il vero allarme è sul fronte del 5 per mille. “Da noi, per fortuna, ad oggi hanno mollato in pochi – calcola Daniela Fatarella, vicedirettore generale di Save the Children Italia – Ma quello che mi preoccupa davvero è un possibile tracollo delle entrate “fiscali”. Gli attacchi più pesanti sono arrivati proprio mentre gli italiani compilavano le dichiarazioni dei redditi”. A dar corpo a questi fantasmi (i dati sulle scelte del
5 per mille, causa tempi biblici dell’erario, arriveranno tra due anni) c’è anche un sondaggio commissionato all’Ipsos dalle principali Ong per valutare i possibili impatti del “caso-salvataggi”. I risultati sono sconfortanti: il 79% dei donatori degli anni scorsi è ora “sospettoso” sull’operato delle organizzazioni umanitarie. Il 48% degli italiani, dopo le sparate nel mucchio della scorsa primavera, è convinto che abbiano un interesse economico a soccorrere i migranti e il 49% pensa che si mettano d’accordo con i trafficanti.
Giudizi draconiani che hanno acceso l’allarme rosso, visto che i fondi investiti negli interventi nel Mediterraneo sono solo una parte infinitesimale dei progetti degli enti. “Per noi il search & rescue in mare rappresenta solo l’1% delle spese – dice Anselmi – e per ogni euro in meno che ci entra in cassa, 99 centesimi sono sottratti ad altre iniziative umanitarie in giro per il mondo”.
Una base solida
La bufera mediatica sui salvataggi in mare ("che si svolgono in un clima crescente di diffidenza e opposizione”, ammette il bilancio di 2016 di Emergency) è stata finora ammortizzata – per fortuna – dagli anticorpi di un mondo che negli ultimi anni è stato capace di cambiar pelle. Gli esordi un po’ volontaristici e artigianali sono un ricordo del passato. I numeri dicono che Msf, Save the children & C. sono ormai piccole imprese. E il terzo settore si è adeguato alla nuova realtà con una radicale operazione di trasparenza ed efficienza. Il fine è chiaro: evitare che un solo euro frutto delle donazioni possa essere fagocitato da burocrazia e sprechi. I mezzi pure: per garantire il controllo dei bilanci (pubblicati sui siti e spesso più leggibili di quelli delle aziende quotate in Borsa) tutti i numeri sono certificati da revisori dei conti indipendenti e collegi sindacali, pur non richiesti per legge. E accanto alle strutture per le missioni sul campo sono state create delle agili task-force incaricate di rendere più prevedibile e costante il flusso di raccolta dei fondi e il loro utilizzo. La vera sfida degli ultimi anni è stata però quella di “stabilizzare” le entrate per renderle più prevedibili, convincendo i donatori occasionali – quelli che mettevano mano al portafoglio una tantum – a trasformarsi in benefattori abituali. A concordare cioè con le ong un prelievo costante (mensile o trimestrale) dal loro conto in banca, come fosse una bolletta del telefono o della luce. Il vantaggio è doppio: chi dà si libera da obblighi burocratici, chi riceve sa di poter contare, fino a disdetta, di un plafond di ricavi puntuale e certo. Oltre 280mila dei 400mila donatori di Save the Children versano ogni mese dai 10 ai 25 euro. “Da noi a Medici senza frontiere sono 107mila, il 35% del totale e stanno crescendo molto – dice Anselmi – garantendo la sostenibilità dei progetti”. Diversificazione e pianificazione sono la parola d’ordine pure per l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) che il pieno lo fa con il 5 per mille. Oltre 1,7 milioni di persone l’anno indicano l’ente come destinatario, con un incasso di 66 milioni nel 2016. Cifra cui si aggiungono, per dire, gli 8,8 milioni garantiti dalle “azalee per la ricerca” e i 2,7 delle “arance della salute”. La Maratona tv di 24 ore per Telethon, invece, ha reso lo scorso anno 22 milioni, un terzo delle entrate dell’ong che a bilancio ha pure eredità e lasciti per 4 milioni. Meno comunque dei 10 milioni di testamenti che hanno gonfiato i ricavi della Lega per il filo d’oro.
Il controllo dei costi
Le donazioni individuali più la crescita (fino a prova contraria) del 5 per mille – salito dai milioni 236 del 2012 ai 320 del 2016 per le dieci ong grazie all’aumento del plafond da 400 a 500 milioni deciso dal governo – hanno creato quel cuscinetto che potrebbe ora ammortizzare l’effetto polemiche sui migranti. Incassati i soldi, però, scatta il problema numero due: come spenderli. E anche qui le principali organizzazioni umanitarie si muovono ormai come aziende. Save the Children, vincitrice dell’Oscar di bilancio è un esempio enigmatico di come siano cambiate le prassi di questo mondo: “Lavoriamo su due grandi assi. La definizione degli obiettivi strategici – dice Fatarella – più i processi e la loro valutazione. Noi mettiamo in campo programmi a tre-cinque anni con obiettivi e indicatori misurabili. Stabiliamo i target, le risorse economiche e come fare un acquisto equo dei beni”. Ogni responsabile di progetto ha prefissati sia i traguardi da raggiungere sia gli strumenti per capire se è sulla buona strada o no. “Poi un internal audit certifica strada facendo che tutto vada bene”, conclude Fatarella. Il lavoro, ovviamente, non è facile, visto che monitorare e fornire ospedali nella savana, opere in Amazzonia e le grandi macchine organizzative messe in piedi per fronteggiare emergenze come quelle dei migranti è molto più complesso che gestire un impianto metalmeccanico in Val Padana.
Macchina amministrativa
L’operazione trasparenza delle Ong – almeno di quelle principali e con i bilanci certificati – ha avuto un altro obiettivo: crescere senza sovraccaricare i costi di struttura. Missione, anche se un po’ a pelle di leopardo, compiuta. I dipendenti delle prime 10 in Italia sono cresciuti dai 1.261 del 2012 ai 1.512 attuali. Ma le spese amministrative sono rimaste sotto controllo, evitando di rubare soldi alle missioni sul campo. A Emergency i costi di gestione sono solo l’8% delle entrate, il 6% se ne va per promuovere la raccolta e l’86% finisce nelle opere di bene statutarie. Msf è dedica alle missioni sul campo l’82%, Save the Children il 79,8%, Airc l’82% e Telethon il 72%. Il controllo delle finanze del resto è una delle chiavi per riuscire a convincere i donatori a scegliere una ong rispetto a un’altra come destinazione dei propri fondi. In America, non a caso, esiste una sorta di agenzia di rating ad hoc per il settore – si chiama Charity Navigator – che assegna un voto da 1 a 4 agli enti per stabilire la trasparenza e l’affidabilità dei loro conti. Chi è promosso, come succede a Wall Street, vede salire le proprie quotazione e le donazioni. Chi prende un cartellino giallo paga un pedaggio salato alla bocciatura. E non è escluso che anche in Italia, dove il terzo settore sta maturando rapidamente a tutti i livelli, si possa arrivare presto a meccanismi di valutazione di questo tipo.