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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

«Dobbiamo avere il diritto di dire che l’islam fa schifo». Intervista a Ernesto Galli Della Loggia

L’appuntamento è all’angolo della Stazione Centrale di Milano. Nell’affanno del parcheggio avvistiamo Ernesto Galli della Loggia, che attende con la valigetta in mano: «Avevamo detto alle 13». Per invocare clemenza mostriamo il cellulare che segna le 13.08 e per risparmiare tempo indichiamo un tavolino libero, ma non basta: «Lei è giovane, ma sappia che il gran difetto della sua categoria è l’arroganza. Pensate di essere dei mammasantissima». E mentre il tono da risentito si fa più professorale estrae la tessera del Club Frecciarossa per farsi seguire in aria condizionata, dove pure tra noi il clima si stempera. Non a caso è lo storico che dal 1992 scandisce i tempi della politica con i suoi fondi sul Corriere, appena raccolti nel volume Il tramonto di una nazione edito da Marsilio. 
Tra tanti viaggiatori viene spontaneo domandarle: gli italiani sono peggiorati o siamo una società più libera? 
«Tutte e due le cose: siamo una società più libera, ma non migliore. Oppure in alcuni aspetti sì, non c’è più il delitto d’onore per esempio, ma non paghiamo le tasse, l’istruzione è peggiorata e la vita urbana...». 
Manca il decoro, forse? 
«La libertà viene interpretata come informalità. Il culto delle forme viene considerato sorpassato, perché ci manca la cultura delle istituzioni». 
Il rigore sembra di destra? 
«Sì, ai più imbecilli. Si possono cambiare le forme, ma una cultura delle forme è necessaria in una società». 
La nostra società viene messa in discussione da un flusso migratorio epocale. Come viene gestito? 
«Male, ma anche i più critici non sanno risolvere questo problema che si aggrava. Salvini fa sparate generiche, ma non osa dire che bisogna sparare sui barconi. Si limita a sostenere che vanno riportati indietro, anche se è inverosimile». 
Come fare allora? 
«L’unica è non farli arrivare. Ieri ero vicino Arona sul Lago Maggiore e mi dicevano che tutti i migranti che ospitano non hanno passaporto. Dove li mandi indietro? Chi li vuole?». 
Va anche gestita la loro presenza, perché sia legale. 
«Il primo problema è non farli arrivare, il secondo è gestirli. Su questo ci possono essere maggiori soluzioni». 
Poi c’è il problema della cittadinanza. Cosa pensa dello Ius soli? 
«Un terzo problema ancora. Giusto concedere la cittadinanza a chi nasce qui, ma a 18anni dopo una verifica della conoscenza dell’italiano e delle leggi e avergli chiesto se vuole diventare nostro concittadino». 
È difficile la questione in un’epoca dominata dal terrorismo, non trova? 
«Il terrorismo è un quarto problema ancora e mettere tutto insieme serve a fare un minestrone da talk show televisivo, cioè una cosa di infimo rango». 
Spesso sono stati immigrati di seconda generazione frustrati a compiere attentati... 
«Ci sono pure quelli di prima generazione, ma può essere anche vero quel che lei dice e allora? A questo punto tutti stanno zitti. Bisognerebbe non farli arrivare, ma come si fa? Torniamo al punto di partenza. C’è molta demagogia su questo argomento, è inutile che lo dica a lei». 
Nel suo libro elenca gli errori da non compiere davanti all’Islam. Tra questi suggerisce che l’islamofobia è lecita e l’accusa di tale comportamento va ristretta ai casi di discriminazione. 
«Sì, per questo il vostro Filippo Facci non deve essere sanzionato dall’Ordine dei giornalisti. Dobbiamo avere il diritto di dire che la religione islamica non ci piace, fa schifo». 
A lei perché non piace? 
«Per molti aspetti è contraria ai miei principi laici e anche cristiani. Però la tollero finché non ha atteggiamenti illegali». 
Ma come si fa ad accogliere gli islamici se la loro religione cozza coi nostri valori? 
«Originariamente cozza, ma teoricamente nulla impedisce all’Islam di evolversi come ha fatto il Cristianesimo». 
Nel libro scrive pure che gli intellettuali occidentali dovrebbero pungolare di più l’Islam in tal senso. 
«Certo e anche nei modi dell’accoglienza. Per esempio nella parità uomini-donne». 
Questo presuppone una superiorità della cultura occidentale? 
«Non c’è nessun senso di superiorità, semplicemente questa è la nostra cultura. Qui le donne guidano l’automobile. Seaunononvabenesenestia altrove». 
Lei dunque non crede allo scontro di civiltà? 
«Penso che sia in una dimensione diversa. È finita la supremazia dell’Occidente e c’è un desiderio di massa di alcuni mondi di un confronto-scontro. In particolare di quello islamico, che è dominato dal fattore religioso e dal fondamentalismo. Lo scontro di civiltà è come fare la guerra, non bisogna essere in due». 
La religione islamica è una scusa per certi interessi? 
«No, è un elemento del quadro. C’è una mobilitazione antioccidentale di massa nei paesi islamici. Non c’è solo questo, ma c’è pure questo. E tale mobilitazione ha un movente anche religioso». 
Cambiando argomento, dieci anni fa ci incontrammo a un convegno e lei disse che il Pd era una fusione a freddo e non sarebbe durato. 
«E anche grazie a quell’errore il Paese non è migliorato. Non c’è più una grande industria, regna la disoccupazione, si aggrava il divario Nord-Sud, non facciamo figli, gli studenti vanno male nelle prove Pisa, l’immigrazione... insomma, è il tramonto di una nazione». 
Davanti a tanti problemi come vede le forze politiche? 
«Nessuno ha idea di come risolverli. Sono venuti al pettine i nodi della nostra economia e della raccolta del consenso». 
Cosa augurarci? 
«Che vinca il meno peggio, ma non riesco a puntare su nessuno. Tra le tante cose che indicano il tramonto di una nazione, non abbiamo più culture politiche e partiti. I politici sono servi: nel Pd di Renzi, nel M5s di Grillo, in Fi di Berlusconi, nella Lega di Salvini. Sono tutti partiti personali con un seguito di camerieri». 
Il M5s non è diverso? 
«Sì, è di due persone: Grillo e Casaleggio». 
Un loro governo la spaventa? 
«Sì, perché sono privi di competenza politica e sono di una superficialità bambinesca. Difficile pensare che qualcuno di loro abbia degli studi dietro». 
Li trova disinteressati? 
«Non si mettono i soldi in tasca, anche perché stanno all’opposizione. Sono però interessatissimi alle loro carriere politiche, d’altra parte in genere non sanno fare altro». 
Di Battista ha detto a Scalfari: non criticateci, ma aiutateci a migliorare. Lei che consiglio darebbe al M5s per essere più utile? 
«Di selezionare meglio la classe parlamentare». 
Dunque per lei è il Pd l’unica speranza del Paese? 
«Lo è mai stato? Forse sì, nel senso del meno peggio. Renzi all’inizio è sembrato l’uomo nuovo, ma ha terribilmente deluso le aspettative». 
Anche le sue? 
«Buon’ultime, pure le mie». 
Ci aspetta una grande coalizione Renzi-Berlusconi? 
«Se non ci saranno alternative sì, ma una coalizione è la premessa di un governo debole. Non sarà facile andare d’accordo e sarà la paralisi». 
Lei ha scritto molto sul bisogno di un centrodestra liberale. Qual è il problema? 
«L’implacabilità di Berlusconi, che distrugge chiunque lo circondi tranne i camerieri. Dal suo punto di vista lo capisco, ma non fa il bene del centrodestra. Ora appoggia il proporzionale per fare un governuccio con Renzi, ma quando si affacciò alla politica diceva ben altro: è il cinismo dei politicanti, gli statisti fanno ragionamenti di lungo periodo». 
Delle sinistre fuori dal Pd renziano cosa pensa? 
«Nullismo puro. È proprio di una certa sinistra andarsene. Finiranno come il Psiup». 
L’Ue ci è necessaria? 
«Dell’euro non possiamo fare a meno, anche per il debito pubblico, di conseguenza viene l’Ue. Dovremmo farci parte attiva per cambiarla, ma servirebbe un governo forte. Il massimo desiderio dei politici invece è di piacere alla Merkel o alla City di Londra». 
Berlusconi agita il fantasma di Mario Draghi. 
«Chiamato da Berlusconi non verrebbe mai. Inoltre, serve un premier che abbia vinto le elezioni». 
Ora, se permette, qualche domanda su di lei. Come fa a scrivere un editoriale a settimana da 15 anni? 
«Ho molte idee in testa, forse sbagliate, ma varie. Dal 1992 scrivo sul Corriere e prima ancora Giorgio Fattori mi invitò a collaborare a La Stampa dopo aver letto qualche mio articolo su L’Europeo e L’Espresso. Mi è stato utile il mestiere di storico. Una volta i giornalisti coltivavano la Storia, penso a Montanelli e a tanti altri, oggi tendono a essere delle capre. Impreparati come i politici». 
Esiste la libertà di stampa? 
«Fattori mi disse: lei può scrivere ciò che vuole, tranne che la Fiat fa delle brutte macchine. Devo dire che o io ho sempre magnificamente interpretato i desideri dei poteri forti, e ne sono stato un servitore inconsapevole, oppure questi non esistono. Da quattro direttori che ho avuto al Corriere non ho mai ricevuto un divieto, al massimo qualche volta la preghiera di limare un aggettivo». 
Sono cambiati i giornali? 
«Una volta erano più scritti. Ora sono preda di un istinto suicida: diventare come la tv. Tutti titoli, foto e articoli brevi su cose che la gente sa già. Il suicidio. E qui bisognerebbe aprire un discorso sulla qualità di chi li fa. Io spero molto in Urbano Cairo, ma non lo scriva se no sembra che voglia sviolinare il proprietario del Corriere, perché finalmente c’è uno che vuole fare i soldi col giornale». 
Però si pensa abbia un’idea pop del quotidiano. 
«Credo anch’io, ma lasciamo perdere la formula. Lui non vuole guadagnare da altro, ma dall’editoria». 
Quali sono i pensatori che l’hanno ispirata? 
«Leggevo Il Mondo, Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi. Indro Montanelli l’ho scoperto tardi e ammirato anche come divulgatore storico. Ho sempre difeso Oriana Fallaci». 
E tra i suoi coetanei chi legge volentieri? 
«I miei amici storici Paolo Mieli e Giampiero Mughini». 
Una volta si definiva di sinistra e oggi? 
«Non mi definisco. Non ci sono più destra e sinistra, anche se resistono delle sensibilità e ci possono essere politiche diverse. La definizione tipica che capita a chi la pensa come me è cerchiobottista».