Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 03 Lunedì calendario

Marte, il sogno può attendere. Intervista a Johann-Dietrich Wörner

«Sì, credo di sì: donna o uomo che sia, il primo essere umano che sbarcherà su Marte è già nato, magari da poco, ma è nato. Ancora niente da fare, invece, per chi abiterà sul Pianeta rosso per colonizzarlo». Marte City può attendere, e anche parecchio, insomma, per Johann-Dietrich Wörner, 63 anni, direttore generale dell’Agenzia spaziale europea. È l’ingegnere civile tedesco, europeista fino al midollo, che tratta alla pari con Nasa e Roscosmos, il capo degli astronauti Cristoforetti, Nespoli, Parmitano e Vittori.
Perché questa prudenza?
«L’affascinante e insopprimibile impresa di andare su Marte, per di più, dice qualcuno, per costruirvi una città, richiede un tale impegno economico e uno sforzo tecnologico così forte che sarà affrontabile solo se prima ci organizzeremo sulla Terra con una nuova politica di alleanze veramente globali, proprio come se fossimo in un unico villaggio in cui sono chiari i ruoli del leader e di chi deve fare che cosa per il bene comune. Ne saremo capaci?».
Ma Elon Musk, creatore di SpaceX, vuole portare un milione di terrestri su Marte entro la metà del secolo, mentre l’astrofisico Stephen Hawking ha detto che l’umanità dovrà abbandonare la Terra entro 100 anni. Come la mettiamo?
«Dunque, per andare su Marte con le attuali tecnologie, e anche ipotizzandone realistici sviluppi importanti per sfruttare le risorse di lassù senza dover portare tutto dalla Terra, servono almeno sei mesi, poi per tornare bisogna attendere quasi due anni perché la distanza fino al nostro pianeta sia di nuovo il più breve possibile (si va da 56 milioni a 360 milioni di chilometri secondo la posizione dei pianeti nelle orbite attorno al Sole, ndr). Dico tornare perché credo fermamente che tutti vogliano tornare sulla Terra dopo aver sperimentato quell’inferno che è Marte».
Peggio che nel film The Martian con Matt Damon?
«Bellissima storia, ma non dà che una minima idea delle difficoltà. E allora, possiamo mandare a cuore leggero su Marte un equipaggio sapendo che se qualcosa va storto sarà assolutamente solo e che bisognerà aspettare almeno due anni per riportarlo sulla Terra? Una malattia, un incidente, pensiamo solo al problema serissimo delle radiazioni: lo spazio comporta molti rischi. E chi vorrà per anni abitare in una scatoletta?».
Come canta in Space Oddity (Sitting in a tin can) David Bowie che si domanda anche se c’è vita su Marte?
«Già, una bellissima colonna sonora per il viaggio».
Ma una tappa intermedia sulla Luna, magari in quella base che l’Esa sta ipotizzando, può aiutare a lanciare il viaggio marziano?
«Sono certo che torneremo presto, molto presto, sulla Luna, e che poi andremo su Marte, ma anche per il nostro satellite non sono convinto del termine colonizzazione. A ogni modo per andare sulla Luna bastano pochi giorni (la distanza è di 400mila chilometri, ndr) e se qualcosa non va per il verso giusto si fa presto a tornare, vedi l’esempio di Apollo 13».
Le missioni lunari Apollo costarono agli Usa 25 miliardi di dollari, un quarto di quello che spendevano ogni anno per la guerra nel Vietnam. Ma per le missioni marziane si ipotizzano costi fino a 1.500 miliardi di dollari, il pil di una nazione come il Canada: come trovarli?
«Sono calcoli difficili da fare, ma con una certezza: andare nello spazio è nella meravigliosa natura dell’uomo salito sull’Everest e sceso nella Fossa delle Marianne e che, ancora prima, ha scoperto l’America. E inoltre si è visto che le attività spaziali, come quella della Stazione internazionale (Iss), sono formidabili collanti fra le potenze mondiali, fonte di ispirazione per i più giovani e indispensabili aiuti al progredire della scienza, della tecnologia, della medicina. Però, ecco la certezza, per andare su Marte, per fare dell’uomo una specie interplanetaria (come dice Musk, ndr) bisogna che cambi completamente il passo delll’umanità».
Ma le nuove potenze spaziali quali India e Cina non partecipano alla vicenda della stazione internazionale, tanto che la Cina se ne sta costruendo una tutta sua, il Palazzo Celeste.
«Appunto, penso che piuttosto che pensare di abbandonare la Terra, che poi mica potremo spostare 8 miliardi di persone ma solo pochi individui, dovremo imparare a difenderla, anche grazie alle tecnologie che saranno inventate per andare su Marte. Capisco il messaggio che c’è dietro l’allarme di Hawking e sono affascinato dalle visioni, alcune brillantemente realizzate, di Musk, ma diamoci da fare per accordarci fra nazioni anche in nome delle imprese spaziali: per quanto forti, le tensioni Usa-Russia (e prima Urss) non si sono mai sentite e non si sentono nella convivenza sulla stazione spaziale. Lei poi mi sta intervistando in questo posto magnifico che è il Campidoglio in cui stiamo sottolineando la forza della politica spaziale per l’integrazione dei paesi dell’Unione europea...».
Che comprende adesso 28 nazioni, mentre nel convegno per il 60° anniversario dei Trattati di Roma si è sottolineato che i paesi firmatari furono solo sei.
«Ecco, lavoriamo allora per estendere accordi di cooperazione a tutto il mondo se vogliamo andare e tornare da Marte e anche oltre. Ognuno metta le sue risorse, le sue competenze, anche i privati, naturalmente: c’è posto e c’è bisogno di tutti, anche di chi punta al turismo spaziale, di chi vuole sfruttare le risorse del sottosuolo di Luna e Marte. Costruiamo un’architettura politica nuova con regole sovranazionali snelle, scegliamo un leader come si farebbe appunto in un villaggio e dividiamoci i compiti fra nazioni, agenzie spaziali e privati così come poi ci divideremo i benefici. Lo so, non sarà per nulla semplice: immaginare una potenza al servizio delle altre e che accetta una leadership non sua pare fantascientifico, ma lo è quanto pensare di colonizzare Marte in pochi generazioni».
Generazione Marte hanno definito i nuovi 12 astronauti della Nasa: qualcuno di loro ci arriverà?
«Quanti anni hanno?»
Dai 29 ai 42.
(lungo sospiro) «Mah».
Intanto nel 2024 la stazione spaziale internazionale, che dal 28 luglio accoglierà Paolo Nespoli, andrà in pensione?
«Se ne sta parlando. Ma l’uomo non potrà fare a meno di un ambiente come quello: c’è bisogno di continuare a fare esperimenti in situazione di microgravità che in questi anni hanno permesso fenomenali progressi in ogni settore della scienza e della tecnologia. Un laboratorio in orbita permette di testare sostanze, farmaci e apparecchiature salvavita, progetti di biologia e fisica e lo stesso corpo umano anche in vista di lunghi viaggi spaziali».