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 2017  luglio 01 Sabato calendario

Yara, scintille in aula e Bossetti insulta il pg. «Dici solo idiozie»

BRESCIA Sbottare in aula davanti ai giudici e inveire contro il procuratore generale alla prima udienza di un processo d’Appello è un consiglio che mai nessun avvocato si sentirebbe di dare al suo cliente. Se poi l’imputato, già condannato all’ergastolo in primo grado per avere ucciso una ragazzina di 13 anni, alla vigilia del processo aveva pure dichiarato «sono fiducioso di avere giustizia», allora diciamo che l’esordio di Massimo Bossetti di fronte alla corte d’Appello di Brescia poteva andare meglio.
Tre e un quarto del pomeriggio, aula 64. L’ udienza iniziata alle 9 è ripresa dopo la pausa pranzo. «Eh no...Non posso stare qui a sentire questo che viene qui a dire idiozie». Bossetti scatta in piedi, primo banco sulla destra, accanto ai legali. È una furia. Per calmarlo, uno degli agenti della penitenziaria gli mette le mani sulle spalle, nemmeno fosse Corona. L’imputato ce l’ha con il procuratore generale, Marco Martani. Nella sua requisitoria – senza sconti – il magistrato stava affrontando uno dei tanti punti controversi che hanno caratterizzato il processo di primo grado, e che hanno convinto i giudici di Bergamo a infliggere a Bossetti il massimo della pena per l’omicidio di Yara Gambirasio, uccisa a 13 anni, il 26 novembre 2010, in un campo a Chignolo d’Isola. Le fibre. Quelle dei sedili del furgone Iveco di Bossetti. Compatibili, hanno ritenuto i giudici e ribadisce Martani, con quelle trovate sugli abiti di Yara (il corpo è stato scoperto il 26 febbraio 2011).
Mentre il magistrato argomenta, l’imputato inizia a stizzirsi: prima si gira verso la moglie Marita, seduta dietro di lui; poi si alza in piedi ed esplode: «Dice solo idiozie...». A richiamarlo è il presidente della Corte, Enrico Fischetti: «Lei deve stare seduto e zitto e, se vorrà, quando sarà il momento potrà fare dichiarazioni spontanee». Mai, finora, il muratore 47enne aveva avuto uno scatto di nervi così: al massimo si era un po’ spazientito, e questa reazione, al debutto di un giudizio importante, ha stupito anche i legali e i familiari presenti nell’aula gremita, la madre Ester, la sorella Laura Letizia, la stessa Marita.
Jeans, camicia bianca con collo alla coreana, abbronzatissimo. Quando è sceso dal cellulare e ha fatto il suo ingresso nel tribunale assediato dalle telecamere (vietate in aula, come i telefonini), Bossetti sembrava tranquillo. Anche sorridente. Preso posto accanto ai legali, per prima cosa ha stretto la mano alla moglie. Poi si è messo ad ascoltare il primo passaggio dell’udienza: la lettura della relazione che sintetizza i contenuti della sentenza di primo grado. Il procuratore generale esordisce così: «Bossetti merita, anche in appello, la massima pena». La condanna del primo grado, precisa, è stata «ineccepibile», presenta «una motivazione coerente, logica, completa».
Al termine di una ricostruzione che in sei ore ripercorre tutti i nodi del processo – la prova regina e «solidissima» del Dna di ex “Ignoto 1”, le fibre, gli spostamenti di Bossetti, gli indumenti di Yara, il furgone, le ricerche della vittima e quelle di Bossetti sul computer, il contesto nel quale è maturato l’omicidio – il procuratore formula le sue richieste. Bossetti non solo dev’essere condannato (all’ergastolo, come in primo grado) per l’omicidio aggravato da sevizie e crudeltà, ma anche per aver calunniato l’ex collega Massimo Maggioni, sul quale cercò, secondo Martani, di sviare le indagini con false accuse. E «non è meritevole» di attenuanti: il procuratore chiede anzi che gli vengano inflitti anche 6 mesi d’isolamento diurno in carcere.
All’inizio del processo, che avrà altre 3 udienze o al massimo 4 (la prossima il 6 luglio), Martani aveva dato il nulla osta all’acquisizione di alcune foto satellitari prodotte dalla difesa, scattate a fine gennaio 2011. Secondo i legali di Bossetti dimostrerebbero che in quei giorni, sul campo dove è stato ritrovato il 26 febbraio, il corpo di Yara non c’era ancora. «Un elemento che cambierebbe il quadro e quindi anche la sentenza», hanno spiegato. Secondo l’accusa (e secondo la sentenza di Bergamo) Yara è stata uccisa e poi abbandonata nel campo di Chignolo la sera stessa del 26 novembre 2010. Punto. Nessuno spostamento postumo. Le foto satellitari «sono state acquisite a suo tempo dalla polizia giudiziaria e non ritenute rilevanti», ha commentato Martani.