la Repubblica, 3 luglio 2017
Le regole perfette di Shonda. «Così sono nati Scandal e Grey’s Anatomy»
Prima di La La Land c’è ShondaLand, la proverbiale Terra di Shonda. L’impero televisivo fondato nel 2005 dall’afroamericana più potente degli Stati Uniti, Shonda Rhimes, non solo ha alzato la barra delle serie tv ma si è trasformato in uno stato mentale, un ricettario del successo, esportabile in tutto il mondo. Tre nomination agli Emmy, serie affilatissime e di tendenza. Qualche titolo? Grey’s Anatomy, Scandal e Le regole del delitto perfetto.
Rhimes, quarantasette anni, patrimonio da centoventi milioni di dollari, ha messo la macchina da scrivere davanti all’indice di gradimento – «Butto un occhio agli esperti di marketing, ma a guidarmi resta il fiuto» – e riscritto le regole della serialità, fondendo soap-opera e politica, incrociando generi, snellendo i barocchismi. Un inizio da co- sceneggiatrice seguito da una serie di film per grandi studio (da Disney a Paramount). In pieno boom di piattaforme di streaming e distribuzione online, come Netflix e Amazon, Shonda mette nero su bianco il segreto del suo business. «Le storie le scrivo di mio pugno, niente libri o ritagli di giornale», dice. «Non tifo per gli adattamenti letterari. Vivo imprigionata in una stanza con i personaggi… Nella Terra di Shonda, appunto».
Ecco quattro regole – raccontate dalla sceneggiatrice – per realizzare una serie di culto.
Primo: costruire recinzioni alla creatività.
«Al mio gruppo di lavoro chiedo sempre di costruire recinzioni. I paletti stimolano creatività e intelletto. Ho cominciato a fare la rabdomante di storie a tre anni. In cucina c’erano una piccola dispensa di cibo e un televisore con il viso dell’ex-agente della Cia James W. McCord. Rinverdivo lo scandalo Watergate, per gioco. Non ho mai creduto all’espressione “aspirante scrittore”. Se sei scrittore, sei scrittore. Oggi le piattaforme digitali devono spostare un po’ più in là il gusto dello spettatore. Se quello che ho in mente funziona o no, me ne accorgo dalle prime dieci pagine. Stilo una lista mentale di regole, poi le sovverto. Sogno le mie sceneggiature quando dormo: vado a letto con un problema e appena apro gli occhi so come risolverlo. Un esercizio che consiglio a tutti».
Secondo: attenti alle caricature.
«In America, noi produttori esecutivi abbiamo un obiettivo: non quello di raccogliere venti milioni di spettatori a settimana, com’è capitato a me, ma trattare ciascuna stagione come un’entità speciale, un animale a sé, quasi fosse la prima di una serie arrivata al tredicesimo anno, vedi Grey’s Anatomy. Vietato cadere nelle caricature. Mantenersi fedeli alla propria biografia, alla propria storia. Mi riferisco sia allo scrittore, sia alla persona che abita lo scrittore».
Terzo: creare simmetria e senso di familiarità. «Un altro ingrediente è la simmetria, dare continuità e sviluppo alla trama, agli intrecci, creare un perpetuo senso di familiarità e di comfort nello spettatore. Infine, tenere spento il cellulare almeno fino alle sette di sera».
Quarto: non inseguire l’attualità a tutti i costi.
«Le mie serie più politiche non sono necessariamente lo specchio del Paese.
Credo che chi scrive un progetto per il piccolo schermo debba puntare sui personaggi. I miei sono viziati, imperfetti e scorretti; flirtano con il voyeurismo. Non posso equiparare le storie di Scandal agli attuali retroscena politici. Quando scrivo o produco, non scimmiotto intrighi di potere né costruisco a tavolino una puntata sulle violenze domestiche. Mi è comunque capitato di ricalibrare in corsa dialoghi e ruoli perché sembravano anticipare troppo quello che vive l’America oggi».