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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

Divertitevi con la Storia rifatta in tv

Non è vero ma si fa finta che lo sia: le fiction, come i film e i romanzi storici, hanno un pubblico colto che conosce la Storia, che frequenta la National Portrait Gallery di Londra, e sa tutto delle brutte dame Tudor con la cuffietta, dipinte da Holbein, di Elisabetta d’Austria con le stelline di diamanti nella stupefacente acconciatura, ritratta da Winterhalter, di Ludovico il Moro con il manto ricamato d’oro del Boltraffio. In realtà, gli appassionati delle fiction in costume, soprattutto signore anche ignare della decapitazione di Carlo I o delle guerre scatenate nei secoli passati tra gli Stati italiani, al massimo informate del serpente di Cleopatra o delle brioche di Maria Antonietta, amano il fasto regale di un tempo e le storie che con la scusa di appartenere al passato trattano la regina Vittoria come fosse una mielosa fanciulla delle soap opera messicane e spagnole, e va benissimo; non è alla fiction, che racconta come vuole re e regine, che si chiede di attenersi rigidamente al colore delle camicie di Maria la Sanguinaria. Ciò che importa, con la scusa della Storia, è che i telecreativi possano giustificare a noi spettatori forse sempliciotti ma sicuramente curiosi, il succedersi implacabile, in puro stile Invernizio, di amori tradimenti gelosie omicidi e figli di nessuno in varie corti principesche che dominarono il mondo. E che neppure ai più pignoli spettatori casuali, intrappolati nelle puntate zeppe di cavalli in corsa e di ventagli agitati, venga in mente di rimproverare la spesso spudorata mancanza di rispetto della verità, nei dettagli ma anche negli eventi epocali, riscontrabili con un po’ di pazienza e qualche stagista non pagato, nei documenti d’epoca e nelle ricerche storiche. Però, davvero, chi se ne importa, mica si pretende di guardare un documentario impossibile e forse antipatico sulla Guerra dei Cent’anni, tanto più, ed è molto peggio, che anche i documentari sono bugiardi: si aspira solo a una avvincente favola con protagonisti tipo Napoleone o Caterina di Russia, non dissimili nei comportamenti da Satanella la mano della morta o da Mariti Birbanti.
Basta saperlo, non pretendere l’impossibile, aspirare al meglio, a una somma di errori affascinanti che rendano più avvincente una realtà che i libri di scuola hanno reso lugubre e insignificante. Per esempio, ammesso che si apprezzino orge papali e trame cardinalizie, da anni vanno su e giù dal video i famosi Borgia, che ne fanno di ogni colore sporcaccione e sanguinario, in due serie quasi contemporanee: una anglo-ungherese con il cattivissimo papa grasso, ventinove episodi, l’altra franco-tedesca con il cattivissimo papa magro, trentotto episodi. Tutte e due sono “liberamente ispirate”, di tutte e due il web segnala seriamente e inutilmente le inesattezze storiche spesso ridicole. Ogni volta che vengono ritrasmesse, se posso le rivedo, tanto il bello della fiction è che si dimentica immediatamente. Quindi ogni volta sono sempre come nuove o quasi. Ne facessero un’altra, un ulteriore Borgiagate magari turco-russo, mettiamo con papa Alessandro VI bello e giovane come l’inventato Pio XIII di Sorrentino in costumi vaticani quindi senza tempo (e di cui si aspetta fremendo la seconda parte sempre col meraviglioso Jude Law) non la perderemmo, anche se come gli altri due, del tutto assurda. Misteriosamente i film che piacciono si dimenticano molto meno: impossibile, per quanto riguarda storie settecentesche, dimenticarsi di Barry Lyndon di Kubrick, dal romanzo di Thackeray, del viso vuoto e bellissimo di Marisa Berenson, dei paesaggi simili a quelli dipinti da Turner, degli interni a lume di candela. Non lo si dimentica ma lo si rivede appena possibile, col piacere che si rinnova. Dieci volte? Forse di più. Chi è stato innamorato del bel cinema e lo è ancora, un po’ si vergogna di rivelare la passione sventata che provoca la fiction casalinga, e di preferire talvolta, e di nascosto, una sua puntata, rinunciando al cinema con un film Leone d’Oro: ma purtroppo certe fiction fantastoriche sono diventate il rifugio elettrizzante di molti che un tempo leggevano la Storia scritta dagli specialisti di varie epoche, e che negli anni Ottanta persero la testa per un film di Greenaway, I misteri del giardino di Compton House, con neri costumi fine Seicento.
Dei personaggi fantasiosamente veri il più affascinante è certo Enrico VIII, per via delle sei mogli, due decapitate, una morta di parto, una ripudiata, la prima, che, resistendo a ogni tentativo reale di cacciarla, fu la causa del distacco dell’Inghilterra dalla Chiesa Cattolica; e l’ultima finalmente viva e vedova. Biografie su biografie, romanzi su romanzi, film su film ( indimenticabile quello in bianco e nero del 1933, diretto da Korda e interpretato da Charles Laughton); il colpo geniale di chi ha prodotto scritto e girato le trentotto puntate dei Tudors è stato quello di scegliere un Enrico VIII ben diverso da quello dei suoi ritratti, dove appare grasso, gonfio, spiritato come un molesto ubriacone, a quaranta anni: Jonathan Rhys- Meyers, giovane, bello ( del resto il re prima di inciccionirsi lo era veramente, lo sostengono le cronache), tutto gioielli velluti ricami piume corone vitino occhi azzurri, barbettina che ingrigisce di moglie in moglie, e che di guerra in guerra, anche con gamba piena di piaghe, mantiene soprattutto nudo il fascino necessario a trattenere il suo pubblico, in Italia non eccessivo, soprattutto femminile e gay. Anche in questo caso, la meraviglia delle puntate consente quando ridanno la serie di guardarle a caso; e non importa se si incoccia nelle puntate non conseguenti, quindi la storia della (forse) puttanella Bolena dopo quella della puttanina Howard. Quel che conta sono gli sguardi, le danze, gli ammiccamenti, i corsetti, le torture, la cacciagione mangiata con le mani, i corpi attorcigliati, il casino religioso, e pazienza per la cronologia. Dicono che I Tudors sia una delle serie storiche più aderenti alla documentazione d’epoca, eppure inesattezze a non finire, segnalate da accigliati accademici impreparati a lasciarsi andare alla bellezza delle immagini, alla grazia della sceneggiatura, alla bravura e bellezza di tanti nuovi attori, e pure al travisamento dei fatti che li rende più avvincenti. Infatti non si è fatto caso a errori veniali e tuttavia segnalati da esperti cocciuti, tipo: che all’epoca ancora non esistevano i cannocchiali, che i cavalieri non montavano a cavallo con la punta del piede alto e il tacco basso, che le mucche non portavano all’orecchio un cartellino di appartenenza. Errori inessenziali, perché quel che conta sono il padre di Anna che trama, suo fratello che è gay, Caterina la moglie ripudiata che prega, il papa che si scoccia. Il problema è che chi ama i Tudor si sta chiedendo, con desolazione, perché non arriva in Italia un’altra tudorata, pare ammaliatrice, trasmessa con successo e premi nel 2015 in Inghilterra, Usa e altri paesi. Ma non da noi. Sei puntate, protagonista questa volta il potente ministro Cromwell, magnifico bruttone in nero, che fa e disfa i matrimoni e le scelte religiose e politiche di Enrico VIII, fin quando non gli tagliano la testa. È il caso in cui gli appassionati sono costretti, nell’attesa, a rivolgersi al libro da cui la serie è tratta: anzi ai libri, i due romanzi, scritti dalla bravissima Hilary Mantel, tutti e due vincitori del Booker prize, pubblicati in Italia da Fazi, Wolf Hall e Anna Bolena, una questione di famiglia. Tale è la brama tudoriana, che ci si accontenta di aspettare l’ultimo volume della trilogia, però non ancora terminato dalla scrittrice. Miracolo della fiction nei suoi limiti ben fatta, che spinge al ritrovato o nuovo piacere della lettura. Ma in attesa della seconda stagione su cui un nugolo di esperti sta lavorando, cosa possano leggere i milioni di spettatori che hanno osannato le prime otto puntate dei Medici, produzione anglo- italiana, piaciuta moltissimo malgrado una quantità di invenzioni non indispensabili, che le reti generaliste ritengono sempre necessarie per accontentare il loro popolo? Ci sono centinaia di biografie, studi, romanzi su tutta la famiglia: si consiglia una approfondita recente ricerca di varie università italiane e americane, che risponde all’importante quesito: cosa mangiavano quei ricchi e spendaccioni Medici? Troppe proteine e troppi grassi come tutti i ricchi rinascimentali che nulla sapevano, beati ma gottosi, di diete vegane o simili.