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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

Dall’Ucraina a casa da mamma, preso il killer del fotoreporter

ROMA Non fu un caso, oppure un incidente, come pure il governo ucraino aveva provato a fare credere. È stato un agguato. E a dare l’ordine di sparare contro Andrea Rocchelli, il fotoreporter italiano ammazzato a Sloviansk il 24 maggio del 2014, mentre documentava insieme con il suo interprete, e attivista per i diritti umani, Andrei Mironov, i danni sulla popolazione civile della guerra in Donbass, fu Vitaliy Markiv, ucraino arruolato nelle milizie che combattono con l’esercito nazionale. Questo sostiene la procura di Pavia che ieri lo ha arrestato a Camerino: Markiv è infatti italo-ucraino, la madre vive da anni nelle Marche.
Il fascicolo sulla morte di Andy sembrava andare verso l’archiviazione. I documenti arrivati da Kiev erano tanti ma privi di qualsiasi peso. Poi, la svolta: i genitori di Andrea, Elisa e Rino, assistiti dall’avvocato Alessandra Ballerini, scoprono le ultime foto scattate del figlio, proprio prima di morire. È in un dirupo, gli sparano contro. Intanto i carabinieri del Ros di Milano, guidati dal colonnello Paolo Storoni, non si sono arresi. Anzi, non hanno mai smesso di annotare ogni dettaglio, nonostante l’inesistente collaborazione ucraina. Fin quando ad aprile ascoltano a verbale, con il pm Andrea Zanoncelli, l’unico superstite dell’agguato, il fotoreporter francese William Roguelon. Il ragazzo racconta che i colpi di mortaio che hanno ammazzato Andy e Andrei sembravano arrivare proprio dalla fazione ucraina, separatista, opposta ai filorussi. E che quei colpi «giungevano dall’alto», probabilmente da «una collina con antenna televisiva ove era ubicata una base dell’esercito ucraino». A gestire quella base era proprio Markiv che nelle ore successive all’omicidio aveva parlato con due giornalisti italiani che si trovavano in Donbass. «Normalmente – aveva detto – non spariamo in direzione della città e dei civili ma appena vediamo un movimento carichiamo l’artiglieria pesante. Così è successo con l’auto dei giornalisti. Spariamo nell’arco di un chilometro e mezzo». «La responsabilità di chi comandava le milizie – scrive il gip Carlo Pasta – è chiara. Un’azione così articolata, con quella durata importante, non poteva essere compiuta se non su ordine o, comunque, con il supporto di chi comandava il plotone». Il governo ucraino aveva detto che era stato un incidente, un danno collaterale da guerra. «Si deve escludere – dice invece il gip – che i miliziani e il loro comandante ignorassero che le persone contro cui stavano sparando non fossero miliziani filorussi giacché essi, anche se privi di distintivi della loro qualifica di giornalisti, erano giunti nel luogo e si erano messi a scattare delle fotografie. Certo non avevano tenuto un comportamento da paramilitari».
Il giudice non ha poi alcun dubbio che Markiv guidasse quel gruppo di combattenti. Agli atti i carabinieri del Ros hanno prodotto documenti e alcune intercettazioni tra la mamma dell’indagato e amici. «Vitalik – dice la donna – mi diceva che bisognava sempre tenere una granata addosso (...) Mi ha detto: “Mamma, il comportamento dei soldati dipende dal comportamento di un comandante. Come mai i miei soldati non bevono e non si sparano? Perché bisogna tenere la disciplina». E ancora: «Quelli sparano – spiegava il compagno della madre, italiano, a un amico – Fa tre mesi a casa e tre mesi al fronte. Non si scherza eh».
Markiv è stato così arrestato appena tornato in Italia per far visita alla madre, anche perché era pronto a ripartire per l’Ucraina come lui stesso aveva detto al telefono il 7 maggio scorso: «Inizio luglio devo andare in un’esercitazione». Resta però poco chiaro perché quell’accanimento, con colpi di mortaio che, come ha spiegato Roguelon, sono durati per minuti e minuti.
«Questa svolta – dicono i genitori di Andrea, Rino ed Elsa – più che un punto di arrivo è una tappa importante nel percorso di ricerca della verità. Ma è già un gran risultato che il caso non sia stato archiviato come era quasi sicuro pochi mesi fa. Se così non è lo dobbiamo alla determinazione, alla competenza e all’impegno del pm Zanoncelli e dei carabinieri del Ros del colonnello Storoni. Attendiamo con fiducia gli sviluppi nell’individuazione delle responsabilità e corresponsabilità, convinti che l’importante è affermare il principio che l’uccisione di giornalisti, di civili inermi, è un crimine da perseguire, non un incidente da archiviare».