la Repubblica, 3 luglio 2017
Magia Wimbledon, la nobiltà dell’erba Federer e la strada verso l’ottavo titolo
LONDRA Cosa fareste, se aveste raggiunto l’età di un nonno, e vi travaste di fronte ad una agguerritissima televisione di bambini che probabilmente avranno avuto una speciale licenza per entrare nel giardino di Wimbledon, tra fiori e metal detector, campi verdi e fragole, e champagne di cattiva qualità?
La prima domanda è: «Chi vincerà i Championships?» e, in difficoltà, rispondo «Vediamolo alla fine».
«Lei, nonno, parla con i campioni. Cosa le hanno detto?».
«Ci parlo, nei limiti di potergli rivolgere qualche domanda nelle Press conferences (conferenze stampa)».
«E cosa le ha hanno detto?».
Estraggo dal mio sacco le note sulle conferenze stampa, e leggo.
«Murray, che ha vinto il titolo lo scorso anno, ci ha confortati per le condizioni della sua anca, che lo faceva soffrire, tanto da attribuirle la responsabilità delle ultime sconfitte, non solo contro Fognini a Roma, contro Coric a Madrid, con lo sconosciuto australiano Jordan Thompson al recente torneo del Queen’s». Quando l’intervistatore lo ha definito il “defending champion” mi sono permesso di rileggergli le parole di Murray al riguardo: «Non sono venuto qui per difendere qualcosa, ma per cercare di vincere il torneo di Wimbledon».
Il bambino curioso che mi faceva domande è subito passato a Roger Federer, citandone la vittoria contro il suo quasi coetaneo Alexander Zverev, nel torneo di Halle, sull’erba tedesca.
«Non è che sia più benevola di quella inglese», ho cominciato. Poi, citando Federer: «Io ho saltato il Roland Garros per meglio prepararmi a Wimbledon. Avevo bisogno di essere veloce nei piedi, e veloce di testa».
Poi, rileggendo il sorteggio, ho ricordato gli avversari che Sua Federarità dovrebbe superare per vincere il torneo. Testa di serie numero tre, Roger dovrebbe battere Alexandre Dolgopolov, numero ottantaquattro, ucraino, poi Dušan Lajovic, numero settantanove, serbo, poi Mischa Zverev, il fratello grande e meno pericoloso di Alexander. E siamo al quarto turno, dove Roger incontrerà Dimitrov, che non dovrebbe poter batterlo facendo parte della sua stessa organizzazione commerciale, il Team 8. E siamo ai quarti, forse contro Alexander Zverev, forse contro Raonic, finalista lo scorso anno. Se Federer supera la semifinale ha, teoricamente, Djokovic. «Perché solo teoricamente?» mi è stato domandato.
«Perché – ho risposto – Djokovic parla ormai di tennis come un professore di filosofia, e non ricordo se un professore di simile materia si sia affermato nel tennis. Djokovic ha detto che non è possibile affrontare da solo le partite e che, oltre ad Agassi, ha chiesto aiuto a un suo vecchio amico di Spalato, Mario Ancic». «E questo Ancic è un filosofo?». «Non so, io lo ricordo da giovane come un bravissimo tennista, che poi si è infortunato ed è diventato avvocato. Professione che può non essere del tutto contraria a una visione filosofica».
La mia risposta era probabilmente inadatta all’intervistatore, che ha allora domandato: «Ma Djokovic potrebbe perdere anche con l’aiuto di Ancic?».
«Potrebbe perdere, perché in terzo turno incontrerà un certo Del Potro, uno che ha avuto la sfortuna di avere un polso operato dopo aver vinto uno Slam e di essere giudicato da una macchina stupida come il computer, invece che da un essere umano».
L’intervistatore si è allora infastidito per le mie risposte, ed ha esclamato «Ma lei non lo usa il computer?». «Lo uso, ma spero di non usarlo». Così è finita la mia intervista.