la Repubblica, 3 luglio 2017
L’eterna sfida degli indipendentisti
BARCELLONA La questione dell’indipendenza Catalana parla molto oltre i confini della Spagna. È una storia antica e nuovissima di conflitto fra la voce del popolo e quella del re. Antica, perché da secoli Spagna e Catalogna sono comunità politiche che si tollerano a vicenda con fatica, in conflitto profondo di identità e cultura. Una storia di Regni e di Contee, gente di terra e di mare, di mulini a vento e caravelle. Nuova, nel tempo del risveglio dei nazionalismi, la crisi economica che esaspera le paure, ora che la Scozia lascia la Gran Bretagna e la Gran Bretagna lascia l’Europa. In Catalogna la novità degli ultimi anni è che il movimento indipendentista è passato dalle posizioni estreme al centro: le forze politiche che lo sostengono sono i conservatori liberali oggi al governo, in una singolare alleanza con la sinistra anticapitalista dei Cup, le Candidature di unità popolare. Qualcosa che somiglia a un governo democristiano con l’appoggio esterno dei centri sociali. Gli indipendentisti non hanno niente a che vedere con la Lega Nord: sono un movimento proeuropeo, internazionalista, con seguaci in ogni area politica – dalla destra alla sinistra anarchica. I suoi massimi sostenitori sono i più giovani che, anche quando figli dell’ondata migratoria dal Sud, sono cresciuti nelle scuole catalane.
La Regione conta sette milioni e mezzo di persone, circa cinque milioni di elettori. Al referendum consultivo di due anni e mezzo fa andarono a votare in 2 milioni e 400mila, per l’80 per cento sostenitori del sì all’indipendenza. Un’indagine pubblicata ieri dalla Vanguardia dice che la maggioranza assoluta degli elettori (71%) vuole andare a votare. Anche quelli contrari all’indipendenza, perché il caso è diventato di principio: lasciare che i cittadini catalani si esprimano è percepito come una questione di dignità democratica e politica. In questi termini ne ha parlato il New York Times.
Il governo catalano è guidato da Carles Puigdemont, subentrato ad Artur Mas 18 mesi fa. L’ex presidente Mas infatti è stato interdetto per due anni dai pubblici uffici per aver consentito il referendum consultivo del 2014. Il vice di Puigdemont è Oriol Junqueras, imponente quarantenne di Esquerra repubblicana (la sinistra repubblicana, anticomunista, indipendentista) frontman della campagna referendaria, politico di grandi ambizioni. L’indipendentismo ha messo in crisi la sinistra storica del Partito socialista catalano, del resto molto esiguo dopo il tramonto di Pascual Maragall – il sindaco delle Olimpiadi – e attraversa come una corrente i movimenti che sostengono in città Ada Colau, sindaca di En Comù Podem: un’area “gauche quinoa” che preferisce al caviale i grani autoctoni, sovranità alimentare, decrescita, vita a basso consumo e chilometro zero.
Dal 2009 il consenso all’indipendentismo è passato dal 15 per cento al 48,5 e lì sembra fermo: metà dell’elettorato, in posizione di stallo. Il governo centrale mostra il pugno ma la credibilità di Rajoy – nel conflitto fra rispetto della legge e della volontà democratica – è messa a dura prova dagli scandali. Solo pochi giorni fa è stato presentato il documentario di Jaume Roures, “Cloacas de Interior”, che mostra la cospirazione di governo (ministro dell’Interno, settori della polizia e dei servizi) per fabbricare falsi dossier sugli oppositori politici, molti dei quali leader dell’indipendentismo catalano. Una guerra sporca.