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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

La vendetta di Trump: il bullo in video la stampa presa a pugni

Il “bullo in Chief” sogna di picchiare i giornalisti. Rilancia tutto contento via tweet uno squallido video taroccato nel quale, dopo le donne che sanguinano, il New York Times che mente, Hillary Clinton da incarcerare ed Obama l’usurpatore affonda nel ridicolo di una fittizia scazzottata con il newtork Cnn. È una rissa immaginaria quanto violenta condensata in pochi secondi di un video dilettantistico dal sapore di un sogno di violenza fisica e di vendetta che un presidente americano coltiva verso chi lo critica.
Il videomontaggio, twittato da Trump, in cui si vede il presidente Usa picchiare un uomo con il logo della Cnn non la cronaca, non la politologia, non la Storia dovranno esaminare un giorno questa clip nella quale il Comandante in Capo della massima potenza militare aggredisce, stende a terra e picchia un personaggio con il simbolo della Cnn al posto del viso, ma uno psicoanalista. O uno psichiatra. Sempre sperando che nessuno, tra i suoi fan più trogloditi, decida di realizzare per lui il sogno e far male sul serio. L’aria è pesante, in questo cupo 4 di luglio, Natale d’America, l’odio viene alimentato dai tweet usati come attizzatoi e qualcuno, come già accaduto su un campo di baseball in giugno, può decidere di sparare al “nemico”,in quel caso il deputato repubblicano Steve Scalise. Trump, nel suo torvo solipsismo claustrofobico, non si rende conto di gettare tweet come cerini nel serbatoio della benzina.
La rissa onirica da show di lotta libera, fra Trump e la Cnn ci trasporta negli angoli più bui della inquietante personalità di Trump. Non che questo sia il primo sguardo dentro l’abisso del subconscio di un uomo che aveva affermato il proprio diritto ad afferrare qualsiasi donna per i i genitali, essendo lui un maschio Alfa e le femmine tutte succubi. Per 500 volte soltanto nei primi cento giorni del proprio regno e ormai molte di più essendo prossimo a compiere i sei mesi di presidenza, alla media di cinque”tweet” al giorno, Donald Trump si è affidato a ogni ora del giorrno o della notte allo smartphone personale che invano i suoi assistenti hanno tentato di sottrargli. Ha sparato bordate di 140 caratteri e vari punti esclamativi – Triste! Brutto! Falsi! Cattivi! Stupidi! contro i nemici e contro chi osa criticarlo, sicuro dell’impunità riservata ai vecchi zii un po’ svitati e ai bambini piccoli molto petulanti.
Nè ridicolo nè vergogna, nè prudenza di statista nè senso di responsabilità istituzionale hanno mai impedito alle sue piccole mani frenetiche (uno dei complessi che scatenano immediate reazioni e confronti con altre parti dell’ anatomia maschile) di diteggiare sulle tastierine virtuali messaggi pubblici che considera parte essenziale del proprio successo e della propria popolarità e che sempre più parlamentari repubblicani giudicano, nelle parole del senatore Lindsey Graham, «al di sotto della dignità presidenziale». Ma ogni giorno,a qualsiasi ora, la sua risposta è sprofondare di qualche passo ancora nella buffoneria squallida del bullo di classe.
La sua ossessione sono i media, quei giornali come il New York Times, quei network TV come Cnn e Msnbc che nella sua contraddittorietà di settuagenario adolescente giudica «falliti» e «morenti» ma che non riesce a ignorare. Ieri mattina alle nove, ad esempio, ancora tutto eccitato e ringalluzzito dal flop della Cnn costretta a ritrattare un falso scoop, fra i tanti veri, sul “Russiagate”,Trump ha retwittato, dunque fatto proprio, una sequenza nella quale aggredisce e picchia un personaggio con il marchio Cnn sul volto, in una mossa di lotta libera.
Un miserabile videomontaggio da sito di “Fake News”, ripreso da una clip girata quando l’attuale presidente assisteva alle esibizioni dei maschioni nella Lotta Libera, al quale la Cnn ha risposto accusandolo di incitare i “trumpisti” alla violenza fisica contro i giornalisti, ma che preoccupa più per la condizione mentale e la maturità psicologica del Presidente degli Stati Uniti che per la sua propensione all’aggressività fisica.
La violenza di Trump è tutta interiore, un gorgoglìo magmatico ed esplosivo di vanità e di rancore per chi non si inginocchia davanti alla sua immensità.
La “TimeLine” dei suoi tweet, tremila da quando scoprì l’esistenza di questo strumento di propaganda e apparente comunicazione, comprendono gaudiose stilettate all’attore Arnold Schwarzenegger, che cercò di condurre una riedizione del suo show “Apprentice”, fallendo. Come se per il neoeletto Presidente degli Stati Uniti il flop di un rivale nello spettacolo fosse più importate dei missili nordcoreani, dell’Isis, del naufragio nei rapporti con l’Europa, del deterioramento del clima planetario. «È fatto così, ribatte colpo su colpo», lo difende la nuova, malcapitata, portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee, figlia di un ex candidato ultracristiano alla Presidenza. Ma nulla gli aveva fatto il sindaco di Londra Sadiq Khan quando Trump lo sfottè in un tweet insolente dopo il massacro di Westminster per avere osato dire che a Londra la situazione era «sotto controllo».
È lui, Donald Trump, a non essere «sotto controllo» e a farsene un vanto, teorizzando che le bordate di messaggini piacciono al suo pubblico di bocca ruvida e amara, che lui parla come loro, non come i detestati politicanti e se si permette libertà da spogliatoio maschile lo fa per loro, perché è quello che il “vero popolo” pensa di donne, di immigrati, di musulmani, di neri e non osa dire.
Insolentisce le donne, insinuando che il loro essere bisbetiche nelle interviste, come la giornalista Megyn Kelly, venga da quei giorni là, dal loro «perdere sangue da tutte le parti» e che una delle sue più puntute critiche, Mika Brezinski, «abbia il quoziente d’intelligenza di un sasso» e o ce l’abbia con Trump perché le rifiutò un invito nella reggia di Mar-a-Lago. «Si era appena fatta un lifting e sanguinava dal viso.La respinsi»: di nuovo sangue,dottore, sangue di femmina. Ma le foto di Mika, regolarmente laureata, scattate quella sera, non mostrano alcuna traccia di sangue sul suo volto.
Il confuso, dissociato rincorrersi di tweet – che un gruppo di psichiatri sta studiando in preparazione di un’analisi che sarà pubblicata in autunno – non rappresenta ancora né un crimine né una violazione altro che della dignità dell’istituzione. Può raggiungere il territorio del ridicolo, con l’ormai leggendario “covfefe”, il nonsenso che il suo dito assonnato compose strisciando sulla tastierina e abbioccandosi prima di riuscire a scrivere “coverage”.
Diffonde bugie e falsità, come ha calcolato l’organizzazione apartitica Politifact notando che il 75 per cento dei suoi tweet contiene “fake facts”, balle. Continuerà perché twittando Trump parla direttamente al proprio popolo, quello ancora disposto ad abbeverarsi alle sue parole in attesa di trovarsi senza assicurazione sanitaria.
Il presidente così evita le temute conferenze stampa – ne ha fatta una sola in sei mesi, un record – e distrae i media e la gente dalla desolante mancanza di risultati concreti, a partire dal tanto sbandierato Muro con il Messico che ancora non c’è.
Twitter è il perfetto strumento di distrazione di massa per un presidente pigro, vanesio, disinformato e bugiardo, almeno fino a quando una crisi nazionale o internazionale lo costringerà a diventare adulto alle tre del mattino.
E allora il mondo, con l’America, dovrà augurarsi che si sbagli il senatore repubblicano del Nebraska Ben Sasse quando ha commentato scuotendo la testa davanti agli ultimi cinguettii di Trump: «Quest’uomo non è normale».
Non sarà la Storia un giorno a giudicare la comunicazione di questo leader: ma la psichiatria La sua ossessione sono i media e quello che dicono di lui: non tollera le critiche.