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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

Sirine, Urpi e Andrei. Quei campioni d’Italia senza cittadinanza

ROMA Lo sport ha fatto squadra prima del paese. Bambini e famiglie di origini non italiane non si sono mai trovati stranieri sui campi: hanno giocato e giocano come gli altri, gareggiano e vincono titoli. Titoli italiani. Anche senza cittadinanza, anche senza il passaporto tricolore, sono iscritti nelle società sportive e tesserati per le federazioni del Coni, il Comitato olimpico nazionale. Cittadini dello sport come sono alunni nelle scuole. Su un totale di 4 milioni e 535 mila atleti tesserati si stima che almeno 47 mila siano stranieri che partecipano nell’attività sportiva agonistica e per il 2017 si calcola che saranno 1160 gli atleti provenienti da paesi non appartenenti all’Unione Europea che potranno essere tesserati da società italiane. Lo sport integra. Almeno fino a un certo punto, il punto della nazionale: per vestire la maglia azzurra e rappresentare l’Italia nelle competizioni internazionali compresi i Giochi, i giovani atleti nati e cresciuti qui da genitori stranieri o arrivati molto presto, subiscono lo stesso trattamento di tutti: devono aspettare. Prima di quel traguardo, usufruiscono di uno ius soli sportivo: una prassi così diffusa a partire dagli anni Novanta con l’aumento dei fenomeni migratori anche in Italia e messa in atto soprattutto da alcune federazioni sportive (atletica, hockey, pugilato) che anche lo Stato si è alla fine adeguato. A gennaio 2016, con il solo voto contrario della Lega, il Senato ha approvato a maggioranza (215 sì, 6 no e 2 astenuti) la legge n. 12/2016 entrata in vigore nel febbraio successivo che recita così: «I minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federazioni nazionali o alle discipline associate o presso associazioni ed enti di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani». Una regola per i minori di dieci anni (soprattutto per mettere un limite alla pratica del traffico illecito di calciatori) ma che continua a essere valida per i maggiorenni che hanno chiesto di diventare italiani.
A introdurre per prima nel 2013 il concetto di “ius soli” quella di hockey che conta tra il 3 e il 5 per cento gli “stranieri” (soprattutto sudamericani seguiti da Moldavia, Polonia, nord Africa) tra i circa 6mila tesserati praticanti. Da quest’anno hanno introdotto quello che il presidente Sergio Mignardi chiama «uno “ius soli per adulti” che disciplina i giocatori esteri che siano tesserati in Italia da più di otto anni: possono partecipare a tutta l’attività agonistica. Andiamo incontro ai diritti della persona». Nel pugilato il 10 per cento dei novemila tesserati totali sono stranieri, nell’atletica sono un bacino così grande che nella Coppa Europa di questa settimana in Francia a rappresentare l’Italia saranno 17 “stranieri” sui 49 atleti nazionali, coi 4 titoli del mezzofondo che saranno contesi da 4 stranieri d’Italia. Fa paese, lo sport.