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 2017  luglio 01 Sabato calendario

«Volevo smettere di correre, scrivere un diario mi ha salvato». Intervista a Danilo Petrucci

SACHSENRING Non lontano da qui, a Chemnitz, c’è il monumento a Karl Marx con il famoso «proletari di tutto il mondo unitevi». Che cosa rimanga di quel manifesto non è chiaro, ma noi possiamo confermare che uno che la lotta di classe la combatte ancora con successo e autoironia esiste: si chiama Danilo Petrucci, ha 26 anni, viene da Terni in sella a una Ducati e ha una doppia origine fieramente operaia, nella vita e in pista. «L’azienda aperta da mio nonno lavora nella manutenzione industriale per le acciaierie della zona. Da tre anni loro vivono momenti difficilissimi e ne risentiamo anche noi. Io so cos’è la crisi».
E anche in moto.
«Già. Vengo dal basso e ho dovuto combattere la mia bella lotta di classe per arrivare fin qui».
Qui significa a 63 millesimi dal battere Rossi e vincere ad Assen.
«Quanto mi sono incazzato! Rins mi ha frenato mentre preparavo l’attacco a Vale. Magari avrei perso comunque, ma avrei voluto poterci provare. Io dico: sei doppiato, togliti no? Comunque mi è passata, il valore del secondo posto, dopo il terzo del Mugello, resta eccome».
Ha detto che è un punto di partenza...
«Certo. Il mio primo obiettivo arrivato in MotoGp era sconfiggere l’ignoranza, e direi che l’ho raggiunto. Ora voglio riuscire a vincere una gara e penso di essere pronto».
Spieghi al profano che significa combattere l’ignoranza.
«Non è la mia come persona, che rimane... Parlo di moto, della necessità di limitare l’istinto e controllare le entrate al limite. Era l’eredità del cross, dove ho corso fino a 15 anni».
Ora vola, ma a Jerez 2014 voleva smettere.
«Se è per quello, anche a Le Mans quest’anno. Mi si era rotta la moto e pure io stavo a pezzi. All’aeroporto di Parigi, in piedi in una coda infinita, mi sono detto: vale la pena fare tutta ’sta fatica? Tanto coi più forti non ci arriverai mai».
Per fortuna si è ripigliato in fretta.
«Mi succede di buttarmi giù. Poi mi do la scossa».
Come?
«Per esempio scrivo. Tutto è cominciato l’anno scorso a Buenos Aires, dopo una brutta gara. Sempre all’aeroporto – mi sa che le svolte mi succedono sempre lì... – vedo un taccuino con la scritta in inglese: “Ama la vita che vivi, vivi la vita che ami”. Mi colpisce, lo compro e in volo verso casa riempio 60 pagine di parole».
Aspirante scrittore?
«Non esageriamo. Comunque da lì ho continuato: è una sorta di diario in cui butto fuori le emozioni, mi metto allo specchio, scrivo cose di me che nessuno sa. E mi sento meglio».
Qual è la vita che ama?
«Lavorare ed essere ripagato. È l’etica imparata da bambino. La MotoGp bisogna meritarsela a ogni curva».
Tempo fa ci raccontava il suo disinteresse per i soldi così: «Al mio team dico: se avete 100 lire in più compratemi un forcellone». Ora va meglio?
«La Pramac quest’anno ha speso di più e infatti ho la stessa Ducati di Dovizioso e Lorenzo. La moto è basilare, altrimenti puoi essere veloce quanto vuoi... Paolo Campinoti poi è un grande capo, bravo e passionale: quando lo fai arrabbiare, fa un po’ paura; ma quando vai bene ti tratta da re. Dunque ho capito cosa mi conviene...».
Il successo si capisce dalle fan fuori dal motorhome e dalle voci di mercato. A lei come va?
«Ci crede che a me nessuna ha mai chiesto un selfie? Per carità, io sono fidanzato, ma è una questione di principio: perché con me mai?».
Però la corteggia seriamente l’Aprilia.
«Lo sento dire, ma io penso solo a correre. Qua sto molto bene».
E che soddisfazione è stare davanti a Lorenzo?
«Bella, sì. Immaginavo che Jorge avesse bisogno di tempo, perché per meccanizzare la guida di una Ducati possono volerci anni. Ma non è così lontano come sembra».
Dovizioso è da Mondiale?
«Lo spero, sarebbe meglio per tutti. Lui è molto intelligente e ora è diventato anche cattivo».
Ha vissuto a lungo vicino a Tavullia. Come vede il suo amico Valentino?
«Ancora da dietro, purtroppo... Che resta da dire di lui? Immortale. Merito della passione e della capacità di lasciare i problemi nel box: fuori resetta e resta leggero».
Citava la fidanzata...
«Giulia, anche lei di Terni, la mia ragazza della porta accanto. Settimana prossima festeggeremo un anno insieme con un giro delle isole greche. Ma prima lunedì passo da Berlino, è tanto che voglio visitarla. Sa, noi giriamo tanto il mondo ma vediamo poco. È l’unico rimpianto che ho».
Danilo figlio di Danilo nipote di Danilo: è la tradizione di famiglia. Lei la seguirà?
«No, se accadrà lo chiamerò Van der Velden».
Prego?
«Una coppia olandese ha chiamato il figlio Danilo in mio onore. Guardi, ho qui la foto del certificato di nascita: Danilo Johann Van der Velden, nato il 27 maggio 2017 alle 12.52, occhi azzurri, 4 chili e 3, un bel torello come me. Scherzando, ho detto loro che ricambierò...».