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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

APPUNTI PROCURATORI CALCIO PER LA VERITA’

CORRIERE DELLA SERA 20/6/2017
Mercanti in fiera. Spostano i campioni, incassano sempre di più, hanno cambiato le regole Chi sono i tre padroni del calcio mondiale

Secondo i dati della Figc le società di serie A nel 2016 hanno speso 193,3 milioni di euro in commissioni per agenti e procuratori. Più del doppio rispetto all’anno precedente, (fermo a 84,4 milioni). Il salto, manco a dirlo, lo ha fatto compiere il trasferimento di Pogba, che ha portato la Juve a spendere 51,8 milioni (dai 6,38 del 2015). La tendenza è confermata in tutto il mondo: secondo il report Fifa Intermediaries in international transfers, tra il 2013 e il 2016, a livello globale sono stati spesi 1,1 miliardi di dollari per le commissioni agli agenti. In realtà è sbagliato chiamarli agenti. Per quel ruolo, spesso, il giocatore si fa bastare un familiare (vedi Wanda Nara che cura gli interessi di Icardi). Chi tiene in mano le redini del pallone, e si prende spesso le invettive delle altre parti (famosa l’uscita soft del presidente De Laurentiis «sono il cancro del calcio»), da tempo è diventato molto di più. Veri e propri intermediari: presentano le offerte, conducono le trattative, si sono presi tutto lo spazio lasciato nel tempo dai presidenti. «Sono intermediari e per intermediare meglio, bisogna prima litigare», ha ben sintetizzato lo storico agente Dario Canovi. Un trasferimento porta sempre più soldi di un rinnovo. Ed è seguendo questo mantra che, per esempio, Mino Raiola ha organizzato la sua industria. Il progenitore di questa nuova specie che ha cambiato il mondo del calcio è stato Pini Zahavi: ex giornalista sportivo israeliano, a fine anni Settanta iniziò a introdursi nel mercato inglese, fino a concludere l’affare della vita: guidare l’acquisto del Chelsea da parte di Roman Abramovich. Le norme hanno aiutato i suoi seguaci di maggior talento: nel 2015 la Fifa ha approvato la deregulation, è stato abolito l’albo (con relativo esame), è stato consentito che l’intermediario prendesse soldi dalle tre parti in campo (chi vende, chi compra e il giocatore) e il limite del 3% alle commissioni è rimasto una raccomandazione. Il nuovo corso avrà sicuramente arricchito molti campioni e fatto realizzare buoni affari a diverse società, ma tra i risultati ci sono anche le rivelazioni dell’inchiesta Football Leaks (milioni di documenti per un totale di 1,9 terabyte): società in paradisi fiscali, triangolazioni, prestanomi, allo scopo di evadere il fisco. Jorge Mendes è il manager più citato nei faldoni, ma non l’unico. Per anni si è chiuso un occhio quando in Sudamerica sono nate le prime Tpo, Third Party Ownership: in sostanza si consentiva a fondi privati non facenti parte dell’ordinamento sportivo di acquisire in tutto o in parte i cartellini dei giocatori, al fine di ricavare profitto da eventuali trasferimenti futuri. Il sistema è stato messo al bando dal 1° maggio 2015. Ma viene aggirato anche oggi. Non solo: gli intermediari, sempre attraverso i fondi, oggi controllano direttamente le società (vedi il Valencia, il cui proprietario è Peter Lim, socio del solito Mendes).


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Guido De Carolis, Corriere della Sera 20/6

KIA JOORABCHIAN Gli amici russi, i colpi in Cina e l’asse con Suning L’agente diventato un’azienda globale

N ella classifica del quotidiano Daily Telegraph, Kia Joorabchian è al 4° posto tra i procuratori più potenti al mondo, dietro Jorge Mendes, Mino Raiola e Jonathan Barnett. È passato poco più di un anno da quando il gruppo Suning ha rilevato circa il 70% dell’Inter e da allora il nome di Kia è stato spesso accostato all’Inter. Il 45enne anglo-iraniano più che un agente è un vero uomo d’affari ed è stato bravo e scaltro a costruire il suo impero. Ha stretti legami non solo con l’Inter e ha capito in anticipo le potenzialità (economiche) del calcio cinese.

Joorabchian sembra il nome del cattivo in un film di spionaggio, di certo l’uomo non ama esporsi. Rare le sue interviste e parecchio difficile è trovare il suo nome in fondo ai bonifici pagati dai club. Secondo il sito Football Leaks , avrebbe guadagnato negli ultimi 4 anni 170 milioni vendendo giocatori. Cifra cui vanno sommati gli introiti che gli arrivano delle sue varie catene di ristoranti sparse da Londra a Hong Kong. Figlio di un ex venditore d’auto di Teheran, Kia si è fatto da solo, piuttosto in fretta. Alimenta la sua stessa leggenda, allargando costantemente la ragnatela grazie a buone relazioni. Ad aiutarlo nella scalata sarebbero stati (ma qui si entra nel romanzo) gli oligarchi russi Boris Berezovsky (oppositore di Putin trovato morto in circostanze misteriose nel 2013 a Londra), cui Kia aveva rivenduto il giornale russo Kommersant , e il patron del Chelsea: Roman Abramovich. È proprio all’agente che il club londinese deve il passaggio di Oscar allo Shanghai per 60 milioni.

Tra società alle Isole Vergini, fondi sportivi e amicizie altisonanti, Kia si è mosso veloce. Di lui il calcio s’è accorto anni fa, quando gestiva Carlos Tevez, ma all’Inter è arrivato con Suning con cui aveva fatto affari in Cina, vendendo al Jiangsu (l’altra squadra del gruppo allenata da Fabio Capello) Alex Teixeira e Ramires: due colpi da 80 milioni. Ora con i cinesi il rapporto si è un po’ allentato, ma l’estate scorsa è stato il grande protagonista del ribaltone e della campagna acquisti dell’Inter. Non correva buon sangue con Roberto Mancini già dai tempi del Manchester City e con la risoluzione del contratto dell’ex tecnico nerazzurro, Kia ha fatto da consigliere di Suning. All’agente vengono ricondotte le operazioni Joao Mario e Gabigol. Kia ha sempre negato di essere coinvolto nell’arrivo del brasiliano, pagato 29 milioni più altri 4 (come rivelò il sito Calciomercato ), finiti nelle tasche di Giuliano Bertolucci, collega proprio di Kia Joorabchian. Anche per Joao Mario, di cui invece Kia si prende la paternità, l’Inter ha scucito 4 milioni di intermediazione, pagati alla Quality Football Fund Ireland, società di Amir Ali Kohansal, altra figura accostata all’agente. Secondo il report della Figc, nell’anno solare 2016 l’Inter ha pagato 23,4 milioni di commissioni agli agenti ed è quella che ha speso di più dopo la Juventus (51,8).


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Carlos Passerini, Corriere della Sera 20/6  –

Da CR7 a Mou fra fondi e misteri L’impero di Jorge che da bambino vendeva cappelli

Dei tre è senz’altro il più mediatico: glam, abbronzatura immutabile, capello cesellato, discretamente presenzialista, moglie stilosissima (per tutti in Portogallo è Sandra la Rossa) oltre a una sfilza di clienti che lo adorano alla follia, a partire da Mourinho («Jorge non è un agente, è un fratello») fino a Cristiano Ronaldo il quale l’estate di due anni fa gli ha regalato un’isola greca come dono di nozze («Jorge non è un agente, è un padre»).

Eppure dei tre mammasantissima del calciomercato globale Mendes è anche il più enigmatico, di sicuro il più ambiguo per via proprio di questo strano miscuglio di platealità comunicativa e misteriosi intrecci d’affari che secondo Forbes nel 2016 gli hanno fruttato qualcosa come 72,7 milioni di dollari. Non si perde una festa del jet-set anche se da anni lui e il suo impero — la Gestifute fondata nel 1996 ha sotto contratto oggi almeno 100 fra calciatori e allenatori, una gioielleria da 700 milioni — sono al centro di innumerevoli inchieste giudiziarie e giornalistiche. Tipo Football Leaks che nel dicembre scorso ha accuratamente ricostruito una rete di società offshore creata per la gestione dei patrimoni degli atleti: un’offensiva violenta alla quale tuttavia il superagente dall’eterno sorriso ha risposto con la consueta disinvoltura replicando di non aver commesso reati fiscali. Intanto però proprio nei giorni scorsi da parte della procura di Madrid è stata formalizzata l’accusa di frode fiscale per Cristiano Ronaldo, oltre 14 milioni evasi fra 2011 e 2014. «Abbiamo la coscienza pulita» sostiene Gestifute, però CR7 ha detto che vuol lasciare l’amato Real. E non è uno scherzo.

Ma non è solo una questione di tasse dovute o meno, il regno di Mendes è altro, è di più. Ne ha fatta di strada questo 51enne da quando da ragazzino a Lisbona aiutava la madre a vendere cappelli di paglia in spiaggia. Ha anche provato a giocare a pallone salvo poi accorgersi presto di non valere granché come mezzala, quindi a metà anni Novanta s’è messo in testa di fare l’agente per un amico portiere portandolo dal Guimaraes al Deportivo La Coruña: fu un affarone. Il suo nome era Nuno Espirito Santo, oggi allenatore di quel Wolverhampton che è una delle squadre dell’orbita Mendes. Come Benfica, Porto, ma anche Monaco, Atletico Madrid e Valencia, club sui quali la sua influenza è enorme, indirettamente o attraverso fondi d’investimento internazionali come il cinese Fosun. C’è chi dice sia lui addirittura a scegliere i direttori sportivi. Cattiverie? Fatto sta che Mendes ha continuato a fare soldi a palate anche dopo il 2015, quando la Fifa ha messo fuorilegge le famigerate Tpo con le quali s’era arricchito fino ad allora. Più che di procure Jorge s’occupa di finanza, questa è la verità.

Ha snobbato l’Italia per anni: pochi soldi, pochi affari. Ora però sta stringendo i rapporti col Milan, André Silva l’ha portato lui. Per 38 milioni.


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FOX SPORT 12/5/2017

I PROCURATORI DI CALCIO PIU’ RICCHI –

In principio fu Italo Allodi, a seguire Luciano Moggi. Procuratori e uomini mercato capaci di spostare da soli gli equilibri del calcio internazionale. A raccogliere l’eredità, oggi, ci sono Jorge Mendes, Mino Raiola, Jonathan Barnett e compagnia. Personalità che oggi ancor più di ieri, in un calcio pieno di intermediari, agenti e procure, sono a tutti gli effetti i veri burattinai del calciomercato mondiale.
Basta un loro avvistamento in qualche stadio per avviare istantaneamente a rumors e indiscrezioni di mercato. Spesso si tratta di classiche boutade estive, altre volte invece si tramutano in vere e proprio operazioni milionarie. Perché se loro sono i procuratori più ricchi del mondo del calcio, un motivo ci sarà pure.
A ogni trasferimento che si concretizza, per loro è sempre riservata una più o meno ricca commissione.  Considerando il tenore di giocatori presenti nelle rispettive scuderie, diciamo che non è così difficile che queste cifre siano così molto elevate e infuochino ogni sessione di calciomercato. E soprattutto allargano sempre di più i loro conti in banca, confermandosi nell’élite ristretta dei procuratori più ricchi del mondo del calcio.

I procuratori più ricchi del mondo del calcio

Tra questi c’è sicuramente Mino Raiola, uno dei più chiacchierati soprattutto in Italia per le molte operazioni portate avanti negli ultimi anni che hanno coinvolto la Serie A. Una di queste è quella che ha condotto Paul Pogba dalla Juventus al Manchester United per la "modica" cifra di 120 milioni di euro: un trasferimento che ha portato nella casse del procuratore una roba come 25 milioni, 48 addirittura secondo la recente indiscrezione diffusa da Football Leaks.

E il buon Mino è già pronto per smuovere altri milioni di euro da una parte all’altra dell’Europa. Raiola è infatti in prima fila per trattare la cessione di un altro suo assistito come Romelu Lukaku, che si propone come potenziale nuovo recordman nella speciale classifica dei trasferimenti più onerosi della storia del calcio, attualmente occupata da Pogba.

Nonostante queste cifre, però, l’agente di Ibrahimovic e Balotelli non è il primo nella classifica dei procuratori più ricchi del mondo del calcio. Anzi, al momento è costretto a inseguire addirittura due suoi colleghi che riescono a percepire più commissioni e a fatturare cifre più alte rispetto. Certo, non che se la passi malissimo (eufemismo), ma considerando la capacità di far muovere i suoi giocatori con una certa facilità, è probabile che già nella prossima sessione di calciomercato riesca ad accorciare sensibilmente il gap. Ecco la classifica dei sei Paperoni del mondo del calcio.

Fernando Felicevich

Al sesto posto in questa graduatoria c’è Fernando Felicevich, ma potete chiamarlo semplicemente "Il Re del Cile". Quasi tutti i giocatori più costosi della Roja fanno parte della sua scuderia, con Alexis Sanchez come fiore all’occhiello. Ma non è l’unico, perché i campioni delle ultime due edizioni della Copa America non si riducono a un solo calciatore. Tra i suoi assistiti troviamo anche gente del calibro di Arturo Vidal del Bayern Monaco, Gary Medel dell’Inter, Claudio Bravo del Manchester City e così via, per un pacchetto complessivo del valore di 181 milioni di euro.

Insomma, se vuoi essere qualcuno in Cile ti conviene rivolgerti a Don Fernando, che con i suoi agganci e le sue conoscenze può dare una vera sterzata alla tua carriera. E anche al suo portafoglio, visto che con 18 milioni di euro di commissione massima incassata si piazza al sesto posto tra i procuratori più ricchi del mondo del calcio.


Thomas Kroth

In quinta posizione troviamo invece Thomas Kroth, grazie alla sua commissione massima di 22,1 milioni di euro. Lui è un punto di riferimento per quel che riguarda il calciomercato tedesco. Manuel Neuer, ad esempio, è uno dei cavalli di razza della sua nutrita scuderia di campioni teutonici, insieme a Kevin Volland del Bayer Leverkusen e il suo compagno di squadra serbo-austriaco, Aleksandar Dragovic. Ma la particolarità di Kroth è quella di saper guardare anche al di fuori dei confini tedeschi, in particolare in Giappone.

Sono tanti i giocatori arrivati in Bundesliga dalla terra del Sol Levante e molti di loro devono ringraziare proprio Thomas per esserci riusciti: tra questi Shinji Kagawa del Borussia Dortmund e Shinji Okazaki, che dopo una carriera trascorsa tra Mainz e Stoccarda, si è trasferito al Leicester in Premier League.


Volker Struth

Per quanto riguarda il quarto gradino restiamo ancora nella stessa zona d’Europa, con la commissione massima incassata di ben 26,5 milioni di euro da Volker Struth. Lui in Germania è una vera istituzione, nelle stanze dei suoi uffici sono passati campioni come Toni Kroos, Marco Reus, Gonzalo Castro, Mario Gotze (anche se poi ha cambiato agente) e così via.

Tanti giocatori di altissimo livello, con il centrocampista del Real Madrid da esporre in vetrina, soprattutto in virtù del recente rinnovo si contratto da 20 milioni a stagione. Non si può certo dire che non sappia trattare...


Mino Raiola

Ed eccoci qua, a Mino Raiola, che si prende "solo" la medaglia di bronzo. Su di lui ci sarebbe da dire davvero tanto, non passa sessione di calciomercato senza che riesca in un modo o nell’altro a essere protagonista. Da Balotelli a Ibrahimovic, da Lukaku e Pogba, da Donnarumma a Mkhitaryan e così via. Al momento la sua commissione ufficiale massima si ferma a 25 milioni di euro, ma la recente indiscrezione di Football Leaks potrebbe fargli guadagnare una posizione in classifica.

Il suo pacchetto di calciatori è stimato per un valore di 329 milioni di euro. E viste le sue "mire espansionistiche" che gli hanno permesso di portare dalla sua parte tanti nuovi campioni all’inizio della loro carriera, è una scuderia che è destinata a salire di valore anno dopo anno.


Jonathan Barnett

In attesa di novità su quanto rivelato da Football Leaks per quel che riguarda il trasferimento di Paul Pogba dalla Juventus al Manchester United, il secondo gradino del podio spetta a lui, Jonathan Barnett. Si tratta di colui che fino alla scorsa estate deteneva i fili dell’operazione di calciomercato più costosa di sempre, quella che permise a Gareth Bale di guadagnarsi il soprannome di "mister 100 milioni". Per quel trasferimento il signor Barnett intascò qualcosa come 34,8 milioni di euro.

E la sua scuderia non è certo limitata a Gareth Bale, visto che la sua agenzia, la Stellar Group, gestisce un patrimonio di calciatori del valore di 347 milioni complessivi: ci sono anche Grzegorz Krychowiak del Paris Saint-Germain, Adrien Silva dello Sporting, Adam Lallana del Liverpool e molti altri ancora. E pensare che il suo impero è nato da una collaborazione con un giocatore di cricket. Ovviamente si trattava di una leggenda come Brian Lara.


Jorge Mendes

Siamo arrivati al vertice di questa classifica e al primo posto non poteva che esserci lui, Jorge Mendes. La sua commissione massima è arrivata addirittura a 67 milioni di euro, perché il portoghese non è altro che il più grande manovratore del calciomercato internazionale. Con lui c’è ovviamente Cristiano Ronaldo (che per il suo matrimonio gli ha regalato un’isola greca), José Mourinho, Angel Di Maria, James Rodriguez, Falcao, Bernardo Silva, Renato Sanches, Diego Costa, Andre Gomes e chi più ne ha più ne metta.

Qualsiasi giocatore finisca nel suo parco clienti (al momento sono 91) è destinato a veder crescere la sua quotazione e la sua carriera. La Gestifute International, la sua agenzia, vanta una somma complessiva di contratti dal valore di di 645 milioni di euro. Con questi numeri, non poteva che essere lui in vetta alla graduatoria dei procuratori più ricchi del mondo del calcio.

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Mercato? No, giungla. Nessun limite alle commissioni. E agenti fai da te
MARCO IARIA, LA GAZZETTA DELLO SPORT 19/6/2017
Mega-commissioni, TPO mascherate, triangolazioni sospette, ricatti, soprusi e, per un Pogba che diventa campione, migliaia di ragazzi illusi e fatti carne da macello. Il mercato è diventato una giungla, sulla scia della globalizzazione del calcio e della sua trasformazione in industria miliardaria. L’unica regola contemplata, in tempi di liberalizzazione, è quella dei soldi. L’impressione è che ci si sia spinti così in avanti da non poter più tornare indietro. E in effetti, a sentire i dirigenti dei club prevale la rassegnazione per un modus operandi che è ormai accettato da tutti. La svolta, in negativo, è stata la deregulation varata dalla Fifa ed entrata in vigore il 1° aprile 2015. Basta albi per gli agenti, chiunque può improvvisarsi e prestare servizio per un atleta o una società iscrivendosi all’elenco tenuto dalle federazioni nazionali, che si sono dovute adeguare.
MANI LEGATE La Figc, che aveva una normativa piuttosto ferrea, ha ripensato totalmente il regolamento, per esempio abolendo il divieto per un agente di rappresentare contemporaneamente il calciatore e il club, con buona pace dei conflitti d’interesse. L’unica cosa che può fare la Federcalcio è pubblicare tutti i dati nel nome della trasparenza. Si scopre allora che tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2015 i compensi per i procuratori sono ammontati a 84,4 milioni in Serie A (Inter in testa con 15,5, poi Fiorentina 10,2 e Milan 7,4), 6,8 milioni in B e 1,5 milioni in Lega Pro. Ma la cifra più impressionante è quella contenuta nel report Fifa Intermediaries in international transfers: a livello globale, tra il 2013 e il 2016, sono stati spesi 1,1 miliardi di dollari per le commissioni agli agenti nei trasferimenti internazionali monitorati con il TMS (Transfer Matching System). In quell’arco di tempo i club italiani hanno sborsato 256 milioni di dollari, meno solo dei club inglesi (361). Vagonate di denaro portate letteralmente fuori dal sistema calcio, senza alcuna prospettiva di reinvestimento.
PARLA MAROTTA Beppe Marotta, amministratore delegato della Juventus, lancia l’allarme sulla Gazzetta: «Quando una società si trova a confrontarsi con altre concorrenti, soprattutto con le big europee, giocoforza è costretta ad accettare richieste fuori da ogni logica. Bisogna calmierare il ruolo di questi professionisti, che sono seri ma anche molto esosi». Il riferimento è ai cosiddetti oneri accessori alla campagna trasferimenti, che ormai sono una voce importante dei bilanci dei club. Basti pensare a Paul Pogba: sin dal 2012 la Juventus ha dovuto appostare oltre 11 milioni a favore di Mino Raiola, come oneri accessori legati sia all’acquisizione del francese (a parametro zero) sia ai successivi rinnovi contrattuali. Ma il botto l’agente l’ha fatto l’estate scorsa con la cessione al Manchester United incassando per l’intermediazione 27 milioni dalla Juventus e, secondo Football Leaks, 22 dalla società inglese (compresi i 3 che doveva pagare Pogba). Pare che la Fifa abbia aperto un’inchiesta ma il problema è che il regolamento della stessa Fifa non pone limiti di fatto alle commissioni. Il tetto del 3% dello stipendio lordo del giocatore o del prezzo del trasferimento, contemplato nell’articolo 7, è una semplice «raccomandazione», spesse volte disattesa. Tanto più che adesso i grossi guadagni dei procuratori sono realizzati sulle intermediazioni per le compravendite, piuttosto che sui servizi resi agli atleti in fase di sottoscrizione (o rinnovo) di un contratto.
PRESSIONI POLITICHE La Fifa del nuovo corso guidato da Gianni Infantino, tutta presa dal processo di auto-riforma dopo gli scandali blatteriani, non si è ancora focalizzata sullo strapotere degli agenti e sulle storture del calciomercato. Ma nei prossimi mesi qualcosa dovrebbe muoversi, anche sulla spinta delle grandi nazioni che hanno già sollevato la questione nell’ambito del gruppo delle sei (Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Olanda). Alcuni Paesi europei, per esempio, stanno studiando dei provvedimenti fiscali per tassare al 100% il costo delle commissioni, come una sorta di deterrente per le spese folli. Tutti, comunque, invocano il ritorno a una stagione di regole e certezze.
SOLUZIONI «L’eccessiva apertura della Fifa – spiega l’avvocato Carlo Rombolà, autore del libro Profili di Diritto internazionale dello sport (Rubbettino) – ha permesso da un lato la proliferazione di figure senza esperienza e competenze con l’unica condizione, molto vaga, della reputazione impeccabile, dall’altro la concentrazione in un gruppo ristrettissimo di agenti della stragrande maggioranza delle movimentazioni globali. Su quest’ultimo punto non si può agire perché qualsiasi intervento verrebbe visto come una limitazione all’esercizio della professione». Sul resto si può fare tanto. «La Fifa ha il dovere di reintrodurre una barriera d’ingresso per gli agenti, porre un limite vero ai compensi e precisare meglio la materia delle TPO (le proprietà delle terze parti, ndr) che sono state bandite nel 2015 ma ancora esistono». Magari sotto forma di guadagni su una futura rivendita o in quei territori (si pensi al Sud America) che restano zona franca. E la preoccupazione non è per chi ce la fa come gli antesignani Tevez e Mascherano ma per tutti quei ragazzi, quasi sempre minorenni, che finiscono stritolati nel meccanismo perverso delle speculazioni.

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DA RAIOLA A ZAHAVI, ECCO GLI ALTRI SIGNORI DEL PALLONE
Alex Frosio, La Gazzetta dello Sport 6/12/2016
Super-agenti, intermediari, consulenti: si possono chiamare in molti modi perché molti sono diventati i loro compiti. Non più soltanto quelli di rappresentare gli interessi dei calciatori della loro scuderia. In ogni trattativa di altissimo livello, il loro nome in qualche modo spunta sempre. Sono i Signori del pallone, un gruppo di «oligarchi» che manovrano i fili di tutte le trattative milionarie del calciomercato. A volte si fanno la guerra, più spesso intrecciano i propri interessi.

PINI REXIl tirannosaurus rex, vertice della catena alimentare pallonara, è Jorge Mendes, ma non è il solo squalo della vasca. In principio fu Pini Zahavi, ex giornalista sportivo israeliano, che a fine Anni Settanta si introdusse nel mondo inglese, costruì il proprio impero e condusse l’operazione-chiave nel 2003: fu lui a «pilotare» l’acquisto del Chelsea da parte di Roman Abramovich, conosciuto qualche anno prima, spostando l’interesse del magnate russo dal Manchester United – visitarono insieme il centro di Carrington – al club londinese. Da allora, Zahavi ha allungato le proprie mani un po’ ovunque: se Neymar dovesse sbarcare in Premier, da qualche parte leggerete il suo nome. Da quelle parti è una potenza – anche se meno noto da noi – lo Stellar Group di Jonathan Barnett: Bale al Real Madrid è roba sua, tanto per dire.

RAIOLA E BRANCHINI Conosciutissimo è invece Mino Raiola, forse il profilo più simile a Jorge Mendes. L’agente italo-olandese è un maestro nel muovere i suoi assistiti, guadagnandoci sopra pesantemente: Pogba, Ibrahimovic, Mkhitaryan, Balotelli, Matuidi sono i suoi «titoli» più remunerativi, Donnarumma e Kean i «futures» più solidi. Raiola non è tipo da lavorare nell’ombra, anzi: quando conduce le sue trattative, la sua faccia spunta ovunque. Non sono le squadre a scegliere i suoi giocatori, è lui a scegliere le squadre per i suoi. Un altro italiano top - e ben prima che sulla scena apparisse Raiola - è Giovanni Branchini, storico procuratore ma anche intermediario ante litteram: portò Ronaldo il Fenomeno in Italia, in anni recenti ha curato il passaggio di Guardiola e Ancelotti al Bayern Monaco e di Kroos al Real Madrid, visto che ha un rapporto privilegiato con il club bavarese. Funziona spesso così, con i super-agenti: contano (anche) le competenze territoriali.

KIA E I CINESI A proposito, è molto estesa la rete di Kia Joorabchian. Kia è cresciuto sotto l’ala di Pini Zahavi (come Nelio Lucas, CEO di Doyen Sports, altro soggetto di primissimo piano) e, per intenderci, è lo stesso che fu fotografato con Tevez e Galliani intorno a Capodanno 2012. Prima che Carlitos, portato in Europa da Joorabchian in coppia con Mascherano in un’operazione ai tempi molto discussa, finisse alla Juve. Kia ha molti ruoli, con l’arrivo di Suning ne ha assunto uno da protagonista nell’Inter: ha condotto il trasferimento di Joao Mario, da lui rappresentato e che lui stesso (insieme proprio a Zahavi) ha trattato con lo Sporting Lisbona. I ruoli spesso si confondono, anche per «competenze territoriali». Agenti, intermediari, consulenti. O forse, più semplicemente, broker finanziari in un calcio sempre più industria.

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JORGE MENDES, IL PADRONE DEL PALLONE
Filippo Maria Ricci, La Gazzetta dello Sport 6/12/2016
Da quando nel 2010 ai Globe Soccer Awards è stato creato il premio per il miglior agente del mondo, l’ha vinto sempre Jorge Mendes. Il primo procuratore per il quale è stato coniato il termine «super agent». Uno che secondo la rivista Forbes ha chiuso il 2015 con guadagni per 85 milioni di dollari. Con Mendes i rapporti nel calcio hanno iniziato a rovesciarsi, il potere a passare dalle mani dei presidenti a quelle d’intermediari in grado di fare da talent scout, occuparsi della gestione dell’immagine e delle finanze dei giocatori, influire sulle strategie sportive ed economiche dei club.

FOOTBALL LEAKS Oggi l’impero Mendes è nel mirino dell’inchiesta nata dal passaggio di documenti riservati operata dal sito «Football Leaks» a un consorzio di 12 testate europee guidate dal tedesco Der Spiegel nei quali si descrive minuziosamente la rete di società offshore creata per la gestione del patrimonio dei giocatori. Da Gestifute, la società di Mendes, s’insiste sul fatto che non siano stati commessi reati di sorta e si mostra grande tranquillità. Di Football Leaks parliamo più dettagliatamente a parte, qui ci concentriamo sull’attività di Mendes.

UMILI ORIGINI Il portoghese non si è mai spaventato di fronte al lavoro. Già da bambino aiutava la madre a vendere cappelli sulla spiaggia, e non ha mai smesso: il negozio di video e la discoteca mentre provava ancora anche a giocare a calcio, poi la svolta ai 30 anni con la famosa visita di Nuno Espirito Santo, portiere che sognava di andare al Porto. Era il 1996: Jorge lo portò al Deportivo La Coruña che era più vicino a Caminha dove aveva la disco e da lì non si è più guardato indietro. La lotta vinta contro il gigante José Veiga, al tempo numero uno indiscusso del mercato portoghese, la coltivazione di Cristiano Ronaldo, il colpo Mourinho e il resto è storia.

DAL CHELSEA ALLO UNITED Nel corso degli anni le aree d’influenza di Mendes si sono ampliate e sono mutate. In Inghilterra oggi l’epicentro è il Manchester United: Jorge ha sempre avuto un grande rapporto con Sir Alex Ferguson e lo sbarco a Old Trafford di Mou ha rinsaldato la collaborazione. Ovviamente con la cacciata di Josè da parte di Abramovich un anno fa si è raffreddato il feeling col Chelsea, primo grande amore inglese del «super agent». Love story iniziata nel 2004, anno della svolta: Mou vince la Champions col Porto, Mendes riesce ad agganciarlo e lo porta a Stamford Bridge con Carvalho, Ferreira, Tiago e Maniche. Un poker d’oro. Al Chelsea c’è Peter Kenyon, dirigente conosciuto l’anno prima per il trasferimento di Ronaldo allo United. L’amicizia crescerà e i due entreranno in società per occuparsi soprattutto di fondi d’investimento e TPO, la famigerata «Third Party Ownership», la proprietà dei cartellini dei giocatori messa fuorilegge dalla Fifa e ritenuta da Mendes parte fondamentale nel processo di crescita di club di profilo economico medio. Sempre in Inghilterra c’è il Wolverhampton, acquistato dal colosso cinese Fosun che ha anche comprato una significativa quota di Gestifute proprio per cercare di estendere il proprio raggio d’azione sul calcio europeo.

DI CASA A MADRID In Spagna Mendes ha grandissimi rapporti con i club di Madrid: Florentino Perez e Miguel Angel Gil sono amici di vecchia data. Poi c’è il Valencia, da un paio di anni nelle mani di Peter Lim: magnate di Singapore, amico personale di Jorge e acquirente nel 2015 dei diritti d’immagine di Ronaldo per il mercato asiatico. L’influenza di Mendes a Valencia è calata quando l’allenatore da lui scelto, il suo primo cliente Nuno, è stato cacciato ma ora, soprattutto in vista delle impellenti esigenze di mercato della squadra di Prandelli, è di nuovo in ascesa.

ITALIA MENO ALLETTANTE Nel resto d’Europa va citata la grande relazione col Monaco, dove Mendes ha ancora Falcao, Moutinho e Fabinho, col Psg per la relazione diretta col numero uno Nasser e ovviamente il Portogallo: il Benfica e il Porto restano nell’area d’influenza del super agente mentre ne è recentemente uscito lo Sporting, e infatti Mendes ha perso le procure di Joao Mario, Adrien Silva e William Carvalho. In Italia c’era stato l’interesse per l’acquisto del Milan nella cordata di Peter Lim e i rapporti sono buoni tanto con Agnelli come con Ausilio e Galliani però il giro d’affari della Serie A, meno florido che altrove, al momento rende il nostro mercato meno allettante per il portoghese.

TANTO SOLE Al panorama non possono mancare gli Stati Uniti: qui Mendes ha rapporti con il colosso della rappresentazione nel mondo dello spettacolo, la CAA che oltre ad occuparsi di 3400 clienti tra i quali George Clooney e Tom Cruise gestisce l’immagine di Ronaldo e Mou negli Usa. Dalla Cina all’America, sull’impero di Mendes non tramonta mai il sole.

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Nel nuovo Milan Raiola scende  e Mendes sale
CARLO LAUDISA, LA GAZZETTA DELLO SPORT 20/6 

Fuori Raiola, dentro Mendes. Il passaparola nel popolo rossonero non fa sconti. Le polemiche su Donnarumma, il ruolo di Adriano Galliani e gli affari della vecchia gestione berlusconiana sono nel mirino dell’opinione pubblica. Lo stillicidio del closing ha sconvolto un mondo che per anni si è esaltato per i fasti tecnici dell’era berlusconiana, senza curarsi mai troppo delle trame di mercato. Finché l’avvento di Barbara Berlusconi ha messo alla berlina le strategie dello storico a.d. milanista. Ai tempi del duopolio (non è un mistero) Paul Pogba (gestito da Raiola) prese la strada della Juve proprio perché in casa rossonera non erano gradite certe commissioni. Negli anni il manager brianzolo ha tessuto tanti rapporti con agenti ed intermediari. Come si conveniva per un club di primo livello, sempre attento per chi portava a casa la «merce» migliore.

RAGNATELA Nella considerazione generale adesso non appare casuale che il Milan di Fassone e Mirabelli allontani il manager italo-olandese e apra le porte al potente agente portoghese Jorge Mendes. Secondo questa credenza popolare è in atto una successione vera e propria. Come se il procuratore del neo-acquisito André Silva diventasse l’alfiere del nuovo corso rossonero. È troppo presto per arrivare a una conclusione così drastica. Certamente l’ingresso in scena del mentore di CR7 e Mou offre una sponda importante alla nuova dirigenza milanista.

PIANO LI È altrettanto certo, però, che il progetto di Mister Li sia destinato a portare presto nuove partnership di rilievo. Una società ambiziosa non può prescindere da una fitta ragnatela di relazioni al top. Com’era in passato, quando Galliani aveva l’imbarazzo della scelta per dare incarichi ad advisor di lusso. Negli ultimi tempi il Milan era forse meno fashion (per ovvii motivi). Insomma, la teoria della guerra di bande al quarto piano di via Aldo Rossi convince solo in parte. Prova ne sia che (anche in queste tumultuose ore del caso-Donnarumma) Fassone non ha chiuso le porte a Raiola. Gigio o no, gli affari sono affari.


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Pippo Russo, Limes: Il potere del calcio 5/2016

L’ECONOMIA PARALLELA DEL CALCIO MONDIALE– (note alla fine) 1. Tutta una questione di principio. Così va raccontando in giro il presidente e proprietario della Lazio, Claudio Lotito, a proposito dell’impasse nelle trattative per l’acquisto di Felipe Anderson dal Santos. È l’estate del 2013, il calcio italiano si appresta a entrare ufficialmente nell’orbita dell’economia parallela del calcio globale, ma gli operatori dell’informazione sono convinti che si stiano soltanto consumando delle ordinarie schermaglie di mercato. La Lazio vuole prendere il talento, un investimento pressoché sicuro per giudizio unanime. Ma per venire a capo della trattativa c’è da soddisfare richieste provenienti non soltanto dal club brasiliano, ma anche da una terza parte: il fondo Doyen Sports Investments, braccio sportivo con sede legale a Malta del colosso Doyen Group. Che a sua volta è una holding policentrica: quartier generale a Istanbul, braccio finanziario a Londra, branca sportiva nell’isola che dopo l’ingresso nell’Ue s’è voluta accreditare come una Svizzera del Mediterraneo, più qualche propaggine in quel luogo evocativo chiamato Panamá [1]. È uno strano animale, Doyen. Il suo portafoglio investimenti è quanto mai variegato: immobiliare, energia, alberghi, idrocarburi, materie prime, sport & entertainment. Quest’ultima voce viene declinata in diversi modi: marketing, gestione d’immagine e delle camere, ma soprattutto controllo sui giocatori di calcio. Il che pone Doyen in una curiosa condizione: quella di investire indifferentemente in uranio e in calciatori. Dal loro punto di vista, è tutta materia prima. In particolare, il controllo dei calciatori avviene attraverso l’acquisizione dei cosiddetti diritti economici, ovvero il diritto di lucrare sulla futura cessione dell’atleta: quando questi verrà trasferito a un altro club, chi ne detiene una quota dei diritti economici incasserà la corrispondente percentuale sulla cifra di vendita. Al tempo in cui Felipe Anderson è un calciatore del Santos, il 50% dei suoi diritti è in possesso di Doyen Sports Investments e a negoziarli è l’uomo di fiducia del fondo in Brasile, Renato Duprat. Quello dei diritti economici in capo a soggetti finanziari esterni è uno schema che la Fifa ha già tentato di sanzionare in seguito al caso Tevez-Mascherano-West Ham, aggiungendo l’articolo 18 bis al regolamento sullo status e i trasferimenti del calciatore. Rimedio inefficace, visto che le cessioni di diritti economici sui calciatori a soggetti esterni al calcio (ciò che in termini tecnici viene chiamato Tpo, Third Party Ownership) continuano a proliferare. A causa di questa particolare situazione in cui Felipe Anderson si trova, l’affare rischia di saltare. Il tutto è poi accompagnato dagli strali del presidente laziale verso i fondi d’investimento, che a suo dire colonizzano il calcio e schiavizzano i calciatori [2]. Sembra di rivedere il Lotito versione Max Giusti, quello che predica l’avvento di un calcio «didascalico e moralizzato». Non tanto perché i toni polemici siano macchiettistici, quanto perché tre anni prima il presidente laziale (quello vero) non si era fatto scrupoli nel portare a casa un calciatore posto sotto il controllo di soggetti finanziari esterni. Anche in questo caso si trattava di un brasiliano: Hernanes [3]. I diritti economici del cosiddetto Profeta, proveniente dal San Paolo, erano infatti di proprietà per l’8% di Kirin Soccer – agenzia controllata dall’agente indonesiano con passaporto cinese Joseph Lee – e per il 17% di Traffic Sports. Quest’ultimo è un altro conglomerato meritevole d’attenzione. Fondato dall’ex giornalista sportivo brasiliano José Hawilla, Traffic Spon si specializza presto in comunicazione e marketing, e compie il salto di qualità acquisendo i diritti televisivi sulla Coppa America. È proprio per impulso di Traffic che dal 1989 la competizione sudamericana per Nazionali assume una formula simile a quella degli Europei, più televisiva. A partire dalla seconda metà degli anni Duemila la società di Hawilla si espande a livello globale, lanciandosi nel business dei diritti economici dei calciatori. Va addirittura oltre, tracciando una strada che altri soggetti della finanza calcistica parallela seguiranno: fonda e/o acquisisce club calcistici, ponendo così sotto il proprio controllo l’intero ciclo della produzione di valore finanziario attraverso il calcio. Traffic Sport fonda il Desportivo Brasil, club sito nella cittadina di Porto Feliz (Stato di San Paolo), la cui missione è formare e far transitare calciatori. Poi acquista il club portoghese dell’Estoril-Praia e si annette due franchigie della Nasi (North American Soccer League) statunitense: i Fort Lauderdale Strikers e i Carolina RailHawks. Attualmente il solo club rimasto sotto il controllo di Traffic è l’Estoril. Tutti gli altri sono stati dismessi. I locali dell’accademia del Desportivo Brasil sono stati venduti ai cinesi dello Shandong Luneng, in un affare intermediato dal citato Joseph Lee [4]; i Carolina RailHawks sono stati venduti a Stephen N. Malik, imprenditore locale delle tecnologie mediche [5]; i Fort Lauderdale Strikers sono passati a un gruppo brasiliano che ha presentato come uomo immagine Ronaldo Luís Nazário De Lima (l’ex fenomeno che ha vestito le maglie di Inter e Milan) e i cui componenti sono i tre imprenditori brasiliani Ricardo Geromel, Rafael Bertani e Paulo Cesso (non è un refuso) [6]. Per la cronaca, José Hawilla è uno dei principali soggetti implicati nello scandalo Fifa esploso a fine maggio 2015, col blitz condotto su mandato dell’Fbi presso l’hotel Baur au Lac di Zurigo. Non figura tra gli arrestati perché ha pagato una modica multa di 151 milioni di dollari e assunto un atteggiamento collaborativo [7]. Pare che le sue rivelazioni siano state preziose per istruire l’inchiesta. Dunque Claudio Lotito, nei giorni in cui strepita contro Doyen e «gli schiavisti» del calcio, ha già al suo attivo trattative con soggetti (e che soggetti!) usi a commerciare in diritti economici di calciatori. E allora perché la fa tanto lunga nel caso di Felipe Anderson? Trattasi di puro mercanteggiamento. Infatti, soltanto qualche giorno dopo la sparata contro i fondi d’investimento Lotito acquisisce Felipe Anderson e Doyen incassa la sua parte. Due settimane dopo, presso un hotel di Taormina di proprietà dell’allora presidente e proprietario del Catania Calcio Antonino Pulvirenti, si danno convegno alcuni esponenti del mondo del calcio. A fare gli onori di casa assieme allo stesso Pulvirenti c’è l’allora vicepresidente del club rossazzurro, Pablo Cosentino, un agente di calciatori argentino che è anche agente di diversi calciatori argentini del Catania. Anzi, era. Perché per assumere la carica dirigenziale nel Catania ha rimesso la licenza da agente Fifa e ceduto le quote della sua agenzia Cosentino Sport. A chi? A Fernando Cosentino, suo fratello. Gli ospiti del duo Pulvirenti-Cosentino sono il vicepresidente e amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani, il presidente e proprietario del Genoa, Enrico Preziosi, il già menzionato Lotito e un signore portoghese che si chiama Nelio Lucas, amministratore delegato di Doyen Sports Investments [8]. Guerra finita, e adesso tutti a tavola. Viva il calcio didascalico e moralizzato. 2. Lo «scontro» fra Lotito e Doyen dà un’idea di quale sia l’oggetto, quando si parla di fondi d’investimento nel calcio e del loro impatto in Italia. L’oggetto è un nuovo modello di business riguardo a quella che continua a essere la voce più redditizia dell’economia calcistica: la compravendita di calciatori. A cavallo del nuovo millennio questo segmento di mercato ha subito una mutazione genetica guidata da attori della finanza esterna, specie sudamericana. Per valutare l’impatto della finanza calcistica parallela sul nostro calcio occorre una premessa: in Italia il rapporto fra i club e i fondi d’investimento è un tema tabù. Nessuno si sognerebbe di sostenere che i club italiani non partecipino al business. Sarebbe come immaginare che qualcuno faccia ancora impresa senza aver aperto una casella email, o rifiutando l’uso della telefonia mobile. Roba da soldati giapponesi nella foresta a guerra finita. Però fra il non negare e l’ammettere esplicitamente c’è uno scarto rilevante, nel quale si colloca l’italica ipocrisia che rende complicato valutare la portata del fenomeno qui da noi. Uno studio pubblicato a settembre 2014 da Kpmg [9], stilato in base a interviste condotte con operatori di calciomercato e dati del Centre International d’Études du Sport (Cies) di Neuchâtel, ha azzardato una stima sull’impatto del fenomeno Tpo in Europa. Viene fuori che nei campionati nazionali del continente i calciatori posti sotto il controllo di terze parti sarebbero circa 1.110, di cui 47 in Italia. Posto che queste cifre sono oggi vecchie di quasi due anni e che tutto lascia pensare a un incremento del fenomeno, rimane la stima dei quarantasette possibili tesserati della Serie A italiana finiti sotto il controllo di soggetti finanziari esterni al calcio, o comunque negoziati con beneficio per questi. Chi sono, o sono stati, i calciatori in questione? Di Hernanes e Felipe Anderson si è detto. Altro nome di rilievo è Paulo Dybala, i cui diritti economici sono stati oggetto di una controversia presso il Tribunale arbitrale dello sport (Tas) di Losanna fra il Palermo e Pencil Hill, un fondo con sede legale a Londra controllato dall’agente argentino Gustavo Mascardi. Costui è un ex broker di Borsa che un giorno ha scoperto quanto più redditizio sia il calcio per far fruttare il denaro suo e degli investitori. La disputa fra Mascardi e il Palermo riguarda denari non versati dal club rosanero al fondo, che si è visto dare ragione dal Tas. A sorpresa, un altro giudizio favorevole a Pencil Hill è giunto a febbraio 2016 dall’Alta Corte di Manchester [10]. Attorno a questi casi certi ve ne sono altri chiacchierati. Per esempio, quelli dei due belgi posti sotto il controllo del fondo qatariota proprietario del club Al-Arabi, giunti in Serie A durante la stagione 2014-15. Maxime Lestienne, sbarcato al Genoa, e Paul-Jose M’Poku (che ha doppio passaporto essendo nato nella Repubblica Democratica del Congo), tesserato dal Cagliari. Non hanno lasciato traccia. M’Poku, dopo aver giocato da febbraio a maggio col club sardo e aver collezionato una retrocessione, è passato al Chievo dove ha fatto panchina fissa. Lestienne, conclusa la non memorabile stagione con la maglia del Grifone, è stato prestato dall’Al-Arabi agli olandesi del PSV Eindhoven. Lì si è fatto notare soprattutto per l’arresto subito, con il compagno Jeroen Zoet, a seguito di una colluttazione dopo la gara del 19 dicembre 2015 contro il Pec Zwolle. Di un fondo del Qatar si è parlato anche a proposito di Alessio Cerci, che infatti dopo essere stato al Torino ha preso a girare da un club all’altro: Atletico Madrid, Milan, Genoa. Sui casi menzionati vige un tacito patto del silenzio, mentre Federcalcio e Lega Serie A evitano accuratamente d’invischiarsi nella vicenda. Chi invece ha rotto l’omertà è il paraguayano Marcelo Estigarribia. Durante un’intervista rilasciata nel settembre 2014 a Sportweek (Gazzetta dello Sport) [11], Estigarribia ha dichiarato di trovarsi assoggettato a un fondo d’investimento senza possibilità d’uscita. Si tratta di una società, la General Soccer Management, che opera attraverso il Deportivo Maldonado, club della serie B uruguayana di cui si sono occupati Bloomberg [12] e Usa Today [13] evidenziandone la curiosa realtà: nonostante una media di trecento spettatori a partita, negli ultimi anni ha acquisito e rivenduto calciatori di livello internazionale incassando decine di milioni di euro. Si tratta di un bridge club, come decine di altri sparsi per l’Uruguay e il Cile. Altro calciatore di provenienza Deportivo Maldonado a essere finito in serie A è il difensore Ivan Piris, anche lui paraguayano, protagonista di una stagione con la maglia della Roma e adesso in forza all’Udinese. Poco è mancato che arrivasse in Italia il quotato attaccante argentino Jonathan Calleri, giunto al Maldonado dal Boca Juniors al termine di un’operazione orchestrata da Stellar Group. Cioè l’agenzia guidata dall’inglese Jonathan Barnett che ha fra i suoi clienti Gareth Bale, il calciatore gallese che ha fatto registrare il record mondiale in termini di cifre per il trasferimento: 91 milioni secondo quanto annunciato dal Real Madrid nell’estate 2013, oltre 100 milioni come ha svelato a gennaio 2016 il sito Football Leaks [14]. Quando Estigarribia affida le sue rivelazioni a Sportweek è un tesserato dell’Atalanta, il suo quarto club da quando si trova in Italia dopo Juventus, Sampdoria e Chievo. Motivo di questo girovagare? Il fondo d’investimento, attraverso il Deportivo Maldonado, lo manda in prestito annuale per 500 mila euro e si dichiara disposto a cederlo in via definitiva per non meno di 5 milioni. Una cifra che nessuno dei club da cui il paraguayano passa è disposto a sborsare e di ciò Estigarribia si lamenta. Le sue parole passano pressoché sotto silenzio, senza che Figc e Lega Serie A battano ciglio. Pochi giorni dopo quell’intervista, Estigarribia subisce un grave infortunio che lo mette fuori causa a lungo. La sua avventura calcistica a Bergamo si conclude nel febbraio 2016, con la risoluzione del prestito e il ritorno al Deportivo Maldonado. La condizione di assoggettamento al fondo d’investimento rimane intatta. Il caso dell’ex atalantino è fra i più eclatanti fra quelli di Tpo presenti nel calcio italiano; altri sono meno clamorosi. L’importante è far finta che vada tutto bene. 3. Come si diceva, gli esperimenti di finanziarizzazione dei diritti economici sui calciatori prendono il via in Sudamerica. Il motivo è chiaro: da quelle parti l’indebitamento dei club è una realtà endemica e all’inizio del nuovo secolo si giunge al punto in cui non rimane che impegnare l’ultimo asset disponibile, i calciatori. Questi, come l’argenteria di famiglia al banco dei pegni, vengono alienati per coprire debiti. I creditori possono essere istituti bancari o finanzieri privati; spesso sono gli stessi agenti di calciatori che prestano denaro ai club e così facendo finiscono per controllarli. In particolare, i creditori richiedono calciatori giovani e promettenti, il che crea per l’economia del club calcistico un circolo vizioso: bruciare la ricchezza futura per coprire il debito presente. È in questo contesto che il fondo d’investimento diviene il veicolo finanziario per soccorrere i club in crisi. Fonti di stampa scrivono di un primo passo effettuato in Argentina nell’anno 2000, sotto l’egida dell’ex satrapo della Federcalcio nazionale Julio Grondona [15], padrone assoluto del calcio locale dal 1979 e vicepresidente della Fifa dal 1998. Dal luglio 2014 ha smesso di detenere le due cariche, ma soltanto perché defunto. Il che conferma che quando si arriva a occupare postazioni chiave del sistema feudale Fifa, se ne viene fuori soltanto in due modi: o fra due gendarmi, o a piedi in avanti. Sotto l’egida di Grondona il linguaggio dei fondi d’investimento comincia a essere parlato nel mondo del calcio argentino e presto si diffonde su scala globale. Dal Sudamerica il modello dei fondi viene esportato nel calcio europeo, dapprima in Portogallo dove soggetti dell’alta finanza e del credito gli conferiscono una raffinatezza tecnica superiore. Affinché l’opinione pubblica europea scopra questa mutazione del calciomercato è però necessario che esploda un caso mediaticamente clamoroso: quello riguardante il trasferimento di Carlos Tevez e Javier Mascherano in Inghilterra, al West Ham. Provenienti dal Corinthians, i due nazionali argentini giungono in Premier League con una formula originale: non ceduti o in prestito dal club brasiliano, ma «affittati» da un fondo d’investimento con sede legale presso le Isole Vergini Britanniche [16]. Il fondo è denominato Media Sports Investments (Msi) e il suo rappresentante legale è un broker nato in Iran di nome Kia Joorabchian. Costui è in possesso di doppio passaporto, britannico e canadese, e per un certo periodo circolano di lui su Wikipedia due diverse date di nascita: 14 luglio 1971 e 25 luglio 1971. Dall’altra parte dell’Atlantico, in Brasile, Joorabchian e la Msi sono già noti. Nel 2004 il fondo ha infatti stipulato un accordo col Corinthians, il club da cui Tevez e Mascherano provengono quando giungono al West Ham. La partnership finisce presto sotto inchiesta in Brasile per sospetto di riciclaggio: ne seguirà un processo presso il tribunale di San Paolo conclusosi con la richiesta di archiviazione per insufficienza di prove da parte del pubblico ministero [17], che nel frattempo è stato sostituito. Dalle indagini emerge forte il sospetto che i finanziatori siano tre oligarchi ex sovietici: i russi Roman Abramovič e Boris Berezovskij, e il georgiano Badri Patarkatsishvili. Ad accomunare i tre è la privatizzazione di Sibneft, la compagnia petrolifera georgiana acquistata da Gazprom nel 2005 per 10,7 miliardi di euro [18]. Almeno in questo caso si ha una minima idea di quale sia la provenienza dei denari. Non altrettanto si può dire di molti altri soggetti che investono in diritti economici dei calciatori, né di chi appoggi finanziariamente la nuova classe dominante del calcio mondiale: quella dei superagenti. 4. Il primo della schiatta è stato Pini Zahavi, ex giornalista sportivo israeliano che all’inizio degli anni Ottanta sceglie di farsi agente di calciatori. È lui a inventare il profilo del superagente, soggetto che nella stessa trattativa assume più ruoli celebrando il trionfo della promiscuità. Può svolgere il ruolo di procuratore del giocatore che viene trasferito, ma anche quello di consulente di uno dei club che stanno trattando se non di entrambi, infine quello di rappresentante del soggetto finanziario esterno che detiene parte dei diritti economici del calciatore. In alcuni casi un superagente arriva anche a negoziare diritti televisivi attraverso proprie agenzie o emittenti televisive a pagamento di sua proprietà. Si tratta di broker che agiscono anche fuori dal perimetro del calcio e che non si limitano a inserirsi nel calciomercato. Piuttosto, lo creano. Zahavi ha anche la precoce intuizione (copiata da molti soggetti dell’economia calcistica parallela) per aggirare la circolare 1464 della Fifa del 22 dicembre 2014 [19], che dal primo maggio 2015 ha messo fuorigioco fondi e Tpo: acquisire, o porre sotto controllo indiretto, club di piccola taglia, scrollandosi così lo scomodo profilo di terza parte per diventare parte in causa. Nel 2006, mentre s’accendevano le polemiche sul trasferimento di Tevez e Mascherano al West Ham, Zahavi spostava in Europa una pattuglia di calciatori argentini provenienti dal River Plate. Lo faceva attraverso il Locarno, club della serie B svizzera. Uno di questi calciatori era Gonzalo Higuain, che passò al Real Madrid via Locarno senza aver mai messo piede in Canton Ticino [20]. A orchestrare questi trasferimenti è una società denominata Haz, acronimo formato dai cognomi dei tre soci: Z come Pini Zahavi; H come Fernando Hidalgo, storico agente argentino di calciatori; A come Gustavo Arribas. A lungo notaio bonaerense e agente di calciatori, Arribas ha cambiato mestiere diventando il capo dell’Afi (Agencia Federal de Intelligencia), i servizi segreti argentini, per volere del neopresidente della repubblica Mauricio Macri, ex presidente del Boca Juniors [21]. Giusto per capire con che tipo di personaggi si ha a che fare. Tornando a Zahavi, egli attualmente controlla i ciprioti dell’Apollon Limassol [22] e i belgi del Royal-Mouscron-Péruwelz [23]. Nel profilo dei superagenti rientrano soggetti come i già citati Kia Joorabchian e Gustavo Mascardi, ma anche Mino Raiola e soprattutto il portoghese Jorge Mendes, che attraverso l’agenzia Gestifute è attualmente l’uomo più potente del calcio globale. In occasione della campagna trasferimenti estiva del 2015 ha movimentato calciatori per 400 milioni di euro [24]. Adesso Jorge Mendes è il principale alleato europeo nel piano di sviluppo globale del calcio cinese [25]. Una potenza geopolitica e diplomatica, oltreché calcistica. L’ultima evoluzione del superagente. 5. In ultima analisi: perché contrastare fondi d’investimento e Tpo nel mercato dei calciatori? Per almeno quattro buoni motivi. Primo: in conseguenza dell’intervento di questi soggetti, il calcio diventa un incubatore finanziario nel quale del denaro viene iniettato soltanto per essere fatto fruttare e poi essere riportato fuori. Il mondo del pallone produce valore non per se stesso, ma per investitori esterni. Secondo: i club perdono sovranità sulle loro scelte, perché sono obbligati a far giocare i calciatori sui quali i fondi hanno puntato e poi a cederli quando sono i fondi a stabilirlo. Terzo: si crea un serio problema di libera concorrenza sul mercato del lavoro dei calciatori, perché quelli posti sotto l’ala protettrice dell’attore finanziario troveranno sempre occasioni di lavoro a scapito di altri che non hanno questo tipo di protezione, a prescindere dall’effettivo valore tecnico. Quarto, e più importante: la cessione in quota di calciatori a soggetti finanziari, in una logica di pura speculazione, configura una sorta di cartolarizzazione di esseri umani, totalmente contraria ai diritti e alla dignità della persona. È per tutte queste ragioni che bisogna appoggiare la battaglia della Fifa contro fondi e Tpo. Questi ultimi però evolvono verso nuove derive della finanziarizzazione calcistica. L’ultima novità sa tanto di subprime: una società londinese denominata XXIII Capital ha acquistato i proventi futuri di un gruppo di club europei, per un investimento totale di 73 milioni di dollari (di cui 16,3 in Italia, e ancora una volta Figc e Lega guardano altrove), per trasformarli in soccer bonds piazzati sul mercato statunitense con un rendimento del 3,7%. I futuri incassi dei club sono quelli da diritti televisivi e trasferimenti di calciatori [26], il che può prefigurare una forma mascherata di Tpo. Il denaro non dorme mai, e chi moltiplica sulla carta quello del calcio ha il sonno leggerissimo. Note: 1. M. GEREVINI, «Capo turco, società a Panama. Lo strano “animale” Doyen», Corriere della Sera, 21/6/2015. 2. M. ERCOLE «Lazio, Lotito attacca: “Andreson schiavo del fondo inglese”», la Repubblica, 24/6/2013. 3. F. PATANIA, «Lazio-Hernanes, ci siamo. Matrimonio imminente», Corriere dello Sport, 4/8/2010. 4. «Academia Traffic è vendida para time chinês», Desportivo Brasil, 11/4/2014. 5. J. MIKE BLAKE, «New Carolina RailHawks Owner Steve Malik Vows to Grow Local Soccer», The News&Observer, 30/10/2015. 6. «Three Brazilian Investors Acquire the Fort Lauderdale Strikers», BusinessWire, 19/9/2014. 7. «Acordo de delação de J. Hawilla ultrapassa US$ 151 mi; Traffic pode ser vendida», Portal Imprensa, 29/5/2015. 8. «Galliani, Lotito, Pulvirenti, Preziosi e... La Doyen Sports! Cena a Taormina per parlare di calciomercato», Goal, 14/7/2013. 9. Project TPO. Kpmg, 8/8/2013. 10. «Guaio Palermo: Zamparini deve 15M al fondo Pencil Hill per l’affare Dybala», Goal, 23/1/2016. 11. «Estigarribia: “Anche a Genova ‘Marcelo noi ti terremmo, ma...’ ”, TUTTOmercatoWEB, 27/9/2014. 12. A. DUFF, L. BALDOMIR, «Soccer Club with 200 Fans Earns $14 Million from Transfers», Bloomberg, 19/3/2014. 13. N. SCOTT, «Tiny Uruguayan Soccer Club Makes Millions as Undercover Transfer Market Middle-Man», USA Today, 19/3/2014. 14. «Tottenham Hotspur & Real Madrid – Gareth Bale», Football Leaks, 20/1/2016. 15. A. CORNEJO H., «Fondos de Inversión administrarán equipos de fútbol», Panamá América, 10/3/2000. 16. P. RUSSO, Gol di rapina. Il lato oscuro del calcio globale, Firenze 2014, Edizioni Clichy. 17. F. MACEDO, «Justiça Federal absolve Kia, Dualib e todos os acusados do caso MSI/Corinthians», Estadão, 3/4/2014. 18. A. OSTROVSKY, «Gazprom Buys Sibneft Stake for $13.1bn», Financial Times, 28/9/2005. 19. goo.gl/o6VJS9 20. M. SCHIRA, «Nasce la ragnatela dei “Locarno”, ilcaffé, 27/4/2014. 21. L. ZOMMER, M. TARRICONE, «Del negocio del futból al espionaje: quién es Gustavo Arribas», Chequeado, 10/3/2016. 22. C. Ştucan, «Pini Zahavi’s Balkan Football Empire», Futbolgrad, 21/2/2016. 23. P. RUSSO, «Pini Zahavi e il Chelsea mettono le mani sul Mouscron», Calciomercato, 3/7/2015. 24. S. DESPORTO, «Jorge Mendes movimentou 400 milhões neste defesso», SapoDesporto, 1/9/2015. 25. F. RUSSO, «Giochi di potere, Jorge Mendes e l’alleato cinese», Calciomercato, 23/11/2015. 26. F. RUSSO, «XXIII Capital, il calcio entra nell’epoca subprime: Figc e Lega che dicono?», Calciomercato, 17/3/2016.