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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

Intervista all’avvocato Giuliano Spazzali: «Io e Cusani contro il ‘Trio Lescano’. La mia Mani Pulite a mani nude»

Mani pulite? “È come la battaglia di Canne”. Giuliano Spazzali, avvocato, è stato 25 anni fa il grande antagonista di Antonio Di Pietro, magistrato: gli ha tenuto testa, con scontri epici, nel processo Cusani, trasmesso in diretta tv e diventato per tutti “il” processo di Mani pulite. Oggi accetta di ricordare quella stagione e di fare un bilancio provvisorio di un fenomeno ormai lontano, dice, “come la battaglia di Canne”. Eppure Mani pulite scatena ancora oggi l’odio e l’amore, divide i detrattori dai sostenitori. Segno che quel che c’era dentro – la corruzione, i rapporti tra politica e affari, gli scontri tra politica e magistratura – è ancora un problema che scotta.
Avvocato, come iniziò Mani pulite per lei?
Ero a Ustica in vacanza, nell’estate 1993. Mi comunicano che un indagato di Mani pulite in carcere, Sergio Cusani, mi aveva nominato suo difensore. Il mio nome gli era stato indicato da un suo amico fin dai tempi degli studi in Bocconi, Piero Ravelli, figlio dell’agente di Borsa Aldo Ravelli, che conoscevo. Aveva scelto me perché ricordava che avevo difeso studenti in processi politici.
Che rapporto ebbe con Sergio Cusani?
È l’unico cliente in tutta la mia carriera con cui siamo passati dal lei al tu. Ha mantenuto una sua linea chiara e netta. Ha ammesso le sue colpe, ha pagato per i suoi reati, ma non è corso “a pentirsi”, come facevano tutti in quei mesi. Non ha ceduto al “Trio Lescano”.
Prego?
Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo. I pm da cui tutti correvano a “pentirsi” per evitare il carcere. Cusani il carcere se l’è fatto tutto.
Colombo ripete che i segreti non raccontati poi hanno funzionato come ricatti per il futuro.
Così dice “la bianca Colomba”. Ma no, il sistema di corruzione e finanziamenti illeciti della Prima Repubblica è finito con Mani pulite. La corruzione di oggi, che c’è, è nuova, non è figlia di quella vecchia. Cusani ha semplicemente rispettato la regola che aveva imparato dal suo maestro Ravelli: mai tradire il proprio cliente, per cui hai lavorato. Sapeva tutto, ma ha ammesso solo le sue responsabilità. Per quelle degli altri, è compito dell’ufficio dell’accusa trovare le prove. Non è una buona inchiesta quella che si fonda non sulle indagini, ma sulle confessioni.
Con Di Pietro avete avuto degli scontri epici.
Di Pietro ha dimostrato una capacità di comunicazione straordinaria. Era incerto sui congiuntivi e le questioni tecnico-giuridiche gliele risolveva tutte Davigo, il “Dottor Sottile”, ma lui in tv era efficacissimo. Al processo Cusani, Di Pietro ha esibito mezzi ultramoderni, come le proiezioni dal computer. Ma poi concludeva con frasi come “Ma che c’azzecca?”. E conquistava il pubblico tv.
Un processo-simbolo, quello Cusani, in diretta tv.
Il mio primo atto come difensore di Cusani – lo racconto ora per la prima volta – è stato quello di andare alla sede della Montedison a spiegare come mai Cusani non aveva scelto un avvocato della Montedison. Trovai ad aspettarmi Carlo Sama, allora amministratore delegato e cognato di Raul Gardini, altri dirigenti della società e l’avvocato Luca Mucci. Dissi che avrei seguito le indicazioni del mio assistito. Ma il processo Cusani nacque da una mossa furba di Di Pietro. Io ero andato a parlare con Francesco Greco, allora pm, che mi aveva detto: dì a Cusani di raccontare tre cose a Di Pietro e così esce da San Vittore. Ma Cusani niente. Allora Di Pietro lo mandò a processo da solo, a giudizio immediato. Io resto convinto che fu una mossa non corretta, perché il giudizio immediato dipendeva dal momento in cui era stato iscritto nel registro degli indagati e il tempo ormai era scaduto. Ma Mani pulite era così: un’inchiesta contenitore, da cui erano via via aperti, a piacimento del Trio Lescano, i vari processi.
Al processo Cusani sfilarono, come testimoni, tutti i leader di partito, da Bettino Craxi a Umberto Bossi. Il “vecchio” e il “nuovo”…
Craxi aveva ammesso il finanziamento illecito e questo a Di Pietro bastò. Io non gli feci alcuna domanda. Lo conoscevo bene fin dai tempi dell’università. Molti anni dopo, sapevo che domande fargli per fargli male, ma non le ho fatte. Forse sono stato pavido.
Invece foste voi a far emergere un fatto che Di Pietro non sapeva ancora: i 200 milioni di lire della Montedison ad Alessandro Patelli (il “pirla”), per la Lega.
Dopo quell’udienza, ricevetti minacce pesanti. Il mio numero fu tolto dall’elenco telefonico – c’era ancora l’elenco telefonico – e io fui messo sotto protezione.
Alla fine del dibattimento, la sua strategia processuale non salvò Cusani da una condanna pesante.
Cusani decise lui la strategia processuale e io lo assistetti con grande ammirazione. Decise di non rispondere alla domande di Di Pietro, ma di rendere alla fine dichiarazioni spontanee: disse che non spettava a lui portare prove per l’accusa, ma che se le accuse erano vere, la pena richiesta dal pubblico ministero era troppo bassa. E infatti i giudici la alzarono. Poi ebbe un comportamento carcerario esemplare e ottenne la riabilitazione.
Nel processo non emersero le prove per i soldi (un miliardo di lire) portati in una valigia a Botteghe Oscure, allora sede del Pci. Entrò nel portone, ma non si sa a chi arrivò. Avete salvato voi i comunisti?
Anche il Pci era destinatario di somme cospicue. Cusani è rimasto coerente con la scelta di non fare il lavoro che devono fare i magistrati dell’accusa. Ma non sapeva neppure lui a chi fosse finita la valigia. Succede così quando basi le inchieste sulle confessioni e non fai indagini in proprio.
Mani pulite è stata una operazione politica, come dicono i detrattori? Una “rivoluzione giudiziaria”?
Ma no. In quegli anni era in corso una grande trasformazione sociale e politica. Declinavano la Dc, il Psi, il Pri, il Psdi, il Pli. Il Pci stava cambiando nome e natura. Era nata la Lega, poi arrivò con il suo partito Silvio Berlusconi. Non fu Mani pulite a provocare tutto ciò, fu al massimo l’ostetrica, l’assistente al parto.
Non ci fu, come dicono tanti suoi colleghi avvocati, un uso eccessivo della custodia cautelare?
Non più di adesso. Non ho mai creduto al complotto politico. L’attività della magistratura si sviluppa sempre in un certo contesto storico. Negli anni di Mani pulite il palazzo di giustizia di Milano fu la sala parto del cambiamento politico. Ma la madre e il padre non erano certo Di Pietro, Davigo e Colombo.
La stampa raccontò in diretta l’inchiesta senza timori per i potenti, mostrando che finalmente la legge era uguale per tutti.
C’era una corsia preferenziale per certe cose, e non per altre, che passavano dalla Procura ai giornali. Più che notizie, “avvisi ai naviganti”.
Come si è comportata, in Mani pulite, l’avvocatura?
Ne è uscita malissimo. Faceva a gara a portare i clienti in Procura a confessare. Ma l’avvocato non deve dare un contributo a cambiare il contesto sociale, fa un altro lavoro. Io ho avuto la fortuna di avere un cliente, Sergio Cusani, robusto e non cinico e baro.