La Stampa, 2 luglio 2017
Intervista a Caroline Moorehead: «Il coraggio si impara dai Rosselli»
Caroline Moorehead è una giornalista che si occupa di diritti umani e una biografa.
Perché ha deciso di scrivere «A Bold and Dangerous Family: The Rossellis and the Fight Against Mussolini», la biografia appena uscita sui fratelli Rosselli e la loro famiglia?
«Avevo finito due libri sulla resistenza contro i tedeschi e il governo di Vichy in Francia – “A Train in Winter” e “A Village of Secrets” – e m’interessava l’idea di approfondire il tema dell’opposizione a Mussolini in Italia. I miei libri sono un misto di biografia e storia e quindi devo trovare un soggetto piccolo come una famiglia e un gruppo di amici e narrare le vicende attraverso di loro».
Chi erano i Rosselli?
«Una famiglia di commercianti e banchieri livornesi molto legati all’Inghilterra. Credevano nel Risorgimento. Attorno al 1890 Joe Rosselli sposò Amelia Pincherle ed ebbero tre figli, Aldo, Carlo e Nello. Erano entrambi di famiglia ebraica, ma si sentivano innanzitutto italiani. Grazie ai dividendi di una miniera sul monte Amiata, avevano soldi sufficienti per finanziare le loro attività antifasciste. Amelia Pincherle Rosselli è una figura chiave della storia e ha avuto una grande influenza sull’educazione di Aldo, Carlo e Nello».
Che persona era?
«In parte ho deciso di scrivere questo libro dopo aver letto le “Memorie” di Amelia, pubblicate in Italia nel 2002. Era una donna straordinaria: coraggiosa, elegante, di grande moralità e decisa a fare dei suoi figli dei cittadini responsabili. Era anche una scrittrice di successo».
I Rosselli aderirono al manifesto politico di Giuseppe Mazzini per un’Italia unita, libera e indipendente?
«Amelia instillò loro queste convinzioni fin dall’infanzia e li educò al senso del dovere, all’etica e all’importanza di agire per il bene del proprio Paese. Dopo che Aldo fu ucciso nella Prima guerra mondiale, Carlo e Nello divennero molto attivi nel movimento antifascista».
Erano legati al partito comunista?
«No, erano socialisti e il loro progetto era alternativo al comunismo, Carlo ci lavorò durante la prigionia sul’isola di Lipari e più tardi durante l’esilio in Franca, scrivendo il manifesto “Socialismo Liberale”, che in seguitò ispirò il Partito D’Azione e il movimento Giustizia e Libertà».
Fu l’assassinio del parlamentare socialista Giacomo Matteotti da parte delle camicie nere di Mussolini a motivare l’impegno dei Rosselli?
«I fratelli Rosselli erano oppositori del regime fin da molto giovani, da prima della Marcia su Roma. A Firenze entrarono nella cerchia dell’illustre storico Gaetano Salvemini. L’omicidio Matteotti fu un momento cruciale, perché capirono che era il punto di non ritorno. Crearono un centro culturale e iniziarono una pubblicazione clandestina, “Non Mollare!”».
Perché Carlo fu mandato al confino e tenuto prigioniero a Lipari, da dove fuggì per andare a vivere a Parigi con la moglie inglese?
«La fuga in Francia del leader socialista Filippo Turati fu organizzata da Carlo. Che al suo ritorno in Italia fu arrestato e quindi mandato a Lipari, dove Mussolini confinava gli oppositori. In teoria scappare era impossibile ma Carlo e due amici ci riuscirono Per ritorsione Mussolini arrestò la moglie di Carlo, Marion, e Nello, che poi fu a sua volta confinato a Ustica».
Perché Nello rimase a Firenze quando Carlo era a Parigi?
«Entrambi credevano che ci fossero due modi di opporsi al fascismo: in patria e all’estero».
Perché Mussolini temeva i fratelli Rosselli e aveva mandato delle spie a seguire i movimenti di Carlo a Parigi?
«Carlo, soprattutto dopo la fuga da Lipari, era molto conosciuto e considerato un possibile futuro leader. A Parigi scriveva e parlava contro Mussolini e il fascismo e le sue parole erano ripetute dappertutto. A metà degli Anni 30 il capo della polizia di Mussolini, Bocchini, aveva un vasto apparato di spie e informatori e Parigi, il centro degli antifascisti esiliati, ne pullulava».
Perché Carlo partecipò alla guerra di Spagna, dove fu ferito?
«A metà degli Anni 30 Carlo era sempre meno fiducioso nella possibilità che in Italia ci fosse una sollevazione popolare contro Mussolini. La guerra civile spagnola gli sembrava la prova che si poteva rovesciare la dittatura dall’interno e così radunò un gruppo di antifascisti e andò con loro a combattere contro Franco. Per guarire dalle ferite andò poi con Nello in Normandia, dove furono entrambi assassinati dai fascisti francesi».
Quale fu la reazione in Italia?
«Tra i fascisti la prima reazione fu quella di far circolare la voce che Carlo fosse stato ucciso dai suoi, perché stava cercando di rappacificarsi con i fascisti. Tra gli antifascisti si diffusero rabbia e dolore. Nel giugno 1937 200 mila persone parteciparono al loro funerale, a Parigi».
Perché Mussolini li fece uccidere? Perché erano ebrei? Perché erano ricchi?
«L’ordine di uccidere Carlo si presume che venisse, se non direttamente da Mussolini, almeno dal genero Galeazzo Ciano. Nello fu ucciso perché era con lui. Erano diventati un pericoloso simbolo dell’antifascismo, erano carismatici e Carlo diventava sempre più influente».
Traduzione di Carla Reschia