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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

Lo strano insuccesso del libro «Il laureato»

La politica sa essere molto crudele, talvolta. Chi arriva per primo può tagliare il traguardo per ultimo, o addirittura non tagliarlo affatto. Tanto tempo fa ormai si diceva che Macron potesse essere il Renzi francese, poi si sono invertiti i termini e si è immaginato che Renzi potesse essere il Macron italiano, e adesso la perfidia dei commentatori arriva a dire che Renzi avrebbe potuto essere il Macron italiano, ma non lo diventerà mai perché ha perso definitivamente il treno del successo elettorale. Destino crudele, ma Renzi si può consolare perché questa legge così malvagia, arrivare in anticipo per concludere in ritardo, sconfina dal recinto della politica e può essere il condimento amaro della vita e dell’arte.
Sull’ultimo numero di «7», per esempio, Antonio D’Orrico ha ricordato la storia di Charles Webb, l’autore nel 1963 di un romanzo destinato a vendere un numero molto limitato di copie e che si intitolava The graduate, «Il laureato», ma la cui fama già non proprio clamorosa venne definitivamente eclissata dal film omonimo diretto da Mike Nichols che con Dustin Hoffman e la musica di Simon and Garfunkel diventerà quattro anni dopo un successo strepitoso, il film di culto di una generazione, una pietra miliare nell’educazione sentimentale di una quantità sterminata di persone. Qualche riflesso sulle vendite del romanzo ovviamente il film certo lo ebbe, ma il nome di Charles Webb, che nel frattempo ha scritto altri sette romanzi e si è avviato lungo la strada di una vita familiare molto complicata, e molto diversa dal libro che aveva scritto poco più che ventenne, non entrerà mai nel firmamento delle celebrità. E viene in mente anche la storia di Llewyn Davis, immortalata da un film strepitoso dei fratelli Coen intitolato in italiano A proposito di Davis, in cui il cantante folk conduce nei primissimi anni Sessanta una vita grama nei locali del Greenwich Village con un modo di cantare e suonare tutto nuovo ma mai baciato dal successo che invece arriderà al giovanissimo Bob Dylan che nell’ammirazione generale calcherà gli stessi palcoscenici salutati con gelida indifferenza dello sfortunato predecessore Davis. Due storie che certo non serviranno a consolare chi sta vivendo vicissitudini analoghe, ma possono consigliare Renzi ad accettare il verdetto della storia. Senza incaponirsi nella reiterazione di un gioco perdente.