Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2017
Il settore orafo e il «filone» dell’evasione
Valenza, Vicenza, Arezzo e Marcianise. A legare i quattro poli dell’oro non sono solo reti commerciali e d’impresa, ma anche i traffici illeciti.
Non siamo ai livelli degli anni del boom economico, quando i quattro distretti macinavano fatturati miliardari e le verifiche della Guardia di finanza in alcune imprese del settore scoprivano che per ogni chilo d’oro contabilizzato ve ne erano fino a quattro in nero nascosti nei magazzini.
Se fossimo ancora in quel periodo – e se tutto il comparto lavorasse con quei livelli di “sommerso” – bisognerebbe moltiplicare per quattro il fatturato ufficiale del settore orafo italiano.
Nel 2016 il fatturato del settore orafo ammontava a 7,7 miliardi di euro, di cui 6,2 destinati all’export. Se si volessero proiettare le proporzioni degli anni Sessanta, dovremmo stimare 30 miliardi. È solo un paradosso, naturalmente; ma le indagini della Guardia di finanza continuano a dimostrare che l’evasione fiscale è uno sport praticato da una percentuale non rilevabile del settore.
L’eccellenza italiana
L’Italia è sempre stata ai vertici dell’industria orafa internazionale: anche in questo settore il made in Italy è garanzia di qualità. Non è un caso che l’Italia si trovi al secondo posto in Europa nella classifica dei Paesi che più lavorano il metallo giallo. La produzione di gioielli in oro si è attestata nel 2016 a 79 tonnellate, ma anche in questo settore la crisi si è fatta sentire: basti pensare che dieci anni fa le tonnellate lavorate erano 215.
Al primo posto nell’export di oreficeria italiana c’è ancora la Svizzera con 1,2 miliardi di euro (il 19,4% del totale), seguita da Emirati Arabi (904 milioni) e Hong Kong (675). In realtà, questi due ultimi Paesi sono punti di approdo dei gioielli che consentono di evitare i pesanti dazi doganali dei mercati che poi vengono serviti da questi due hub.
Gli hub fiscali
Secondo uno studio del Centro studi Confindustria e di Prometeia sulle esportazioni italiane, nel 2021 l’export di oro dall’Italia verso gli Emirati Arabi dovrebbe raggiungere la cifra record di 1,6 miliardi, cioè 591 milioni in più rispetto al 2015. Dubai registra il più alto consumo di oro al mondo, ma è soprattutto un hub per gli altri mercati del Medio Oriente e dell’area indiana. Panama, invece, è diventato il centro di smistamento dell’oro diretto verso i Paesi del Centro America e del Sudamerica, mentre Hong Kong è il terminale delle vendite in Cina e negli altri Stati della regione.
Perché questo fenomeno di concentrazione verso i tre hub mondiali? È l’esistenza dei dazi che spinge in questa direzione, spiega il direttore di Federorafi, Stefano De Pascale. I dazi fanno sì che, per esempio, sia più conveniente che l’oro venga acquistato formalmente da una società con sede legale a Panama, la quale lo rivenderà agli altri Paesi dell’area con i quali esistono accordi di libero scambio. Lo stesso vale per gli Emirati Arabi e per Hong Kong. L’eliminazione dei dazi, ribadisce De Pascale, contribuirebbe a rendere più fluidi e più diretti gli scambi.
La rete vista dalla Gdf
Fin qui i dati ufficiali. Ma le indagini della Guardia di Finanza affiancano a questo quadro anche una fotografia i cui contorni non possono essere per definizione ben delineati, perché si focalizzano sul “mondo sommerso”, vale a dire sui traffici di oro illecito che sembrano legare in una rete informale i quattro distretti orafi italiani. A evidenziale l’esistenza di questo network che si irradia per tutto il territorio nazionale e anche fuori dai confini è la Guardia di finanza di Arezzo, che dal 2013 ha condotto la più importante inchiesta contro l’evasione fiscale e il riciclaggio nel settore orafo: l’operazione “Fort Knox”.
Il comandante del Nucleo di polizia tributaria Peppino Abbruzzese mette in parallelo i due piani – quello lecito e quello illecito – che giocoforza in alcuni casi convergono. «Le evidenze d’indagine – spiega al Sole 24 Ore – dimostrano che i quattro poli orafi sono tutti interconnessi. Quando c’è l’esigenza di oro non si bada a contattare esclusivamente i referenti del proprio territorio, ma si chiamano anche i referenti di altre province, in modo tale che la richiesta d’oro possa essere subito soddisfatta. Perché il settore dell’oro e dei metalli preziosi è un settore dove la quotazione viene fatta giorno per giorno e dunque quello che io acquisto o vendo oggi, già domani potrebbe perdere o acquistare valore. Al contempo le indagini attestano effettivamente una connessione illecita tra tutti i distretti orafi e tra vari compro-oro in Italia».
L’indagine «Fort Knox»
La “mamma” di tutte le inchieste sui traffici illeciti di metalli preziosi è quella ribattezzata “Fort Knox”, dal nome della fortezza (quasi) inespugnabile a Monte San Savino (in provincia di Arezzo), in cui la notte tra il 7 e l’8 novembre 2012 la Guardia di finanza smantellò un’organizzazione con base in Svizzera dedita a riciclaggio, ricettazione, frode fiscale ed esercizio abusivo del commercio di oro.
Al centro delle 259 perquisizioni, che le Fiamme gialle di Arezzo e Napoli hanno eseguito in tutta Italia, i negozi di compro-oro, ma anche gioiellerie e aziende orafe, comprese 23 società del distretto orafo di Arezzo, 16 del polo campano “Il Tarì” e una del distretto di Valenza. L’associazione, secondo l’accusa, aveva il vertice in Svizzera e braccia operative nei distretti orafi di Arezzo, Marcianise (Caserta) e Valenza (Alessandria).
L’oro proveniente da piccoli e medi esercizi commerciali specializzati nella compravendita di prodotti di oreficeria (compro-oro e gioiellerie) veniva conferito a pochi soggetti che fungevano da “collettori”, i quali, a loro volta, consegnavano l’oro a intermediari.
Tutte le forniture avvenivano in nero mediante scambi di oro contro denaro contante in banconote di grosso taglio, trasportate da corrieri che usavano automobili modificate con doppifondi. In seguito l’oro raggiungeva la Svizzera e, sempre secondo l’accusa, veniva consegnato all’acquirente finale, il cittadino italo-svizzero Petrit Kamata, e veniva trasformato in lingotti per oro da investimento, con tanto di timbro ufficiale, acquistati anche da banche e Stati.
Dopo la rogatoria in Svizzera, è stato possibile rilevare con esattezza l’ammontare delle forniture di oro puro effettuate da due dei principali collettori di riferimento e che dunque fornisce in modo netto le reali dimensioni dei traffici illeciti: 34.095,50 chilogrammi di oro puro, per un importo totale di quasi 1,4 miliardi di euro.