Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2017
Per i conti italiani è il semestre della verità
Per i conti pubblici, quello appena cominciato è un semestre ad alta densità di impegni e scadenze. Ci si muove su un sentiero stretto, per mutuare la metafora più volte evocata dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non privo di incognite, che solo in parte è reso meno angusto dalla nuova flessibilità chiesta a Bruxelles per il 2018.
Si parte dalla riforma della riscossione, che da questo mese vede Equitalia confluire formalmente nell’Agenzia delle Entrate, ma anche dagli incassi attesi dalla voluntary disclosure-bis: 1,6 miliardi sui quali al momento non vi è certezza assoluta. Vanno ad aggiungersi i 7,2 miliardi nel 2017-2019 attesi dalla cosiddetta rottamazione delle cartelle Equitalia, e i 400 milioni della definizione agevolata relativa alle liti fiscali pendenti.
Gettito da verificare in corso d’opera, con effetti sul 2017 e sui prossimi anni, e dunque sulla predisposizione della prossima manovra, i cui contenuti verranno definiti nel dettaglio solo a partire da fine settembre, quando verrà presentata in Parlamento e alla Commissione Ue la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza.
Prima la ridefinizione del quadro macroeconomico di riferimento, dunque Pil, debito, deficit, che sarà possibile una volta acquisito dall’Istat il dato più aggiornato relativo alle principali variabili in campo. Poi il passaggio in Consiglio dei ministri della manovra, entro il 20 ottobre, e l’avvio della discussione in Parlamento. Con due caveat non da poco.
Il primo attiene all’esito della trattativa in corso con Bruxelles. Il responso è atteso in autunno, in particolare per quel che riguarda la richiesta avanzata dal Governo di dimezzare (dallo 0,6 allo 0,3% del Pil) l’entità della correzione 2018 del deficit strutturale. Un indicatore che non tiene conto degli effetti della congiuntura e delle una tantum, e dunque proprio quegli incassi one off che il Governo ha affidato alle varie sanatorie in corso. Anche le somme impegnate per le crisi bancarie sono assimilate da Bruxelles a uscite una tantum con impatto sul debito.
Continua pagina 17 Dino Pesole Continua da pagina 1 Il secondo caveat si concentra interamente sulla variabile politica interna, poiché la prossima legge di Bilancio cadrà a poca distanza dalle elezioni, e dunque dovrà fare i conti con le molteplici spinte a privilegiare interventi e misure cui attribuire un maggiore potenziale di consenso elettorale. Qualora – come pare dalle premesse – la richiesta avanzata a Bruxelles venisse accettata, il conto della prossima manovra (sul solo versante della correzione dei conti pubblici) si ridurrebbe a 6-7 miliardi anche grazie all’effetto strutturale della “manovrina” da 3,4 miliardi approvata dal Parlamento. In tal modo il costo del finanziamento per neutralizzare le clausole di salvaguardia del 2018 (l’aumento di tre punti dell’Iva) scenderà da 19,6 a 15,7 miliardi. Risorse da ricavare sia attraverso l’ulteriore aumento del deficit nominale (che il Def di aprile fissa per il 2018 all’1,2%) sia attraverso ulteriori interventi da definire in manovra.
Si potrà contare – è vero – su una crescita che quest’anno potrebbe attestarsi nei dintorni dell’1,3%, rispetto all’1,1% stimato dal Governo. Ma con molta cautela, e con la precondizione che ogni spazio aggiuntivo ricavabile nelle pieghe del bilancio dovrà essere indirizzato al sostegno dell’occupazione, soprattutto giovanile, come annunciato dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
Dunque, taglio del cuneo fiscale e non risorse a pioggia per provare a ottenere un consenso elettorale tutto da verificare sul campo. Va bene il sostegno alla crescita, ma attenzione al debito, poiché nel 2018 (ed ecco l’altra incognita) occorrerà far fronte al graduale esaurirsi del Quantitative easing della Bce (il cosiddetto tapering), che riporterà anche tassi e spread a una condizione di “normalità”.
Basti ricordare che dal 2012 al 2016 il costo di finanziamento del debito si è ridotto della considerevole somma di 17,1 miliardi. Di conseguenza, la spesa per interessi quest’anno dovrebbe attestarsi al 3,9% del Pil e al 3,7% nel 2018, con l’avanzo primario in aumento fino al 3,4% nel 2020 (contro l’1,5% dello scorso anno).
Quali margini possono aprirsi, in un contesto così delineato, per incrementare la dote a disposizione del sostegno alla crescita e all’occupazione? Da un lato, spazi possibili vanno individuati sul fronte della spending review, che per effetto della riforma del bilancio del 2016 verrà incardinata nei saldi di finanza pubblica. E poi emerge la possibilità di recuperare maggior gettito dall’evasione Iva, se maturerà il necessario consenso in sede politica (e nella Commissione Ue) sull’eventuale estensione dell’obbligo della fatturazione elettronica anche alle transazioni tra privati.