La Stampa, 3 luglio 2017
Quest’estate mi diverto a costruire robot. Si moltiplicano i corsi di “coding” per bambini e adolescenti
Esiste un modo per convincere i bambini a non passare tutto il tempo davanti a uno schermo digitale? Se il nuoto non funziona, il calcio non basta, i laboratori al museo delle scienze annoiano, un’alternativa può essere il corso di «coding», almeno si cambia prospettiva, e non si sta più davanti a uno schermo, ma si va dentro, a vedere come è fatto. Letteralmente significa «codifica», e insegna ai più piccoli le basi della programmazione informatica, non tanto per farne dei futuri programmatori, quanto per educarli a risolvere problemi attraverso una pratica per loro tanto essenziale quanto negletta nelle pratiche quotidiane, anche scolastiche: la manualità. Sì, perché i computer, visti da dentro, sono più avvincenti di qualsiasi meccano, e l’esplorazione della tecnologia non è poi tanto diversa – quanto all’entusiasmo che può suscitare – da un trekking nella lontana Lapponia.
Fare da soli
Non solo: apprendere la logica del pensiero computazionale significa muoversi nel mondo degli oggetti contemporanei con una consapevolezza diversa. Dal videogioco alla lavatrice, dal forno a microonde allo smartphone, i codici informatici sono alla base di tutto. Conoscerne i fondamentali significa passare dalla totale passività di chi li utilizza, all’attività di chi ne domina i meccanismi, fino teoricamente a produrne di nuovi. «I percorsi per bambini – spiega uno dei tutor di Codemotion Kids durante l’Open Day di presentazione dei corsi a Roma – sono pensati per promuovere il loro lato artistico attraverso le costruzioni e il lavoro manuale». Si parte dai Lego, dagli oggetti a incastro, e poi piano si introducono fili, circuiti, collegamenti con un computer, e diventa possibile, già dopo la prima ora di corso, costruire una macchinetta che cammina, in grado di sfidare quelle degli altri compagni.
Qui i bambini fanno tutto da soli. «Una delle regole del nostro lavoro – dice ancora un tutor – è “i computer dei bambini non si toccano, altrimenti non imparano mai”». Se qualcuno non riesce a fare da solo, gli si chiede di rivolgersi a un compagno, di farsi aiutare, al limite gli si dà qualche indicazione pratica, «ma senza mai levargli il mouse di mano». Sbagliare è fondamentale, e lo spirito di questi corsi è proprio quello di insegnare a risolvere problemi. Di fronte all’intoppo alcuni bambini si divertono, altri soffrono, altri ancora si bloccano: «il programmatore convive con l’errore, anzi spesso è proprio da un errore che nasce un’idea, per quello è importante l’autoapprendimento, sviluppa l’attitudine a trovare infiniti modi per raggiungere un obiettivo».
L’idea
Codemotion è un gruppo nato dall’iniziativa di due donne, Chiara Russo e Mara Marzocchi, la psicologa e l’ingegnera informatica, che nel 2014 hanno lanciato CodemotionKids all’insegna del motto di Bruno Munari «Un bambino creativo è un bambino felice». I corsi – a pagamento – sono organizzati a Roma, Torino, Genova, Bologna, Verona, Trento, Milano (dove il 6 luglio ci sarà il prossimo Open Day), ma sono sempre di più le realtà attive nel settore dell’insegnamento dei codici di programmazione, anche gratuite: è sufficiente fare un giro sui maggiori motori di ricerca per individuare dove si trova il corso più vicino a casa nostra e più adatto alle esigenze di ognuno (una grossa mano può darla il blog specializzato Robotiko, sempre aggiornato su questi temi).
Lavoro di squadra
Tra le abilità che vengono messe in azione durante un corso di coding c’è quella di lavorare sia da soli, sia in coppia, sia in squadra. In ognuna di queste situazioni – spiegano gli esperti – si sperimentano diverse potenzialità del bambino, tanto che risulta poi più facile individuare chi è portato per la programmazione in solitaria, chi ha un talento per la costruzione, chi è particolarmente reattivo agli stimoli altrui, chi invece sa fare da collante per tenere insieme un gruppo di lavoro. Tutte cose che a scuola, soffocati dai grandi numeri e dalla cronica mancanza di risorse, è raramente possibile mettere a fuoco.
La frontiera successiva a quella del coding, making e tinkering (programmare, fare, armeggiare) è poi quella della robotica, a cui si arriva dopo aver appreso come si sviluppa una app o si programma un videogioco. I ragazzi e le ragazze si rivelano spesso più creativi e più capaci degli adulti, soprattutto se qualcuno ha insegnato loro a non arrestarsi alla prima difficoltà, perché – come amano ripetere i giovani educatori informatici, vera e propria new generation di maestri – «è quando una cosa non funziona che inizia il bello».