La Stampa, 3 luglio 2017
Intervista a Giles Trendle, managing director di Al-Jazeera English a Doha: «Al-Jazeera non si farà intimidire dalle minacce dei regimi della regione»
Se il Qatar accettasse le 13 condizioni che gli impongono i rivali del Golfo – pare per ora improbabile – oggi allo scadere dell’ultimatum Al-Jazeera, emittente satellitare del Qatar, rischierebbe di chiudere. «Audace e controversa», l’ha definita il Guardian, spiegando che il network nato nel 1996 ha contribuito a creare una coscienza politica in una regione di dittature. Il giornale, assieme al New York Times e all’Economist, ha difeso il canale di Doha, parlando di crimine contro la libertà d’espressione. Dall’altra parte, la critica di Arabia Saudita ed Emirati, ma non soltanto, è che Al-Jazeera sostenga le politiche estere di Doha senza intromettersi in quelle interne, la linea di gruppi islamisti e dei Fratelli musulmani. Per Giles Trendle, managing director di Al-Jazeera English a Doha, l’emittente è finita suo malgrado nel mezzo della crisi regionale perché infastidisce i regimi.
Qual è l’atmosfera in queste ore in redazione a Doha?
«Business as usual: continuiamo a fare il nostro lavoro, a fare giornalismo».
Qual è la vostra risposta alle accuse del Golfo?
«Non siamo legati a nessuna ideologia, a nessun gruppo, diversifichiamo le nostre opinioni e analisi. I governi della regione preferiscono tornare indietro a quando Al-Jazeera non esisteva: alle narrative di Stato, alle tv di regime. Facciamo parlare persone di ogni tendenza politica e sociale e questo non piace ad alcuni regimi».
Pensa che esista la possibilità di un blocco delle operazioni delle rete?
«È tutto nelle mani dei politici. Come giornalisti, il nostro programma è andare avanti con il nostro lavoro libero ed equilibrato: non ci faremo né bullizzare né intimidire».
Lei è managing director di Al-Jazeera English, ma i Paesi della regione percepiscono come un problema il canale in arabo. Anche dall’occidente arrivano critiche secondo le quali l’emittente in arabo non avrebbe gli stessi standard, messaggi e contenuti dell’inglese. C’è una differenza?
«Tutti i canali di Al-Jazeera condividono la stessa filosofia, la stessa missione editoriale. Hanno però un pubblico diverso: Al-Jazeera in arabo è forse il canale più seguito in Medio Oriente. La differenza è nello stile e non nella sostanza».
Le critiche arrivano anche da fonti insospettabili come l’ex giornalista di Al-Jazeera Mohammed Fahmy imprigionato nel 2013 in Egitto proprio perché cronista dell’emittente. Ha esposto denuncia contro Al-Jazeera, e a Bloomberg ha detto: «Più il network si coordina e prende direttive dal governo, più diventa il portavoce dell’intelligence del Qatar». «Ci sono molti canali che sono di parte, ma qui siamo oltre l’essere di parte. Ora Al-Jazeera è una voce dei terroristi».
«Penso che abbia letto le ultime notizie su Fahmy (“Una recente campagna di sorveglianza e computer hacking contro Fahmy, a beneficio del Qatar, ha rivelato che funzionari degli Emirati hanno fornito 250mila dollari per aiutarlo a pagare l’azione legale. Fahmy, non è più un osservatore neutrale, è diventato una pedina sfruttata e abusata dalle parti”, ha scritto il New York Times, ndr). Qui siamo giornalisti professionisti, in arrivo da media di tutto il mondo: non ci si può aspettare che questo tipo di giornalisti lavorino per un mezzo di propaganda, e poi basta guardare il lavoro che facciamo».
Cosa significherebbe per la regione la chiusura di Al-Jazeera?
«Senza Al-Jazeera si perderebbe una voce di libertà d’espressione. Nel 2011 abbiamo dato voce durante le Primavere arabe a uomini e donne della strada, alla popolazione. La chiusura avrebbe implicazioni serie per la capacità dei governi di silenziare i media».
Ha citato il 2011, momento in cui è emersa, nella regione ma anche in Occidente, la critica nei confronti di Al-Jazeera Arabic di sostenere soltanto una parte delle rivolte, quella dei gruppi dell’Islam politico.
«Nel 2011, Al-Jazeera ha coperto gli eventi, non ha fatto incitazione. Quegli eventi stavano accadendo nonostante Al-Jazeera, e l’emittente se ne è occupata intervistando uomini e donne di qualsiasi origine. Alcuni leader hanno trovato questo una minaccia».