La Stampa, 3 luglio 2017
Due molotov contro l’albergo degli stranieri. Un paese del Bresciano si ribella ai rifugiati
Le acque del Chiese scorrono rapidamente tagliando a metà il piccolo centro del paese sino a nascondersi dietro alla frazione Carpeneda dove il sole sembra scomparire. Vobarno, una volta tempio delle acciaierie grazie al boom economico degli Anni Sessanta, si è trasformato oggi in laboratorio sperimentale dell’integrazione. Che non sempre funziona. Martedì scorso tutta Carpeneda era in strada per discuterne e dai suoi quattrocento abitanti è arrivato un no deciso alla proposta del sindaco Giuseppe Lancini di ospitare altri 35 profughi oltre ai 23 già presenti. Dal rifiuto ben presto si è passati ai fatti, poiché nella notte tra venerdì e sabato, l’Hotel Eureka, indicato per ospitare i nuovi richiedenti asilo, è stata assaltato con due molotov. Nessun ferito, ma i danni sono stati ingenti considerato che l’incendio ha distrutto il piano terra dell’albergo. Indagano i carabinieri.
A quasi quaranta chilometri di distanza da Brescia la scritta in dialetto «Boaren» dipinta su un muro all’ingresso del Comune ricorda simpaticamente come la Valle Sabbia, patria indiscussa della caccia, sia ancora bresciana, anche se si contano 1300 stranieri regolari.
Vobarno, 8500 anime, conserva ancora un’anima italiana, sebbene in strada si incrocino più veli che minigonne e la lingua sentita parlare alla fermata del bus sia quella araba. «Sono troppi e pretendono di fare quello che vogliono, mi auguro perciò che restino a casa loro», afferma il signor Franco, seduto al tavolino del bar vicino a piazza Migliavacca. Tuniche colorate e copricapi indiani, gli stranieri di Vobarno si ritrovano ogni giorno nei due kebab del piccolo paese, aperti uno a distanza di cinquanta metri dall’altro, mentre l’altro luogo d’incontro è la moschea di via Falck. «Vivo qui da quindici anni e non ho mai avuto alcun problema con gli italiani – dice Mohammed, ventottenne marocchino -. Sui nuovi richiedenti asilo spero si trovi una soluzione che sia comoda per tutti, senza creare disagi».
Sul caso dei nuovi profughi la parola, oggi alle 12, passerà dal prefetto che insieme al sindaco Lancini si pronuncerà sulla situazione. Nel frattempo, il Chiese brontola in una calda giornata d’estate, tagliando a metà il paese, con italiani e stranieri che restano divisi non solamente dal fiume.