Panorama, 29 giugno 2017
La gendarme che ai colossi del web dice: «Concilia?». Intervista a Margrethe Vestager
Tre anni fa, Margrethe Vestager ha dismesso i panni di vice primo ministro danese per diventare la nemica numero uno della Silicon Valley. Nel ruolo di commissario europeo per la Concorrenza, Vestager impugna la bacchetta magica e decide in merito all’operato dei colossi multinazionali all’interno dell’Unione europea, esaminando minuziosamente i «vantaggi fiscali» che i governi concedono a società come Apple; sanzionando le aziende per aver mentito (è successo per FacebookWhatsapp); o per abuso di posizione dominante (multa di 2,42 miliardi a Google per abuso di posizione dominante nella comparazione dei prezzi per gli acquisti online). Stiamo parlando di multinazionali che hanno a disposizione un enorme liquidità e che si sono aperte la strada verso il potere scrivendo le proprie regole del gioco. Non sono abituate a pagare multe o a pubblicizzare le dinamiche interne. Sfortunatamente per loro, però, ora il gioco è passato nelle mani di Margrethe. Spalleggiata da un team di 900 persone, Vestager ha raccolto il testimone di gendarme della concorrenza. I suoi modi sono gentili e sinceri, ma possiamo scommettere che a porte chiuse è una donna che non cede ai capricci delle conglomerate abituate a operare come vogliono. Come dimostra la maxi multa a Google. «La strategia usata da Google per i suoi servizi di shopping non era solo attrarre gli utenti rendendo i suoi prodotti migliori di quelli dei rivali. Google ha abusato della sua posizione dominante sul mercato della ricerca per promuovere il suo servizio di comparazione dello shopping nei suoi risultati, declassando quelli dei suoi concorrenti» ha detto. «Quello che ha fatto è illegale, ha negato alle altre aziende la possibilità di competere e di innovare, e più importante ancora ha negato ai consumatori Ue una scelta genuina di servizi». Del resto, il commissario ha già affrontato (vincendo) il numero uno di Apple, Tim Cook, ed è il motivo per cui TimeYha inserita nella classifica delle persone più influenti al mondo. Operando nell’interesse di 350 milioni di europei, Margrethe vuole che tutti giochino secondo le regole.
Sembra che le aziende hi-tech americane come Google, Facebook e Apple siano andate avanti senza controlli e contrappesi. È così?
L’economia europea è diversa da quella americana. L’Europa ha un’economia sociale di mercato. Peculiare nel contesto europeo è lo sviluppo di un alto livello di protezione dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente ed è compito mio esaminare le regole del gioco nell’economia del Vecchio continente.
Ha citato l’economia sociale di mercato e parla di tutela del mercato. Esiste una differenza di valori nel modo in cui svolgono le proprie attività l’Europa e gli Stati Uniti?
Credo che i cittadini europei e americani abbiano gli stessi valori, ma abbiano due culture legislative diverse.
Le multinazionali americane sono più esposte rispetto alle loro controparti europee?
Le imprese americane sono trattate quasi allo stesso modo nella propria nazione. Se consideriamo per esempio il primo caso Google, credo che metà dei querelanti fossero americani. Non si tratta quindi di aziende europee che protestano contro aziende americane, ma di concorrenti di varie nazionalità che si lamentano del comportamento di Google sul mercato. Questo dimostra che la nazionalità è importante, ma ancora più importante è il comportamento sul mercato.
Altri l’hanno preceduta in questo ruolo, come Mario Monti, ma è soprattutto lei che – per i casi che sta seguendo – è stata investita da un’ondata di notorietà. Perché queste visibilità?
I motivi sono molteplici. Innanzitutto credo che si desideri che queste storie vengano raccontate e quello che faccio io è stabilire le priorità, indicare gli orientamenti e raccontare la storia. È questo ciò di cui si ha bisogno adesso.
Prendiamo per esempio i vantaggi selettivi assegnati a certe aziende da alcuni Stati Ue, in un contesto in cui in alcuni Paesi si è registrata una diminuzione del 10-15 per cento o forse anche di più del servizio pubblico. 1 cittadini assistono a un aumento delle spese, ma vedono che le aziende non contribuiscono in alcun modo.
Ho l’impressione che l’America non ami il lento insinuarsi di questa sorta di socialismo europeo dai sani principi.
Sì, ma questo è ben lontano dal socialismo, perché nel modello europeo mai e poi mai mettiamo in discussione la proprietà privata, e se per caso si sconfina nel socialismo si finisce per andare alla deriva perché questa è un’economia di mercato.
Il caso Apple è esemplare. Come si è arrivati a un tale livello di scontro, con una società colpita da una multa così elevata e con uno Stato, quello irlandese, «accusato» di collusione?
È difficile da dire. Si tratta di tasse non pagate e di un trattamento fiscale selettivo rivolto a una singola impresa. Questo non riguarda solo il caso Apple in Irlanda, ma anche altri casi in Lussemburgo e tutta la questione delle multinazionali in Belgio.
Molti dei suoi casi riguardano la Silicon Valley o il settore hi-tech in generale. Si può dire che lei sia lo spauracchio di queste società?
No, e perché dovrei esserlo?
Lei cerca di ostacolare le attività che queste aziende vogliono svolgere in Europa nel modo in cui normalmente le svolgerebbero in America?
Io parto dal presupposto che ogni società cerca di fare la cosa giusta. La spina dorsale dell’economia europea è composta da piccole e medie imprese che creano occupazione, pagano le tasse e assumono apprendisti. Non fanno niente di sbagliato e si adoperano al meglio per rispettare la legislazione europea e quella del proprio Paese. Questo permette una concorrenza leale, quindi non vedo perché le aziende dovrebbero temere la concorrenza dettata dalla legge.
Dopo la multa da 13 miliardi di euro che lei ha imposto alla Apple per aiuti di stato illegittimi, Tim Cook ha affermato che è stata «solo una stronzata politica» e questo credo puzzi di socialismo.
Capisco cosa pensa.
Crede che società come Google e Apple abbiano troppo potere?
È molto difficile rispondere, qual è il metro di giudizio del loro «troppo potere»? lo non misuro il potere, io controllo se tutti seguono le regole. In Europa una società può crescere, avere successo e raggiungere una posizione dominante, ma i complimenti finiscono quando scopriamo che questa società abusa delia propria posizione per impedire la concorrenza delle altre aziende, la loro innovazione o di presentare le loro idee a potenziali acquirenti.
Le multinazionali americane come Google, Apple e Amazon non amano essere represse. Facebook, per esempio, ha miliardi di utenti quindi lo sviluppo dei suoi servizi è sfrenato e i difficili dialoghi che sta intrattenendo con queste società riguardano proprio questo tema.
Ma nel corso degli ultimi cento anni qualsiasi settore ha avuto questo tipo di discussioni con i rappresentanti della democrazia: cosa possiamo fare, cosa non possiamo fare, quali sono le norme che regolano le attività qui? Si tratta di un dibattito in un’economia di mercato per fare in modo che funzioni per tutti. Prendiamo per esempio la fusione tra Dow e DuPont, due colossi dell’agrochimica: abbiamo lavorato al loro fianco affinché dopo la fusione ci fosse la stessa capacità innovativa per sviluppare sostanze meno nocive e ci fosse ancora concorrenza, cosicché gli agricoltori potessero scegliere tra vari semi a prezzi diversi, tutti conformi alle norme ambientali europee. Si tratta di questioni molto significative a cui possiamo dare seguito e questo non si può fare in un singolo Stato in quanto queste aziende poi diventano enormi.
A quante fusioni sta lavorando?
Nella storia recente, il 2016 è stato il secondo anno con il più alto numero di controllo delle fusioni, credo più di 300.
Perché ci sono così tante fusioni?
Perché c’è molta liquidità, e dal momento che l’economia è in ripresa le aziende hanno mostrato un desiderio di consolidamento e di rafforzamento, anche per prevenire un’eventuale posizione di vulnerabilità in futuro.
Il lavoro dell’antitrust è una questione diversa, perché comporta effetti più a lungo termine. E poi ci sono i casi di aiuti di Stato, che dovrebbero essere minori in numero ma per natura più complessi: abbiamo stabilito che non appena sono noti i criteri che tutti devono utilizzare, ogni stato membro deve essere in grado di prendere autonomamente queste decisioni. Stiamo cercando di soffermarci il più possibile sui casi più complicati.
Qualcuno ha accusato lei e l’organizzazione per cui lavora di essere «un’autorità fiscale sovranazionale» o di «creare uno sgradito precedente».
Non è assolutamente così perché non siamo un’autorità fiscale; e relativamente agli aiuti di Stato possiamo solo occuparci dei vantaggi selettivi che dislivellano il terreno di gioco. Se si vogliono introdurre nuove tasse, allora si deve istituire una nuova legislazione in Europa. Ammiro l’Ocse: sta svolgendo un importante lavoro per istituire una coalizione fiscale globale e consentire ai Paesi di tutto il mondo di tassare i profitti dove questi sono generati.
Perché perseguire le società invece degli Stati che concedono questi vantaggi fiscali, come l’Irlanda? Oppure questo avviene già?
Entrambe le cose. Il fatto è che, quando si tratta di aiuti di Stato, noi non parliamo di multe, ma di recuperare gli aiuti illegali per ripristinare una concorrenza legale. Credo che il motivo storico per cui non si parli di sanzioni è che se si decide di dare un vantaggio a una società, poi non lo si vuole ritrattare; uno Stato desidera essere un luogo in cui quello che viene detto si traduce poi anche nella pratica.
Che cosa pensa della Brexit?
La Gran Bretagna è stata tra i principali promotori di una concorrenza leale e di un terreno di gioco uguale per tutti, e credo abbia dato un grande contributo alla cultura europea. Ciò non cambierà quando non faranno più parte dell’Ue.
Una delle cose di cui si è lamentato il presidente americano Donald Trump è l’uso deliberato da parte degli europei delle leggi antitrust per indebolire le aziende americane.
Non si tratta di indebolire o rafforzare le società, ma di valutare se si opera nel rispetto della legge o meno.
Ci sono voci che la vorrebbero come successore di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione europea. Ci sta pensando?
Assolutamente no.