il venerdì, 30 giugno 2017
Imbranati (un po’) si nasce, disinvolti si diventa
Andare a un party, accorgersi con sgomento di non conoscere nessuno e, invece di rompere il ghiaccio e fare nuove amicizie, cercare di mimetizzarsi con una parete sperando di poter uscire senza essere notati. Chiedere di punto in bianco a un amico che in cuor suo celebrava come una vittoria l’aver perso qualche chilo: «Come mai sei così grasso?». Guardare fisso negli occhi un estraneo in metrò fino a metterlo a disagio. A tanti sarà capitato un momento infelice come questi, ma per altri imbarazzo e gaffe sono quasi la normalità. Si tratta dei socialmente inetti, goffi o imbranati che dir si voglia. «Sono coloro che in inglese si definiscono awkward, dal termine scandinavo afugr, che significa “girato al contrario, sottosopra“» spiega lo psicologo americano Ty Tashiro, autore del saggio intitolato appunto Awkward (William Morrow), che ha già raccolto un discreto successo tra critica e pubblico.
«Le caratteristiche principali di chi è socialmente inetto sono tre: difficoltà di comunicazione con gli altri, assenza di abilità sociali e presenza di interessi ossessivi e totalizzanti. Parliamo di circa il 10-15 per cento della popolazione. Per i maschi è una predisposizione ereditaria nel 52 per cento dei casi, per le femmine nel 39. Queste stime arrivano dagli studi sui gemelli degli psichiatri John Constantino e Richard Todd, dell’Università di Washington» spiega Tashiro. «Ma la genetica non è tutto: c’è una forte componente socio-culturale, e quindi discrete probabilità di intervento e miglioramento». Anzitutto, precisa Tashiro, il concetto di awkwardness non ha nulla a che vedere con la timidezza: 5 «Non tutti coloro che hanno disagi nella sfera sociale si comportano da timidi o reclusi: anzi, a volte sono perfino troppo estroversi, ti si avvicinano a meno di 45 centimetri, che è la distanza considerata“normale“tra estranei, o parlano a voce troppo alta. Chi è introverso fa delle scelte: parlare con non più di una persona alla volta, stare a casa invece che andare a ballare. La goffaggine sociale.al contrario,è un’incapacità: quella di affrontare eventi con più persone».
Le persone che soffrono di questo difetto ne sono del tutto consce, ma sperano che passi inosservato. «È meglio affinare le proprie abilità sociali piuttosto che sperare che gli altri non notino le nostre pecche. Perché le notano eccome» dice Tàshiro. «Siamo tutti velocissimi nel giudicare le capacità sociali altrui, e poi agiamo influenzati dalla prima impressione raccolta: ciò rende ancora più difficile, per chi è già a disagio con gii altri, avere uno scambio naturale».
Lo conferma la psicologia. «In alcuni studi si è chiesto a soggetti che non si conoscevano tra loro di alzarsi a turno e pronunciare il proprio nome, mentre gli altri dovevano esprimere un giudizio su chi via via si presentava. Risultato: una convergenza quasi unanime nello stabilire, pur con così scarni indizi, i più simpatici e i più antipatici. Le persone con cui interagire e quelle che veniva voglia di evitare. Io mi sono fatto l’idea che, se fosse possibile eliminare dalle interazioni umane i primi cinque minuti, gli “imbranati“non avrebbero più problemi».
La velocità con cui si trinciano giudizi sugli sconosciuti avrebbe una radice nella nostra evoluzione. «Oggi sembra assurdo che si possa provare tanto disappunto di fronte a qualcuno che fa una piccola gaffe, che per esempio non ci chiede “e tu come stai?“dopo che glielo abbiamo chiesto noi, o che magari non si accorge per ore di avere un pezzetto di verdura tra i denti» sottolinea Tashiro. «Sono inezie, certo. Ma sono anche segnali. Per oltre il 98 per cento della nostra storia evolutiva abbiamo vissuto in piccoli gruppi, meno di 50 membri, di cacciatori-raccoglitori. Gruppi che potevano sopravvivere solo se tutti facevano la loro parte: se qualcuno batte va la fiacca, o rubava o sprecava risorse, o più in generale agiva in una direzione diversa dal bene del gruppo, era vitale che gli altri se ne accorgessero subito, perché la cosa avrebbe messo in pericolo tutti. così abbiamo elaborato un sistema di convenzioni utile a capire quanto una certa persona è sulla stessa lunghezza d’onda del gruppo. E siamo ancora sensibilissimi alle deviazioni, anche piccole, dalle aspettative sociali».
L’evoluzione torna in gioco anche quando la persona goffa capisce, dalle reazioni degli altri, di aver fatto o detto qualcosa di sbagliato, e arrossisce imbarazzata: «È una reazione che, nella storia dell’Homo sapiens, si è dimostrata preziosa per essere riammessi nel gruppo: è un modo di palesare agli altri che il comportamento dissonante non è stato intenzionale».
Perché ad alcuni sfuggono i piccoli compromessi necessari a stare in società, come salutare quando si è salutati, che invece per i più sono ovvi? «In genere si tratta di individui con un’attenzione troppo selettiva. È una qualità che ha anche lati positivi, perché permette di eccellere in quei campi che richiedono particolare profondità di pensiero, come la matematica e la fisica» osserva Tìashiro. «Ma penalizza nei rapporti con gli altri. Immaginiamo la vita come un palcoscenico illuminato: la maggior parte delle persone guarda istintivamente ciò che accade al centro, ma ha comunque una visione periferica di ciò che fanno gli attori ai margini della scena. Chi èprivo di intuito sociale, invece, illumina la scena con un solo proiettore e quindi vede solo spezzoni dello spettacolo, a seconda di come orienta quel cerchio di luce. Vede meglio degli altri i dettagli di ciò che osserva, perché la sua luce è più concentrata, ma gli sfugge il contesto più ampio. Vede qualche albero, con nitore perfino eccessivo, ma si perde la foresta».
La maggiore intensità con cui si notano i dettagli è anche il motivo per cui i socialmente inetti hanno difficoltà a guardare gli altri negli occhi. «Tendono a ridurre il contenuto emotivo delle conversazioni, e il volto è il luogo che suscita più emozioni in assoluto. Ecco perché i “nerd“evitano gli occhi altrui e tendono a concentrarsi su parti del viso “innocue“come il mento o le orecchie». C’è una soluzione? «Tfitto ciò che può ridurre il grado di imprevedibilità di un incontro» spiegaTashiro. «Per esempio studiare le buone maniere, che aiutano ad acquisire certi automatismi da usare in società. Sapere che, quando ci si presenta, la sequenza è guardare negli occhi l’altra persona, stringerle la mano, dire:“Felice di conoscerla, io sono...“aiuta a liberare energia mentale per essere più naturali. Io consiglio ai miei pazienti di memorizzare liste di tre azioni da esegui re una in fila all’altra a seconda della si tuazione». Un’altra strategia utile è verbalizzare le emozioni per assicurarsi che vengano recepite dagli altri. «Spesso la persona goffa, con il linguaggio del corpo irrigidito dalla tensione, non trasmette i suoi sentimenti. Io consiglio ai pazienti di spiegarsi a parole, dire ad esempio: “Sono molto contento che tu sia qui“».
John Gottman, psicologo dell’Università di Washington, nei suoi studi sulle relazioni di coppia, ha trovato che per rimediare a un solo comportamento negativo verso l’altro, ne servono quattro o cinque positivi. «Una strategia per riportare in attivo il “conto emotivo“che abbiamo con chi ci sta vicino, al quale attingiamo quando facciamo qualche gaffe, è quindi sforzarsi di rivolgere agli altri delle piccole, ma costanti, attenzioni. Per esempio ringraziare per un’email inaspettata, o ricordarsi i compleanni dei conoscenti».