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 2017  giugno 30 Venerdì calendario

Detenuti, scandalo braccialetti: pochi e costosi

Doveva essere messo ai domiciliari, così non è stato, perché il carcere ha terminato i braccialetti elettronici. La vicenda che riguarda l’attore Domenico Diele accusato di omicidio stradale per aver travolto e ucciso a Salerno la 48enne Ilaria Dilillo, riporta di grande attualità il tema del braccialetto elettronico.
Tema cruciale per diversi motivi. Tra i vari, certamente, la possibilità, incrementando l’utilizzo di questo strumento, di dare un po’ di sollievo al problema del sovraffollamento delle carceri italiani. Sollievo, non tanto di più. Questo va detto. Oggi il vero nodo dei nostri penitenziari sta nei circa 15 mila detenuti senza fissa dimora e condanne non superiori ai due anni. Si tratta di persone che potrebbero usufruire di pene alternative, l’ostacolo è la mancanza di domicilio.
Il braccialetto elettronico è comunque ritenuto oggi uno strumento molto utile sia da parte dei giudici sia da parte della polizia penitenziaria. C’è solo un problema: in Italia ne esistono solamente duemila. Di questi, poi, una percentuale minima è dotata di gps. La maggior parte, dunque, è utilizzabile solo per chi deve stare ai domiciliari e non può essere applicata alle persone che di giorno possono uscire per svolgere attività lavorativa. Eppure, la storia del braccialetto non è nuovissima. La sua introduzione risale addirittura al 2001. In quell’anno, a Milano in particolare, alcuni detenuti riuscirono a liberarsi dello strumento. Per questo i giudici evitarono il loro utilizzo. Dal 2012, in poi, l’uso è aumentato. Giusto per capire: nei primi sei mesi del 2012 ne furono attivati 26, nella seconda metà altri 85. Mentre nei primi tre mesi del 2014 erano già 140.
L’ex ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri spinse per il loro utilizzo. L’idea era di metterne in circolazione 4 mila in più, 6 mila in totale. “Ad oggi – spiega il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria – siamo ancora a duemila e sono tutti utilizzati. Dal loro esordio ad oggi, lo stato italiano ha speso 173 milioni di euro. Uno spreco enorme, rispetto a uno strumento, comunque, di grande utilità”. Una cifra esorbitante alla quale non corrispondono risultati di rilievo. “Almeno 700 detenuti – prosegue il sindacato – oggi potrebbero essere messi ai domiciliari, ma la mancanza di braccialetti li fa restare in galera”. “La scelta del braccialetto – spiega un ex dirigente del Dap che non vuole essere citato – dipende dai tribunali. È in sostanza una sorta di aggravante ai domiciliari. Uno strumento di controllo ulteriore che deve essere deciso dai giudici. Naturalmente i detenuti possono rifiutare”. Insomma, oggi il vero problema sono i numeri e i costi. Tra pochi giorni dovrebbe essere assegnata la nuova gara bandita dal Viminale per il biennio 2017/2018. Obiettivo: mettere in circolazione 12 mila apparecchi. Valore dell’appalto: 45 milioni di euro. Ad oggi, i braccialetti vengono gestiti da Telecom. Il sistema prevede un’assistenza h24 per 365 giorni all’anno. Tutto viene remotizzato in una centrale operativa.
Il braccialetto viene applicato alla caviglia, il segnale rimanda a una centralina installata nell’abitazione. È la centralina che coglie ogni anomalia e lancia l’allarme. Il costo giornaliero per ogni apparecchio si aggira attorno ai 115 euro. Cifra esorbitante se si pensa ai soli 7 euro inglesi. E del resto anche sui grandi numeri l’Italia è buona ultima: in Gran Bretagna oggi i braccialetti sono ben 25 mila. Da noi la prospettiva è di arriva a 12 mila, anche se nell’attualità siamo fermi ai 2000 introdotti 16 anni fa.