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 2017  giugno 29 Giovedì calendario

Il compleanno triste della monarchia spagnola

Cerimonia ieri alle Cortes alla presenza del re, per commemorare i 40 anni dalle prime elezioni della democrazia, il 15 giugno 1977, che portarono alla Costituzione del 1978. Felipe VI ha descritto la storia spagnola del secolo XX come un’epoca incerta di violenze, divisione e frequenti rotture dell’ordine costituzionale. Senza individuare più oltre le responsabilità, si è riferito alla Guerra civile e alla dittatura come a un’immensa tragedia. Per approdare al tema della convivenza garantita dalle norme comuni, perché “fuori della legge c’è solo imposizione, intransigenza, negazione della libertà”, con implicito riferimento alla vicenda catalana. Un paio d’ore prima, in un’altra sala del Parlamento, il gruppo di Unidos Podemos assieme a Compromís, i socialisti, il Partito nazionalista basco e il PDECat, ex-Convergència, celebrava una commemorazione diversa con le vittime del franchismo, contro impunità e oblio.
A maggio Felipe VI si è reincontrato in pubblico con l’infanta Cristina dopo il processo sul caso di corruzione Nóos, conclusosi con la sua assoluzione e la condanna a 6 anni e 3 mesi di prigione per il marito Iñaki Urdangarin. Scandalo determinante nel calo di gradimento dell’istituzione monarchica, e che costrinse il vecchio re Juan Carlos, nel 2014, ad abdicare in favore di Felipe. Non il primogenito ma maschio e perciò con diritto di successione sulle sorelle Elena e Cristina.
Dieci anni prima, Felipe aveva sposato la giornalista asturiana Letizia Ortiz (1972), da cui sarebbero nate 2 figlie, Leonor, destinata alla successione al trono e Sofía. Prima delle nozze Letizia presentava il tg pubblico. Oggi ha una propria agenda di rappresentanza. Nei suoi discorsi si esprime con frequenza contro la discriminazione di genere e la violenza sessuale.
L’anno scorso, Felipe VI si è trovato a gestire una situazione politica inedita: la vacanza di governo per quasi un anno, che lo ha obbligato a una serie di incontri ravvicinati con i partiti. Ma Esquerra Republicana de Catalunya e Bildu non vanno alle sue consultazioni; per Izquierda Unida il re è il “cittadino Felipe de Borbón”. Podemos non partecipa alla parata militare del Día de la Hispanidad e gli indipendentisti catalani sognano uno Stato repubblicano. Pedro Sánchez è costretto a bloccare nel congresso socialista un emendamento sulla repubblica.
Ora il PP governa in minoranza con il premier Rajoy, assediato dai casi di corruzione che gli hanno valso la mozione di sfiducia di Podemos. Il segretario socialista Pedro Sánchez e il leader di Podemos Pablo Iglesias cercano un comune terreno a sinistra per sloggiare i popolari dalla Moncloa; in Catalogna, la Generalitat convoca un referendum unilaterale per il 1 di ottobre.
Si dice spesso che fu il re Juan Carlos a salvare la fragile democrazia spagnola, non permettendo che prosperasse il golpe del colonnello Tejero del 23 febbraio 1981. In Anatomia di un istante Javier Cercas scrive: “Il progetto del re era una qualche forma di democrazia che permettesse il radicamento della monarchia… non perché gli ripugnasse il franchismo… o perché credesse nella democrazia come panacea universale, ma perché credeva nella monarchia e pensava che in quel momento una democrazia era l’unico modo per radicare la monarchia in Spagna”. E “il golpe di Stato blindò la corona… il re fermò il golpe e si convertì nel salvatore della democrazia, la qual cosa colmò la monarchia di legittimità” di cui tanto difettava, essendo stato Franco a indicare in Juan Carlos l’erede al trono. Ma quello era sulla base del patto del ’78, che oggi non regge più nella nuova dinamica spagnola.