Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  giugno 29 Giovedì calendario

L’amaca

Tutte queste storie di hackeraggio, geolocalizzazioni, furti di dati, furti di identità, dicono che non c’è più scampo. Che “essere nella rete” significa essere prigionieri di maglie così fitte che nemmeno farsi sardina, e presto neppure farsi plancton, potrà concederci una via di fuga. La tentazione è ritrovare libertà disconnettendosi: ma ne abbiamo ancora facoltà? Il dubbio non dipende solamente dal raffinato potere di controllo (economico/pubblicitario ben prima che politico) che ci sovrasta. Riguarda, ed è molto peggio, noi stessi, la nostra incapacità ormai strutturale di fare “passi indietro”. Di qualunque natura.
Rinunciare ai social è facilissimo, ve lo assicuro. Basta non cominciare (come con le droghe di ogni tipo). Ma fare a meno delle comodità dello shopping in rete? Dello home banking? Delle pratiche burocratiche risolte da un clic? Dell’on line nel suo complesso, che semplifica la vita? Siamo schiavi della rete, e dei suoi predatori occulti e palesi, perché siamo schiavi di noi stessi. Farei l’uomo dei boschi, se avessi meno anni e più muscoli. L’anacoreta, il mistico, l’assente, il silenzioso. Ma siamo ancora capaci di rinunciare a qualcosa? Se una mutazione è avvenuta, nell’homo occidentalis, è l’estinzione del gene della rinuncia.