Corriere della Sera, 28 giugno 2017
I pm ai giudici: «Pedemontana deve fallire»
Inutile far finta che prorogare l’agonia della Pedemontana lombarda abbia un senso, anzi più si lascia girare il tassametro dell’autostrada in teoria in project financing (e cioè a carico dei privati) e più sarà salato il conto finale per i contribuenti: i pm milanesi Filippini-Pellicano-Polizzi chiedono al Tribunale Fallimentare (udienza il 24 luglio) di staccare la spina alla società, controllata dalla regionale Serravalle, di cui fino ad aprile è stato presidente l’ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro, chiamato dal governatore Roberto Maroni che più volte ha detto di volersi ricandidare proprio anche «per poterla vedere finita e inaugurare». Per i pm non esiste più continuità aziendale e la società è in stato di insolvenza. Perché? Per il debito di 200 milioni con un pool di banche – capofila Intesa e Ubi – prorogato dieci volte, ogni anno con interessi passivi liquidati; e per gli attivi o sovrastimati (come i pedaggi metà del previsto), o non mettibili a reddito (come gli stati di avanzamento lavori) in quanto la società non sarebbe più in condizione di conseguire il proprio oggetto sociale in assenza del miliardo e 800 milioni necessari per terminare l’autostrada. Inoltre i pm additano che l’appaltatore austriaco Strabag, proprio per la stasi nei lavori, contabilizza i ritardi sotto forma di «riserve» messe a credito verso la società: da qui contenziosi enormi, dei quali uno (fino a 2013) già costato una proposta di 61 milioni. «La richiesta di fallimento sorprende – ribatte il neopresidente Federico D’Andrea – : Pedemontana ha liquidità adeguata, bilancio 2016 regolarmente approvato e certificato da Grant Thornton, nessun creditore ha mai manifestato criticità. Siamo certi della continuità aziendale e dell’assenza dello stato di insolvenza».