La Gazzetta dello Sport, 28 giugno 2017
Danilo Petrucci: «Io, inadeguato, ad Assen ho capito di poter vincere»
L’asfalto di un mini aeroporto e sentieri tra discariche abbandonate. Mentre alcuni suoi colleghi si godono la barca a Ibiza, Danilo Petrucci corre e suda sotto il sole di Terni. La magica domenica di Assen è alle spalle, davanti c’è il Sachsenring, un’altra delle piste dove la stellina della Ducati Pramac accelera e piega come se fosse nel salotto di casa. Due podi in 3 gare, altrettante partenze in prima fila, presenza costante tra i migliori: c’è anche molto del Petrux in questa Italia a due ruote che – tra Andrea Dovizioso in testa al Mondiale, Valentino Rossi che dopo 22 stagioni non si è stufato di vincere e i ragazzi terribili di Moto 2 e 3 – sta incantando il Mondiale. Una vita passata a rincorrere sogni, quella di Danilo, che a lungo si è sentito «inadeguato» prima di capire di avere le carte per stare in questo gruppo di artisti da 300 all’ora. E sì che, solo un mese fa, Petrucci lasciava Le Mans con un ritiro amarissimo e, in testa, tanti punti interrogativi. «Erano un po’ di gare che facevo bene, ma mancava sempre qualcosa. In Francia ero partito dietro, 19°, ma, preso Lorenzo, aspettavo gli ultimi giri e... per la seconda volta in 5 GP sulla moto si era rotto qualcosa. Mi si è spezzato qualcosa dentro. Lavoro duro ogni giorno da anni e non vedere mai i frutti per qualcosa che non dipende da te è pesantissimo».
Come ha reagito?
«Il giorno dopo ero in aeroporto a Parigi, da solo, musica nelle cuffie, e ho iniziato a pensare. “Ma a te queste cose piacciono davvero? E se cambiassi sport?”. Perché a me un giorno piacerebbe fare il Mondiale enduro, vado forte... Si è capito, non sono legato ai soldi o a rincorrere cose, la vita da copertina non fa per me. Mi sono venuti gli occhi lucidi, ho aperto il mio Moleskine e ho iniziato a scrivere. Quando poi sono atterrato, ho saputo che Hayden era morto. Quella notizia mi ha dato un’altra scossa, mi sono detto che non avrei mai permesso a qualcosa o qualcuno di togliermi la voglia di fare quel che amo. Con Marco (Baglioni, suo preparatore; n.d.r.) siamo andati a Viareggio dal dottor Riccardo Ceccarelli e con quel pensiero ho iniziato a godermi quello che facevo. Poi è arrivato il Mugello, ed è cambiato tutto».
Petrucci ormai è una star.
«Quando ho iniziato era già una soddisfazione vedere una riga col tuo nome sulla Gazzetta, Motosprint o sul Corriere di Terni. Poi l’articolo, la foto, la foto più grande, una pagina... non ti accontenti mai. Ma l’ambizione può far perdere la bussola. Per questo scrivo, è come mettersi davanti a uno specchio e guardarsi senza filtri».
Cos’è accaduto al Mugello?
«Sabato mattina sono caduto due volte. Mi son detto che non avevo niente da perdere, fino a Le Mans guardavo alla classifica, ero davanti a Jorge, ma con due zeri i primi erano ormai scappati. Così, invece che il Mondiale ho pensato che correvo 18 gare... E continuo così. Al Sachsenring voglio la top 5».
Ma come, ad Assen ha detto che in Germania vuole vincere...
«Prima della gara Alberto (Vergani, il manager; n.d.r.) mi ha scritto: “Oggi porta a casa il pollo, poi se riesci il dolce”. Tradotto, prima finisci, se viene qualcosa in più meglio. Anche in Germania penserò prima al pollo, lavorerò come al solito. La vittoria arriverà senza rincorrerla con affanno».
Secondo lei manca molto?
«Non sono lontanissimo. Ho rivisto la gara in tv. Sull’asciutto credo che non sarei arrivato con Vale, aveva un paio di decimi su di me. Ma sono stato bravo a sfruttare l’occasione della pioggerellina, Rins ha rovinato tutto, ma sono contento di come ho gestito gli ultimi tre giri, potevo vincere: avevo apparecchiato bene, in mezza curva però è crollato tutto. Rins doveva stare attento. Poi è venuto a scusarsi, sono venuti i fratelli Brivio, il capomeccanico...».
Sui social qualcuno ha detto che ha fatto il valletto di Rossi...
«Vadano a cagare. Quest’anno un po’ di volte l’ho già battuto. Al parco chiuso volevo menare tutti, morsicavo l’aria. Solo lunedì ho capito che avevo fatto un altro podio».
Ha notato che ogni volta che va sul podio vince un italiano?
«È vero, però vorrei che prima o poi l’inno di Mameli suonasse per me. Al Mugello Dovizioso ha vinto di forza, ha fatto un gran cambio di mentalità quest’anno, ad Assen è venuta fuori una gran battaglia con Vale, ci temevamo tutti e due un po’, ce le siamo date senza paura».
Che vi siete detti dietro il podio?
«Mi ha chiesto se ero sicuro che lo avrei passato nella curva veloce. Gli ho detto di sì. Quel tratto è uno dei più belli al mondo, lì do la paga a tutti. La chiamo la curva del coraggio, è puro istinto. Ma sono contento che abbia vinto, è stata una gara da coraggiosi. E sono contento per Dovi in testa al Mondiale. Se lo meritano tutti e due, i soli in pista e fuori a darmi sempre dato una mano».
Essere arrabbiati per un 2° posto vuol dire che...?
«Che ci siamo. Io vorrei vincere quest’anno, ci crede anche Paolo Campinoti, il mio boss in Paramac. “E nel 2018 pensiamo al Mondiale” mi ha detto».
Quindi resta in Pramac?
«C’è la proposta Ducati e quella Aprilia, però mi creda, non ho parlato direttamente con nessuno. Penso al Sachsenring, sarà una gara calda».
La sua è una vita di rincorsa.
«Sono partito in ritardo, non ho fatto la gavetta. A 20 anni c’era già chi era in Moto3, Moto2... Mi sono sempre sentito inadeguato, come se mancasse qualcosa. Sto ancora imparando, ma ho recuperato tanto: da qualche gara sto coi primi 3-4 e senza stupore. Non sono marziani, si possono battere».
Ora c’è anche un bambino olandese che si chiama Danilo.
«Con l’età della ragione mi odierà! A scuola un mio compagno si chiamava Ayrton, c’erano i Diego, i Michael, ora anche un Danilo. Tanta gente mi vuole bene, mi fa felice».
Quando è in crisi con chi parla?
«Mio fratello Frankie, Marco, Alberto, il dottor Ceccarelli. Riccardo mi ha aiutato tanto, mi ha fatto vedere e capire che non mi manca niente, che volendo potrei costruire una palazzina da solo. Mi ha aiutato a non farmi più sentire inadeguato, che i miei dati dicono che vado il doppio degli altri».
E avere un fratello atleta aiuta?
«Lui mi capisce, è competitivo quanto me, sa cosa passa nella mia testa, quando parlare e quando stare zitti. Sono fortunato, ho un fratello multiuso».