La Gazzetta dello Sport, 28 giugno 2017
Addio Felice Riva: una vita tra lussi, fughe e imbrogli
José Altafini scappò in Brasile. «Simpatico ma incompetente, pace all’anima sua. Felice Riva di calcio non capiva nulla. La trattativa per il rinnovo del contratto era diventata una lotta continua, non era mica normale a quei tempi. Così scappai in Brasile e quando tornai lui non c’era più». Incredibile riuscire a dileguarsi davanti a quello che poi è diventato un maestro nell’arte della fuga. Ma le fughe di Felicino Riva, morto due giorni fa a 82 anni, presidente del Milan post Wembley capace di sperperare in pochi anni un patrimonio economico immenso, erano ben diverse dal provvisorio rifugiarsi in Brasile del suo attaccante. Riva scappava con gli sci ai piedi scendendo dal Plateau Rosa, attraversava l’Europa, andava a vivere in Libano, in Svizzera, ovunque si potesse star bene ed evitare la galera. Scappava sempre dalla medesima cosa: le condanne per reati finanziari e una volta perfino ricatto.
SOLDI IN FUMO Scappava dalla legge ed era un fulmine a capire quando era il momento di andarsene. Due giorni fa è scappato per sempre da un ospedale della Versilia, dove viveva. I necrologi sono stati pochi e il ricordo sul sito del Milan piuttosto formale. D’altra parte la sua storia in rossonero non era stata una bella storia: erede del Cotonificio Vallesusa, si comprò il club giovanissimo. Era il 1963 e lui, a capo di un’azienda con quindicimila dipendenti, amava il lusso, amava frequentare il jet-set, non voleva farsi mancare nulla e si prese anche il Milan da Andrea Rizzoli. Una foto d’epoca testimonia il passaggio di consegne con un portafortuna regalato dal vecchio presidente al nuovo, con scarso successo. Il regno del Figlio del sole, alias Felicino, alias il Biondino, tutti soprannomi dell’elegante Riva, durò appena due anni. Travolto dal fallimento del Cotonificio, si dimise nell’autunno del 1965. Settemila operai si ritrovarono disoccupati da un giorno all’altro a causa delle sue speculazioni. L’impero non c’era più.
COMUNQUE LUSSO Lo arrestarono fuori da un cinema, a San Babila, ma restò poco senza libertà: condannato per bancarotta fraudolenta trovò il modo di espatriare perché qualcuno si era dimenticato di ritirargli il passaporto. Era il 1969, anno di un’altra coppa dei Campioni per il Milan, che ormai era l’ultimo dei suoi pensieri. Arrivato a Beirut con in tasca un mliardo (così canterà Rino Gaetano) passando per Nizza, Parigi, Atene, Riva ci resta fino al 1982, quando la guerra in Medio Oriente seppellisce anche i dieci chili di prove raccolte contro di lui dai magistrati italiani. Torna in Italia, passa le stagioni fra Londra, Saint Moritz e Forte dei Marmi. Si tiene in contatto soprattutto con le figlie Raffaella (musicista del Gruppo Italiano) e Carlotta, ma Milano non è più il suo mondo. Nel palazzo di famiglia, quello con la piscina sotterranea e il campo di tennis, ci sono gli uffici di Armani, i rapporti con il fratello sono pessimi, ovviamente per motivi di soldi. Riva gioca a golf, si accontenta, per modo di dire, della vita tranquilla del Forte, va in giro con i cani, fa la spesa al supermercato tutti i giorni, va in bici e non più in Ferrari come a Beirut. Gli anni sono passati, la fuga è finita. Contro il tempo non si vince mai.