il Giornale, 24 giugno 2017
Addio al libretto al portatore. Simbolo dell’Italia «formica»
Lunedì 3 luglio finisce un’epoca durata 140 anni, quella dei libretti postali al portatore, istituiti con Legge del 1875 da Quintino Sella. D’ora in poi tutti i libretti di risparmio dovranno esser nominativi, per prevenire il riciclaggio e (si opina) l’evasione fiscale.
Si usavano (e si usa ampiamente anche ora) i buoni postali fruttiferi, un risparmio con reinvestimento automatico degli interessi. I padri, i nonni, gli zii spesso usavano creare un libretto con buoni postali fruttiferi, per i figli e i nipoti, alla nascita, pensando al loro futuro. Anche a me è accaduto. Quando sono nato, mio padre costituì un libretto al portatore, coi buoni postali fruttiferi, che, secondo i suoi calcoli, 18 anni dopo, mi avrebbero dovuto dare una rendita di 400 lire al mese, che mi sarebbe servita, durante l’università e durante la mia successiva prima sistemazione. All’inizio degli anni ’30, mille lire al mese, erano lo stipendio agognato da una piccola famiglia borghese. Per un studente d’università 400 lire al mese sarebbero bastate. Ma venne la guerra e con l’inflazione si generò una svalutazione della lira di 60 volte. Quando mi iscrissi all’Università, a Pavia nell’ottobre del 1947, con gli interessi mensili di 400 lire, derivanti da 100mila lire depositate nel libretto postale, avrei potuto fare solo un pranzo in un ristorante medio. Fortunatamente avevo vinto una ottima borsa di studio con vitto e alloggio.
Il papà spese il capitale dei buoni postali per comprarmi un corredo di vestiario e un valigino di cuoio, per il ritorno a casa da Pavia a fine settimana. Il valigino l’ho tenuto come ricordo. Ora, con l’euro i nonni possono aprire un conto postale fruttifero nominativo per i nipoti, per le piccole spese, che hanno già quando vanno a scuola.